Afghanistan, i talebani hanno rubato il futuro a donne e ragazze

Da 3 anni il mondo assiste alla totale negazione dei diritti delle donne in Afghanistan da parte dei talebani. Una situazione che Richard Bennett, relatore speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel Paese, definisce come un «deterioramento senza precedenti dei diritti delle donne». Gli fanno eco le parole di Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus che, raggiunta da Alley Oop in occasione del 3° anniversario dal ritorno al potere del movimento fondamentalista islamico spiega: «Per le adulte, le ragazze e le bambine, la vita sotto i Talebani comporta una miseria e una solitudine sempre più profonda e drammatica da affrontare quotidianamente».

Tutti gli aspetti della vita delle donne a ogni età è limitato: l’istruzione, l’occupazione, l’abbigliamento, ma anche l’accesso al sistema giudiziario e i viaggi fuori casa. L’ultimo editto prevede anche il divieto per le donne di cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico. 

Le donne vengono cancellate dalla vita pubblica: vietato coltivare sogni e aspirazioni, mentre fame, povertà, violenza di genere e matrimoni combinati sono pericoli quotidiani.

La repressione è pervasiva e istituzionalizzata, al punto che i gruppi per i diritti umani spingono affinché l’apartheid di genere venga riconosciuto come crimine nel diritto internazionale. Farlo non sarebbe solo una questione semantica, ma un potente strumento politico e giuridico.

Una vita di restrizioni

La salita al potere dei talebani del 2021 ha coinciso con uno sradicamento delle donne da tutti gli aspetti della vita pubblica. Ciò «incide sulla capacità di coltivare sogni e aspirazioni, perché i divieti negano qualsiasi tipo di scelta e diritto di essere, violando praticamente ogni aspetto della loro vita» spiega Lanzoni.

Più nel dettaglio, come illustra la portavoce, «tra le prime cose vietate alle donne c’è stato quello di occuparsi di politica. Non si può uscire senza uomini per non oltre 70 km, dopo gli 11 anni non si può più andare a scuola e quindi neanche all’università. Non si indossano jeans e c’è l’obbligo di coprirsi il viso e il corpo per uscire di casa. Chi aveva divorziato è dovuta tornare con l’ex marito, anche se abusante».

I divieti prendono di mira circa 20 milioni di donne e ragazze. Le limitazioni interessano anche la vita lavorativa: «È vietato il lavoro in diversi ambiti, incluso nelle organizzazioni governative, tranne quello sanitario e scolastico perché la segregazione di genere passa per la divisione dei ruoli anche nel settore lavorativo. Sono state eliminate dai posti di lavoro tutte le avvocate, le procuratrici, le giudici».

Il più recente editto emanato dal Ministero per la Prevenzione dei vizi e la Promozione delle virtù, di recente creazione, prevede anche il divieto per le donne di cantare, recitare o leggere ad alta voce in pubblico. E ancora: «niente più ginnastica nei parchi pubblici, tantomeno centri estetici. Uno degli ultimi decreti ristabilisce la lapidazione per le donne come sistema di punizione, come se tutto il resto non fosse già abbastanza…».

Segregazione di genere, in numeri

Gli indici internazionali cristallizzano in dati e numeri il declino della qualità delle donne afghane.

Il Paese si classifica all’ultimo posto a livello globale (al 177esimo) nel Women Peace and Security Index 2023/2024 realizzato dalla Georgetown University. Nell’ultima edizione del Women, Business and the Law 2024, redatto dal World Economic Forum, l’Afghanistan ha ottenuto un punteggio complessivo di 31,9 su 100.

Secondo il gender country profile di Un Women, tra il giugno 2021 e la fine del 2022, i tassi di occupazione sono diminuiti del 25% per le donne e del 7% per gli uomini. Mentre, stima Save the children, dall’agosto 2021, circa 29,2 milioni di persone hanno urgentemente bisogno di assistenza umanitaria in Afghanistan, con un aumento del 480% in soli 5 anni. Su una popolazione di 44,5 milioni di persone, più della metà vive al di sotto della soglia di povertà.

Il tasso di mortalità materna in Afghanistan è pari a 620,4 decessi ogni 100mila nati vivi. È l’8° tasso più alto al mondo. Sul fronte della violenza di genere, è utile ricordare che l’Afghanistan ha uno dei livelli più alti di maltrattamenti in famiglia a livello globale, con una media nazionale di donne del 50.8% che ha fatto esperienza di violenza da parte di partner o familiari durante la sua vita, con punte del 92% in alcune province. Mentre dal punto di vista dell’inclusione finanziaria, nel 2021 solo il 5% delle donne aveva accesso a un conto in banca personale, contro il 15% degli uomini.

Benessere psicologico

Le donne, insomma, non sono per legge libere di poter scegliere la vita che vogliono vivere, né possono minimamente sognare di usufruire delle stesse opportunità e diritti degli uomini: «sono obbligate principalmente a vivere in casa, tra le mura domestiche, tra le donne o le persone della propria famiglia che spesso sono le uniche che vedono per mesi. Questo isolamento forzato sta portando molte donne e ragazze a una profonda disperazione», dice Lanzoni.

