
Sono sempre di più le donne che guidano le imprese familiari italiane, spesso in tandem con i fratelli. Sono leadership fatte di equilibri armonici, slanci innovativi e, in molti casi, rigenerativi. È il caso di Laura Ottaviani, che con la sua creatività, ha aperto nuove linee di business per la storica argenteria Ottaviani Spa. O di Annalisa Gandolfi, che con il fratello Roberto sta accompagnando Erreà nel suo percorso di crescita globale. O ancora, di Roberta Vitri che con il fratello Alessandro sta lavorando alla managerializzazione della sua Vitrifrigo. Tre storie diverse, ma unite da un filo comune: il coraggio di intraprendere, scardinando pregiudizi di genere, e generazione.
Laura Ottaviani, l’arte di andare controcorrente
«Si è sempre fatto così». È la frase che Laura Ottaviani si è sentita ripetere più spesso nei suoi primi anni in azienda. Fondata a Recanati dal bisnonno Eraclio nel 1912 come bottega orafa e trasformata in industria nel 1945 dal nonno Romolo e dal padre Alberto, Ottaviani Spa è già un marchio storico dell’oreficeria e dell’argenteria made in Italy quando Laura inizia a muovervi i suoi primi passi. È il 2004 e lei è una giovane architetta, laureatasi al Politecnico di Milano con una tesi in domotica, appassionatissima di arte, disciplina che ha coltivato con corsi di disegno all’Accademia delle Belle Arti di Brera.
«Sono cresciuta con la presenza ingombrante e al contempo bellissima dell’azienda. Ho sempre desiderato farne parte, fin da bambina, quando disegnavo vestiti e gioielli per puro diletto. Da grande, quando dopo gli studi sono effettivamente entrata nel reparto della direzione artistica, mi sono accorta che in azienda c’era bisogno di innovare. Eravamo fermi all’argenteria, ma i tempi stavano cambiando. Serviva un design più contemporaneo, ma la resistenza al cambiamento era alta e non è stato facile far passare le mie proposte» – riconosce.
Il suo ingresso in azienda è coinciso con un momento delicato anche sul piano societario che ha portato la famiglia a prendere una decisione radicale: liquidare i soci precedenti per riprendere il pieno controllo dell’impresa. Una scelta coraggiosa che è diventata l’occasione per una profonda riorganizzazione interna e l’avvio di un nuovo corso. «Entrare in azienda in una fase così difficile, fa comprendere molto più velocemente determinati meccanismi: ho capito quanto fosse importante essere concreta, preparata, ma anche veloce» – conferma Laura.
Il coraggio di innovare, insieme
Progressivamente, le sue innovazioni si sono fatte strada e hanno ottenuto il riscontro più importante: quello del mercato. Anche grazie alle sue intuizioni, fatte di un nuovo approccio al design e al packaging, all’introduzione dei bijoux e della pelletteria, l’azienda è riuscita a resistere alla crisi e a reinventarsi, crescendo anche a livello internazionale. Oggi, Ottaviani è presente in oltre 27 Paesi, tra cui Spagna, Francia, Canada, Sud America e Far East. Solo in Italia conta 2500 punti vendita, per lo più gioiellerie, e dà lavoro a 60 addetti, di cui 25 diretti, per l’80% donne, generando un fatturato da circa 8 milioni di euro (2024).
«Io sono la più piccola della famiglia e sono entrata in azienda dieci anni dopo rispetto a mio fratello Marco e a mia sorella Paola, che nel 2021 è venuta a mancare. Mio padre, tutt’ora in azienda come presidente onorario, ci ha sempre sostenuti e ha fatto sì che ognuno di noi seguisse le proprie vocazioni, senza forzature o sovrapposizioni. Ci ha detto che avremmo dovuto rubare il lavoro con gli occhi, ma anche conquistare spazio mettendoci alla prova e allenando competenze diverse da quelle che immaginavamo di avere. Ancora oggi è così: io sono ceo con responsabilità per marketing, prodotto e area commerciale, mentre Marco, amministratore delegato come me, segue operation, acquisti e finanza. Lavoriamo insieme con grande affiatamento» – chiarisce. In azienda opera anche sua cognata Giusy, ceo di un’altra azienda, la Garofoli group, con cui lavorano in sinergia.
