Donne e quote, Marcegaglia promuove la legge Golfo-Mosca: “Si vada avanti”

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«A livello internazionale è cambiata la narrativa sull’empowerment femminile. Prima se ne parlava soltanto in una logica di equità, di donne donne vittime. Oggi si parla di uguaglianza tra uomini e donne come miglior modo per scoprire talenti e aumentare la capacità di crescita e di progresso: è un boost fortissimo alla capacità di crescita». Nel giorno del Graduation Day delle studentesse e degli studenti della School of Goverment diretta da Sergio Fabbrini, la presidente della Luiss Emma Marcegaglia – prima e unica donna ad aver ricoperto la carica di presidente di Confindustria dal 2008 al 2012, che dal 2014 ha assunto la presidenza dell’Eni – ha dedicato la sua lecture al tema del ruolo delle donne nella società italiana ed europea. Un discorso ricco di dati, centrato sulle tre “L” indicate dalla direttrice del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde come vettori per promuovere la partecipazione delle donne: “Learning, labour and leadership”. E corredato dall’ammissione di aver cambiato idea sulla legge Golfo-Mosca 120/2011 che ha introdotto le quote nei Cda delle società quotate e che “scadrà” nel 2022: «Ha funzionato, credo che debba andare avanti oltre la scadenza».

L’assunto di partenza di Marcegaglia è stato uno: nel mondo ci sono 865 milioni di donne che non lavorano e che potrebbero farlo: «Un potenziale di crescita straordinario e inesplorato, sul quale dobbiamo lavorare». Se ci fosse uguaglianza nel lavoro, «in Africa il reddito pro capite potrebbe crescere nel giro di pochi anni del 27%, il Pil dell’Arabia Saudita del 20%, quello dell’Egitto del 34%». E più donne al lavoro significherebbe anche più progresso sociale, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo. La presidente Luiss ha citato un detto africano: «If you educate a boy you train a man. If you educate a girl you train a village». È quell’attenzione alla comunità più sviluppata nelle donne ben nota alle organizzazioni di cooperazione internazionale ed efficacemente sintetizzata dal Nobel per l’Economia Amartya Sen: «Quando le donne stanno bene, tutto il mondo sta meglio». E le donne, purtroppo, ancora non stanno bene: è donna il 70% della popolazione mondiale che vive con meno di un dollaro, è donna chi subisce violenze a ogni latitudine.

Seguendo il filo delle tre “L” di Lagarde e venendo all’Italia, Marcegaglia ha innanzitutto riconosciuto i progressi sul fronte dell’istruzione: le italiane tra i 25 e i 64 anni con un titolo di studio secondario sono il 4% in più rispetto agli uomini; i tassi di abbandono nella popolazione femminile sono il 5% più bassi (11,3% contro 16,1%); il gap di genere tra i laureati nelle Stem (le discipline tecnico-scientifiche) è in linea con la media Ue, più contenuto che in altri grandi Paesi. Dati che fanno ben sperare perché – ha ricordato la presidente Luiss – «istruzione e formazione sono il vero ascensore sociale».

I dolori cominciano quando ci si affaccia sul mercato del lavoro, nonostante a gennaio 2018 l’Italia abbia raggiunto il valore record nel tasso di occupazione femminile (49,3%). Marcegaglia ha snocciolato i numeri dello sconforto: le inattive sono il 51% contro il 25% degli uomini e una media europea del 34%. Lo squilibrio territoriale è fortissimo: al Nord il tasso di occupazione femminile è del 59,4%, prossimo alla media europea; al Sud la quote di non occupate, disoccupate o inattive, sfiora il 70 per cento. «Se riuscissimo a portare più donne al lavoro la crescita del Sud sarebbe molto significativa», ha sottolineato la top manager. Confidando nel miglioramento dei livelli d’istruzione (i tassi di occupazione delle laureate sono circa due volte e mezzo quelli delle donne con licenza media) e ricordando però che a incidere nel disallineamento è soprattutto la scarsa condivisione dei carichi familiari. «Su questo fronte l’Italia è fanalino di coda in Europa», ha affermato Marcegaglia. «C’è una differenza di tre ore al giorno di lavoro non retribuito a carico delle donne, che infatti dalla nascita del primo figlio assottigliano la loro presenza nel mondo del lavoro». Non solo: esiste anche un problema di qualità dell’occupazione femminile, che ci concentra nei livelli e nei settori a paga più bassa. Con un effetto a catena sulle pensioni, che sono inferiori rispetto a quelle degli uomini. Quanto al gap salariale, è vero che quello nominale è più basso rispetto alla media Ue, ma cresce all’avanzare della carriera.

Sul fronte della leadership per Marcegaglia, è giusto evidenziare che «la presenza femminile sta aumentando, ma con luci e ombre». In Parlamento è aumentata al 34%, ma anche nell’ultima tornata elettorale si è rivelata inferiore al 40% previsto dal Rosatellum. «A livello locale le sindache sono il 13,5%, nei Consigli regionali sono il 18%, ai vertici delle amministrazioni pubbliche sono il 15%. I rettori sono il 7,2%: 5 su 78. E siamo orgogliosi che tra queste ci sia il rettore Luiss, Paola Severino». Numeri magri, però, che segnalano una sottorappresentazione delle donne nella politica e nell’amministrazione. Va meglio nelle aziende, con la presenza delle donne nei Cda attorno al 30% «migliore anche dei livelli europei, grazie alla legge Golfo-Mosca». Ma quante hanno ruoli di presidente e Ad? «Soltanto 18 donne sono amministratori delegati, solo 23 sono presidenti. La legge ha aiutato, ma non è penetrata».

La ricetta? Leggi, policy e cultura. «All’inizio ero contraria a una legge sulle quote», ha riconosciuto. «Non mi piaceva l’idea di un recinto. Ma in un Paese come l’Italia la legge ha aiutato. Credo che debba andare avanti oltre la sua scadenza e considero giuste le leggi che obblighino a una presenza più ampia delle donne a livello politico. Sempre temporanee: a un certo punto dovrebbero sparire, ma intanto è importante rendere solide le presenze femminili». Ci sono poi, per Marcegaglia, misure necessarie di policy «sui congedi parentali e sul supporto fiscale alle donne che portano i bambini all’asilo nido: in Italia li frequenta solo il 25% nella fascia 0-2 anni contro un dato Ocse del 35%». Ma l’ambito prioritario di intervento «è quello culturale: bisogna premiare il merito, perché premiando il merito si premiano le donne, che spesso sono più brave. Bisogna avere più fiducia nelle donne e bisogna che le donne abbiano più fiducia in se stesse. Bisogna creare reti come gli uomini. Bisogna insistere sul mentoring. Bisogna non avere paura di pretendere quel che è giusto. E bisogna denunciare le violenze, contro cui servono leggi più rigide». Bene, dunque, a movimenti come il #metoo, quelli di donne «che vogliono dire la loro: occorre farlo in modo serio, a partire da se stesse. Fare il meglio e aiutare altre donne brave».