Uno dei primi libri scientifici sul gender pay gap risale a una dozzina di anni fa. Il titolo non lasciava dubbi sul motivo del divario: Women don’t ask. Negotation and gender divide. Quindi secondo le autrici – Linda Babcock, economista e Sara Laschever, esperta del tema – la responsabilità dell’insuccesso ricadeva sulle spalle delle donne.
Ricordo che lo lessi con avidità, sottolineando diverse parti. In sintesi il messaggio per le lavoratrici era: non sapete contrattare, ma imparate perché negoziare è una necessità. Per le aziende: discriminare non conviene, meglio usare tutto il capitale intellettuale a disposizione.
Da allora, molta strada è stata fatta in termini di empowerment femminile e, in parte anche in termini di policy aziendali. Ma sappiamo bene che i risultati non sono affatto soddisfacenti un po’ ovunque nel mondo.
Che cosa non sta funzionando?
Una nuova ricerca condotta dalla Cass Business School in collaborazione con l’University of Warwick e l’University of Wisconsin, Do women ask?, dimostra che le donne chiedono aumenti di stipendio tante volte quanto lo fanno gli uomini, ma che gli uomini hanno il 25% di probabilità in più di ottenerli!
Quindi, per la prima volta con un test statistico, si smonta la teoria secondo cui le lavoratrici donne sono pagate meno perché sono meno determinate degli uomini e si trattengono dal chiedere un aumento per paura di irritare il capo e di rischiare di essere meno benvolute nell’ambiente di lavoro. La ricerca dimostra che i lavoratori uomini hanno un quarto di probabilità in più di avere successo rispetto alle loro colleghe, riuscendo a ottenere un aumento nel 20% dei casi, a fronte del 16% delle donne.
Qual è allora la spiegazione?
Secondo Andrew Oswald, coautore e Professore di Economia e Scienze comportamentali presso la University of Warwick, l’unica spiegazione è la seguente: “Dopo aver esaminato i risultati, penso si debba accettare che esistano elementi di pura discriminazione nei confronti delle donne”.
Va detto che la ricerca utilizza i dati raccolti dall’Australian Workplace Relations Survey (AWRS) per il periodo 2013-2014, perché l’Australia è l’unico paese al mondo a raccogliere informazioni sistematiche sulla richiesta di aumento di stipendio da parte dei lavoratori. Ma gli autori assicurano l’estendibilità dei risultati al resto dei paesi più sviluppati.
E infatti gli ultimi dati europei confermano una tale lentezza nella diminuzione del divario retributivo, che – se si proseguisse così – in Europa dovremmo aspettare fino al 2086 per raggiungere la parità.
Forte e chiaro il recente commento del vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans e delle commissarie europee Marianne Thyssen e Věra Jourová: «Questo non è giusto, non è sostenibile e, francamente, non è accettabile. I datori di lavoro europei devono smettere di perpetuare il messaggio che le donne valgono due stipendi all’anno meno degli uomini». Quali saranno le prime società a raccogliere questo invito?