L’innovazione introdotta da Laura non si è limitata al prodotto. L’organizzazione aziendale è diventata più snella, fluida e meritocratica, la tecnologia è stata integrata nella rete vendita e sono stati potenziati i canali digitali e internazionali. È aumentata anche la presenza femminile in azienda con molte posizioni manageriali ricoperte da donne, dal commerciale all’export, dagli acquisti alla comunicazione, con l’avvio del percorso per la certificazione della parità di genere.
«Mio padre viene da una famiglia all’avanguardia in termini di parità: erano sei figli, tre uomini e tre donne e tutte e tre le sorelle hanno studiato e si sono laureate. Ha portato lo stesso approccio in azienda e noi abbiamo proseguito in questa direzione, cercando di favorire flessibilità e conciliazione tra vita privata e lavorativa. Io per prima sono mamma e non vorrei che nessuna donna sia costretta a scegliere tra lavoro e famiglia».
Contaminarsi per crescere
Una delle tappe più significative per Laura Ottaviani è stata la partecipazione ai Giochi Olimpici Invernali di Torino 2006, per i quali l’azienda ha realizzato la medaglia ufficiale, passata alla storia per il suo design innovativo con il foro centrale. «È stata un’esperienza emozionante che ho vissuto fino in fondo. Sono stata persino tedofora e ho portato la fiaccola olimpica per le vie di Recanati. È stato un momento indimenticabile». Contaminarsi con altri settori ed esperienze è, infatti, fondamentale.
«Non è facile portare avanti un’attività come la nostra nel contesto odierno: anni fa esistevano le liste nozze, oggi bisogna trovare nuovi modi per fidelizzare e coinvolgere i clienti. Per questo, amo fare esperienze anche lontane dal mio business, visitare fiere extra settore, collaborare con altre realtà, viaggiare. Dobbiamo circondarci di colori e riportare l’attenzione ai rapporti umani, per poter innovare davvero». L’azienda, del resto, si fregia del titolo di “Marchio Storico” che ne certifica il valore culturale e imprenditoriale: «Per noi il lavoro ha un valore affettivo, identitario. Non si tratta solo di gestire un’impresa, ma di farla vivere come una comunità».
Questo significa anche aprirsi alle nuove generazioni, con fiducia e responsabilità. Sua nipote Alessandra, in particolare, è appena entrata nell’area commerciale, e si prepara a farsi interprete di una nuova era. «L’azienda è la mia prima figlia – riflette Laura Ottaviani – vederla crescere è una realizzazione personale, oltre che professionale. Ma come ogni genitore, dobbiamo essere pronti a farle spiccare il volo, anche se questo significa rinunciare a un pezzo delle nostre tradizioni per accogliere nuove sensibilità, con coraggio e fiducia».
Annalisa Gandolfi, Erreà: crescere in azienda
«Le cose fatte bene sono quelle fatte in punta di piedi». Annalisa Gandolfi inizia così la nostra intervista. Dimostrando fin da subito l’umiltà autentica di un’azienda che da San Polo di Torrile (Parma) ha fatto il giro del mondo. Erreà, nata come laboratorio sartoriale, è diventata un brand internazionale nel settore dell’abbigliamento sportivo, con 70 milioni di euro di fatturato, di cui il 57,5% all’estero, e 740 dipendenti. Un sogno sbocciato nel 1988 in una cantina, dalla passione per il calcio di suo papà Angelo e dalla maestria con i filati della mamma Rosanna Fabbiani. Il nome stesso del marchio racchiude la storia della famiglia: “Erre” come la R di Roberto, “A” come la A di Annalisa, i due figli oggi alla guida dell’azienda.
