Dalla parte delle generazioni “In TRAPpola”, oltre gli stereotipi che ingabbiano

Il linguaggio rispecchia la cultura. La cultura cambia anche attraverso il linguaggio. E la musica? Fa tutto questo insieme: attinge dal mondo e allo stesso tempo lo forgia. Nel 2024 Geolier è l’artista più ascoltato in Italia su Spotify. Dietro di lui Sfera Ebbasta e Lazza. Chiudono la Top 5 Tedua e la “vera baddie” ascoltata dalle giovanissime: Anna Pepe. Ad accomunarli la loro musica, rap e trap. La stessa al centro del dibattito. Il ministero della Cultura ha definito il tema delle canzoni sessiste e violente contro le donne una vera emergenza. Tony Effe è stato escluso dal concerto di Capodanno a Roma dopo la richiesta di revocare il suo invito – arrivata da politici di diversi partiti e associazioni tra cui Differenza donna, che gestisce il 1522 (numero antiviolenza e antistalking della presidenza del Consiglio-Pari Opportunità) – perché «in aperta contraddizione con il faticoso tentativo di affermare una cultura del rispetto e della parità».

Il clamore nasce perché, come riportano i dati, i ragazzi e le ragazze – anche i più piccoli, ascoltano la musica trap: una realtà che non si può trascurare o ignorare se si parla di prevenzione contro la violenza di genere e di cultura del rispetto. Ma, per andare davvero a fondo e aggirare il rischio di retoriche polarizzazioni, è fondamentale porsi in una postura di ascolto delle giovani generazioni: cosa raccontano i loro gusti in fatto di musica? Dalla trap si sentono ascoltate e spesso comprese? Cosa ci sta sfuggendo? Su cosa occorre lavorare?

Un’inchiesta sui giovani, a partire dai giovani

È da questi interrogativi, precisi ma sempre “in divenire”, che parte l’indagine raccontata nel libro “In TRAPpola. Giovani, parole e linguaggio. Come liberarsi da stereotipi e modelli sessisti”, edito dal Sole 24 Ore e scritto dalle giornaliste – impegnate da anni sul tema della violenza di genere – Chiara Di Cristofaro, Simona Rossitto e Livia Zancaner. Partendo da un approfondimento culturale sul linguaggio, le tre firme – distinte e sinergiche già nel lavoro portato avanti su Alley Oop – indagano quanto siano profonde, anche nelle nuove generazioni, le radici della violenza sulle donne.

Come lo fanno? Raccogliendo le “provocazioni” dai ragazzi e dalle ragazze che hanno incontrato nelle scuole: «Perché quando parlate di violenza sulle donne e di giovani, non vi confrontate prima con noi? Cosa sapete di quello che pensiamo, di come parliamo, della musica che ascoltiamo, di quello che facciamo? Ce lo avete chiesto?».

Mettersi in ascolto delle nuove generazioni per comprenderle

Chiedere prima di credere di sapere: è questa la rotta da seguire e disegnata dalle autrici di “In TRAPpola” attraverso le loro parole, «discutendo nelle scuole di violenza di genere, ci siamo rese conto che serve parlarne di più e soprattutto in un altro modo».

Come sottolinea l’attrice Anna Foglietta nella prefazione «questo libro va nella giusta direzione, che è quella di fornire uno strumento utile agli adulti per dialogare e confrontarsi con le ragazze e i ragazzi». E serve farlo perché sono soprattutto loro, i più giovani, ad essere in cerca di nuovi modelli, diversi da quelli patriarcali delle generazioni precedenti.

È davvero la trap l’origine di tutti i mali?

Un cortocircuito. Un paradosso. «Se da un lato i giovani sono immersi in un mondo colmo di nozioni su parità di genere e inclusione – scrivono Di Cristofaro, Rossitto e Zancaner – nell’uso delle parole diventano vittime dello stesso fenomeno che vorrebbero prevenire»: da qui, la “TRAPpola”. Districarla è possibile riconoscendo prima di tutto le responsabilità degli adulti: se la trap parla ai giovani più dei genitori, ad esempio, è necessario interrogarsi a riguardo. Tra le tante voci esperte coinvolte nell’indagine, le autrici ne parlano anche con lo psicoterapeuta Matteo Lancini: il presidente della fondazione Minotauro ritiene che gli adulti, oggi, siano troppo fragili per assumersi delle responsabilità: «E così danno la colpa a quello che li circonda, ai trapper, ai videogiochi, a internet e anche un po’ alla pandemia. Noi abbiamo creato una società in cui non c’è più valore, ognuno fa quello che vuole».

Il confronto è la “chiave di lettura” per imparare a leggere diversamente: «ascoltare i più giovani, da un lato. Agire in maniera efficace prendendoci le nostre le responsabilità di adulti, dall’altro. La lunga inchiesta su sessismo, parole, musica, violenza di genere che abbiamo svolto nelle scuole, tra i giovani e tra insegnanti ed educatori ci ha portato a questa, come strada da percorrere» scrivono le autrici.

