La precarietà, le supplenze, il corpo docenti mai completo. Abbiamo imparato a conoscere una scuola così, ahinoi. Nella scuola dell’infanzia la carenza di personale è ancora più sentita perché è un mestiere dove la componente di cura è prevalente e dove esiste una figura fiabesca e ambita, la doa, fra le maestre un unicorno. La doa è una dotazione organica aggiuntiva nel lessico spoetizzante della burocrazia. Un’educatrice a disposizione della scuola per coprire assenze, malattie, garantire servizi di pre e post scuola e tante altre cose utili e utilissime.
Dopo un lungo purgatorio finalmente anche la scuola di mia figlia ha una doa, che si chiama Fabrizio. Il più unicorno fra gli unicorni, perché in Italia solo lo 0,4% degli educatori della scuola d’infanzia è uomo. Nel caso di Fabrizio l’essere un pezzo tanto raro però non sempre gioca a suo favore. Gli capita di leggere scherno o sospetto negli occhi dei genitori che gli affidano l’amata prole. Si sa, la femmina ha biologicamente iscritto nel suo dna la cura – boom, è morto un antropologo, lo so – e quindi la maestra della scuola d’infanzia può essere solo una donna. Che problemi avrà un uomo che sceglie questo mestiere? In realtà i problemi per l’uomo che sceglie questo mestiere iniziano subito dopo la scelta. Scarsa accettazione sociale, pochi riconoscimenti e salario basso. Infatti gli uomini sono pochissimi. Il problema, a ben guardare, è tutto delle donne che invece – marchiate a fuoco dalla cura come caratteristica di genere – si trovano prigioniere di una nicchia, di un mestiere che gli uomini non vogliono fare.
Una nicchia grande, molto grande in realtà, perché nelle scuole primarie, le elementari, solo il 5% del personale docente è di genere maschile e le motivazioni sono sempre le stesse. Si arriva al 15% nelle secondarie di primo grado, le medie, e al 41% nelle superiori. Poi all’università la tendenza si inverte e fra docenti e ricercatori la percentuale maschile sale al 65%, ma in questo caso il riconoscimento sociale è elevato e i salari sono ben più consistenti. Una situazione che ricorda la vecchia discriminazione di genere.
Servono più uomini nelle scuole italiane anche perché la cura è un oggetto culturale che si impara e più gli uomini la praticheranno più ci saranno in giro uomini per bene e donne più libere. Fortuna che mentre noi stiamo qui ad almanaccare di professioni di cura e genere, i bambini sono lì che zompettano felici sotto gli occhi di Fabrizio che è una maestra come le altre, solo con la barba.
Tutti i dati sono tratti dal sito del Miur e dal report Talis 2013.