Parlare di business, per Annalisa, vuol dire mescolare i ricordi personali con quelli d’impresa. «Ero poco più che una bambina quando, venendo in azienda con mamma e papà, mi occupavo di fare i pacchi per le spedizioni. Sono letteralmente cresciuta tra uffici e laboratori» – ricorda. Quando non era in azienda, studiava. Prima ragioneria, poi Economia aziendale all’Università di Parma, scegliendo un percorso coerente con l’impresa familiare. «Non c’è stato un momento in cui mi sono chiesta “cosa vuoi fare da grande?”. Il mio posto è sempre stato qui».
L’ingresso ufficiale è avvenuto nel 2000, nel reparto contabilità, con una crescita graduale che l’ha portata, qualche anno più tardi, a diventare amministratrice delegata con suo fratello Roberto. Lei si occupa dell’amministrazione e della gestione dei punti vendita, lui della rete commerciale e dello sviluppo della linea lifestyle “Republic”. Ruoli distinti ma complementari, in una struttura in cui anche i genitori sono ancora presenti come guide attive.
Una cultura che si tramanda per un progetto comune
Così, l’azienda cresce sotto gli occhi attenti della famiglia. Già nell’anno della sua fondazione, Erreà sigla la prima, storica, sponsorizzazione con il Genoa Calcio. A seguire, fa il suo debutto sulla scena estera grazie alla partnership con il Middlesbrough in Inghilterra che fa volare il marchio in Europa. Poco dopo, arrivano la sponsorizzazione di grandi eventi sportivi, la collaborazione con alcune delle più importanti squadre al mondo, la nascita dei circuiti Erreà Point e di prodotti innovativi. E poi ancora, i premi, per il Miglior design della Football League e per la Maglia del Secolo del Guerin Sportivo. Il tutto, con un presidio costante della produzione.
Affondare le proprie radici nella cultura sartoriale significa, infatti, riconoscere e difendere la qualità dei materiali e il sapiente lavoro produttivo. «Realizziamo internamente i nostri capi, tra la sede di San Polo di Torrile e il nuovo stabilimento aperto in Romania: dalla selezione delle materie prime alla progettazione dell’aspetto grafico, passando per produzione dei prototipi e fino alla consegna dei capi finiti» – chiarisce Gandolfi.
Il valore del sacrificio
La parola che più ricorre nel racconto di Annalisa Gandolfi è “sacrificio“. «Nulla si ottiene con uno schiocco di dita. Servono impegno, esempio e spirito di squadra. Ho visto i miei genitori non assentarsi neanche un giorno dall’azienda, dare il massimo per rendere questo posto un luogo in cui far crescere futuri solidi. È un modello che ho fatto mio e che cerco di trasmettere anche ai miei tre figli».
«Mia madre è stata un punto di riferimento – continua – si è sempre occupata di amministrazione e sartoria, in un’epoca in cui poche donne avevano ruoli di rilievo nelle aziende. Oggi, continuo a promuovere concretamente la parità: il 30% dei ruoli manageriali è composto da donne e abbiamo ottenuto la certificazione UNI/PdR 125:2022, a conferma del nostro impegno». Parallelamente corre il percorso per la sostenibilità che passa per la riduzione dell’impatto ambientale, l’utilizzo di materiali riciclati e l’approvvigionamento etico, con una catena di fornitura trasparente e responsabile.
“Familiare” è un’altra parola che Annalisa associa alla sua azienda: «un aggettivo che significa poter contare sui valori che solo una famiglia può esprimere: l’attaccamento al proprio lavoro, la condivisione, l’amore per il prodotto e per il territorio a cui apparteniamo. Un’identità da proteggere – assicura – anche nell’espansione globale, non solo attraverso i numeri, ma nelle scelte quotidiane, a partire dall’attenzione per le persone».
Per questo, anche nella scelta di collaboratrici e collaboratori, Annalisa valuta la voglia di fare più dei titoli, la proattività e l’umanità più delle qualifiche. «Non ci interessa chi sa tutto, ma chi è disposto a imparare e a lavorare in squadra. Con sacrificio, dedizione e passione. Proprio come ci hanno insegnato i nostri genitori» – conclude.