Aiutare le giovani generazioni a guidare il cambiamento

Se il cambiamento culturale è lento – in Italia ogni 72 ore muore una donna – è sempre più urgente «andare dai ragazzi e dalle ragazze, dai bambini e dalle bambine, da chi può essere protagonista del cambiamento». L’atto violento contro le donne, gli abusi e gli esercizi di potere non si limitano al momento in cui le azioni vengono compiute. Ma arrivano da lontano: il libro traccia ogni tappa della spirale in cui la violenza parte e degenera. «È qualcosa che arriva da lontano, in famiglia quando vediamo le disparità, sui banchi di scuola tra le battute pesanti dei compagni – scrivono Di Cristofaro, Rossitto e Zancaner – La violenza inizia lì, trova nei social network una cassa di risonanza, si amplifica nei media con le narrazioni sbagliate, nei tribunali tra le frasi messe nere su bianco nelle sentenze dei giudici. Cresce e si nutre di quelle parole. Parole che diventano pensiero. Pensieri che diventano azioni». Anche il linguaggio è specchio della parità: per far sì che il cambiamento parta anche dalle parole, affermano le autrici, «non basta definire cos’è la violenza, tracciare il quadro culturale, mostrare i dati e i numeri. Quello è solo il punto di partenza, la base necessaria. Ma da lì in poi ci deve essere l’ascolto, il lavoro sulle emozioni: se i ragazzi e le ragazze conoscono la teoria, non è detto che sappiano tradurla in una pratica quotidiana».

Educazione affettiva, per creare e riconoscere nuovi modelli relazionali

Per trovare nuovi modelli, i ragazzi e le ragazze hanno bisogno della collaborazione e della presenza di tutti. La scuola, insieme al gruppo dei pari, ha un ruolo particolarmente importante e “strategico”: anche se è la famiglia il primo luogo dove si impara che cosa significa essere un uomo o una donna – e cosa la società si aspetta dall’appartenenza a un genere – è a scuola che, scrivono le autrici, «si può sperimentare qualcosa di diverso da quello che si è visto in famiglia, non sono in teoria ma anche nella pratica».

L’educazione affettiva che serve nelle scuole è questa: imparare a gestire l’incapacità di stare nella frustrazione, la fatica di accettare un no in una relazione, il rispetto altrui, il sapere contenere il proprio dolore o la propria rabbia cercando conforto dove si può trovare, accettando che una parte di sofferenza fa parte della propria vita.

Il ruolo centrale della scuola e della comunità

L’esperienza pratica è diretta è un punto centrale che emerge dall’inchiesta: le autrici portano l’esempio della comunità Kayros, a Vimodrone, che dal 2000 accoglie giovani tra i 14 e i 25 anni con procedimenti penali in corso. Qui, in uno studio di registrazione interno alla comunità, i ragazzi incidono musica trap. Canzoni che non parlano di “sole, cuore, amore”. Ma di armi, soldi e «attraverso cui i giovani raccontano quello che mai sono riusciti a raccontare». Il rispetto nei confronti delle donne, in questi testi, è praticamente inesistente. «Visto che questi ragazzi usano la musica per raccontare tutte le violenze che hanno subito, che linguaggio possono usare se non un linguaggio violento? Noi non possiamo oscurare questo tipo di musica» spiega don Claudio Burgio, che gestisce la comunità. «Non servono divieti, ma ascoltare i brani insieme ai giovani e aiutare i più piccoli a comprendere» aggiunge Mario, 22 anni, ospite della comunità di Kyros.

Affrontare il peso delle parole

Affrontare il peso delle parole e sceglierle: più che rimuovere ciò che esiste, serve discuterlo e capire le radici e le dinamiche di appropriazione. Il rapper Amir Issaa lo racconta nel libro: ha 45 anni ed è originario del quartiere romano di Torpignattara, dove è cresciuto con la madre e la sorella. «Nella mia sfortuna sono stato fortunato – spiega alle autrici – sono cresciuto con una certa sensibilità, facevo ascoltare le canzoni a mia madre, che era il mio punto di riferimento. La vedevo andare in carcere a trovare mio padre, vedevo la sofferenza. Come è possibile glorificare la vita di strada? Io non l’ho mai fatto, perché l’ho vissuta. All’inizio, quando ho cominciato a far rap, ero uno spaccone. Poi sono entrato a Rebibbia per un concerto e sono affiorati i ricordi. Da lì, per me la musica è diventata terapia».

“Spostare” oppure “oscurare” il presunto problema (della trap, in questo caso) perché non si hanno gli strumenti per affrontarlo è inefficace: serve invece creare gli strumenti insieme. «La scuola, con le famiglie come alleate, può fare la differenza. Insieme alla nascita di nuovi luoghi di aggregazione per i giovani, oggi sempre più soli, e di una rete sul territorio» concludono le giornaliste, chiudendo l’indagine con un messaggio preciso: «Noi adulti, com’è naturale in ogni cambio generazionale, non capiamo gli adolescenti, forse non li capiremo mai fino in fondo, ma più di questo conta stare dalla loro parte. Noi, come madri di cinque figli (tutti maschi) che presto si affacceranno all’adolescenza, siamo dalla vostra parte».

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Autrici: Chiara Di Cristofaro, Simona Rossitto e Livia Zancaner
Illustrazioni: Anarkikka
Titolo: “In TRAPpola. Giovani, parole e linguaggio. Come liberarsi da stereotipi e modelli sessisti”
Editore: Sole 24 Ore, 2024
Prezzo: 16,90€

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