Roberta Vitri, Vitrifrigo: managerializzare per diventare grandi
Cresciuta tra gli uffici e le linee produttive di Vitrifrigo, l’azienda di famiglia fondata dal padre Alceste nel 1978 a Montecchio, in provincia di Pesaro e Urbino, come costola di Rivacold, importante realtà della refrigerazione industriale fondata qualche anno prima – Roberta Vitri ha respirato fin da piccola l’aria del fare impresa. Seguendo le indicazioni del padre, ha studiato ragioneria e lavorato ogni estate in azienda, girando tutti i reparti per comprenderne il funzionamento direttamente sul campo. Con lei, suo fratello Alessandro: «Era normale per noi che il futuro fosse in azienda. Oggi sediamo entrambi nel CdA con responsabilità ben precise: io HR e amministrazione e mio fratello area commerciale. Abbiamo due approcci diversi alla leadership: io più determinata e puntigliosa, mio fratello più accomodante, ma siamo una famiglia molto unita e lavoriamo insieme per il bene dell’azienda» – chiarisce Roberta.
Con 1.700 dipendenti, sedi in Italia, Slovacchia e Usa, e distributori acquisiti in Italia, Francia, Regno Unito e America, il gruppo supera i 330 milioni di euro di fatturato. Una crescita costante, a cui Roberta ha contribuito introducendo figure manageriali e processi organizzativi nuovi: «Ci sono voluti più di sei mesi solo per scegliere il primo manager. Volevamo davvero la persona migliore. Managerializzare costa impegno e fatica, ma è necessario per gestire una realtà così grande».
Anche se ben strutturata, la governance resta legata ai valori fondanti: presenza, ascolto, partecipazione. Una visione che si riflette anche nella volontà di non vendere a multinazionali estere, puntando invece a rafforzare l’autonomia interna e il radicamento territoriale. «Siamo molto legati a questo territorio e alle sue persone. In un settore ipercompetitivo come il nostro, siamo fieri di credere ancora nella cultura del rispetto e della collaborazione. Molti dei nostri collaboratori, infatti, entrano in azienda dopo la scuola e vanno in pensione con noi. Ci conosciamo tutti. Questo spirito di famiglia è la nostra forza».
La ricerca dei talenti
Con questo stesso approccio, guardano alle prossime assunzioni, che riguarderanno soprattutto l’area dell’ingegneria. «Già oggi abbiamo cento ingegneri in azienda, ma sul mercato sono i profili più richiesti, quindi i più difficili da trovare. Per questo, a chi sceglie di lavorare con noi, trasferendosi qui da altri territori, mettiamo a disposizione anche l’alloggio. Inoltre, abbiamo collaborazioni costanti con le università della regione e programmi per giovani e studenti» – spiega Vitri.
L’attenzione alle persone si traduce anche nell’adozione di tecnologie innovative, soprattutto in produzione, per agevolare il sollevamento dei carichi pesanti. Il gruppo, che nel 2023 ha ottenuto la certificazione UNI/PdR 125:2022, conta oggi il 35% di donne tra i dipendenti. «So bene che essere donna in un settore così maschile non è semplice, ma qui valutiamo le persone per il merito, non per il genere. E ci impegniamo a favorire la conciliazione: sono mamma di due figli adolescenti e so quanto sia difficile gestire tutto» – commenta.
«Anch’io sono spesso stata l’unica donna nella stanza, e mio padre non mi ha mai fatto sconti. Quasi mai mi dava ragione, invitandomi a seguire chi aveva più anzianità di me, che spesso erano uomini. Ma non mi sono mai arresa: ho continuato a formarmi e a crescere. Bisogna avere il coraggio delle proprie idee e non lasciarsi intimidire. Si può fare».
Proprio questo percorso dal basso l’ha portata a conquistare il rispetto delle “sue” persone: «Qui non ci sono scalate né personalismi. Vogliamo continuare a crescere, ma senza perdere l’umanità che ci contraddistingue. Proprio come ci ha sempre detto mio padre: dobbiamo fare il bene a dell’azienda, non gli interessi personali» – conclude Roberta.
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