Tra maggio e giugno Pangea ha intervistato 100 donne tra i 19 e i 45 anni. I risultati sono stati allarmanti: «tutte le intervistate hanno pensato almeno una volta in quel mese di tentare il suicidio perché non vedono futuro per loro».

Lo spaccato di vita raccolto da Pangea riflette i risultati di ricerche sul benessere psicologico condotte da altri enti. La piattaforma digitale afghana Bishnaw nel marzo 2023 ha svelato che il 68% delle intervistate conosceva almeno una donna o ragazza che soffriva di ansia e depressione e l’8% ha dichiarato di conoscere almeno una donna o ragazza che aveva tentato il suicidio.

Un’indagine delle Nazioni Unite dello scorso dicembre ha rilevato che il 76% delle donne e delle ragazze afghane ha definito la propria salute mentale come “cattiva” o “molto cattiva”, con insonnia, depressione, ansia, perdita di appetito e mal di testa tra i problemi più comuni. Quasi 1/5 delle intervistate ha anche affermato di non aver incontrato un’altra donna al di fuori della propria famiglia nei tre mesi precedenti.

«La vita dentro casa isola dal mondo, malgrado internet e l’elettricità che in questo Paese sono un privilegio. Le donne ci hanno raccontato del terrore di ricevere visite di giovani talebani, ci raccontano del terrore di vivere quello che altre hanno già vissuto e raccontato, delle molestie e violenze subite dentro come fuori casa, dei matrimoni forzati, delle umiliazioni inimmaginabili. Ed è così che le paure diventano sempre più grandi insieme alle angosce e a una visione del futuro senza via di uscita», racconta ancora Lanzoni.

Le ricadute economiche

La repressione talebana sta influenzando anche l’economia e le possibilità di sviluppo del Paese. L’Afghanistan sta attualmente affrontando più crisi sovrapposte – economica, umanitaria, politica – ciascuna delle quali è interconnessa ed esacerbata dalla crescente restrizione dei diritti delle donne.

Oggi più di un terzo della popolazione sta ancora vivendo nell’insicurezza e insufficienza alimentare, il che significa che 14,2 milioni di persone vivono una condizione severa di malnutrizione. «Oltre alla violenza istituzionale contro le donne c’è la fame. La condizione è tale che alcune famiglie danno in sposa le loro figlie minori favorendo matrimoni precoci e forzati con uomini molto più grandi delle giovanissime. I tassi di matrimoni precoci, forzati e infantili sono allarmanti secondo Un Women e continuano ad aumentare, poiché le famiglie ricorrono a queste pratiche come meccanismi di sopravvivenza».

In compenso, in 3 anni è salito il bilancio della spesa militare: secondo un resoconto di Zan Times, nel 2023 sono stati destinati ai ministeri della Difesa e degli Affari interni e alla direzione dell’intelligence, 1,1 miliardi di dollari, quasi la metà delle entrate del Paese. Nel 2021 la spesa era di 278,3 milioni di dollari.

Le scuole femminili per le alunne sopra i 12 anni sono state chiuse e si stima che oggi 1,2 milioni di ragazze adolescenti siano state di fatto bandite dalle scuole secondarie. Il divieto di istruzione, secondo Un Women, è correlato a un aumento del 25% dei matrimoni infantili e del 45% delle gravidanze precoci. Nel 2023, i dati hanno rivelato che il 28,7% delle ragazze afghane sotto i 18 anni erano sposate, di cui il 9,6% sotto i 15 anni.

Fondazione Pangea porta avanti i suoi progetti in Afghanistan dal 2003. Dal 2021 a oggi ha lavorato con circa 10mila famiglie per la sopravvivenza alimentare ed economica «per dare risposte dove ci sono stati negli ultimi mesi catastrofi naturali che hanno ulteriormente peggiorato la condizione della popolazione e quella delle donne. Inoltre lavoriamo inoltre nel sostenere le scuole con bambine e bambini sordi che rimangono aperte. I nostri sforzi sono ampi e bisogna sempre mantenere un grande equilibrio per fare ciò che è possibile nell’impossibile».

Apartheid di genere

Dall’ascesa al potere nell’agosto 2021 a oggi il governo de facto dei Talebani ha emesso oltre un centinaio di decreti, di cui 2 su 3 rivolti alle donne. Tre anni dopo, il risultato è che queste ultime sono state quasi eliminate totalmente dalla vita pubblica in tutto il Paese. «Un attacco incessante che ha creato in maniera costante e coerente una segregazione di genere, puntuale e sistemica nei vari territori afghani, quello che le attiviste afghane chiamano l’apartheid di genere», spiega la vicepresidente della fondazione.

I gruppi per i diritti umani spingono affinché il termine “apartheid di genere” venga definito dal punto di vista della giurisprudenza internazionale. Farlo non sarebbe solo una questione semantica, ma un potente strumento politico e giuridico dato che permetterebbe di inserirlo come crimine contro l’umanità nella Convenzione sui crimini internazionali in elaborazione alle Nazioni Unite.

«La definizione di apartheid di genere – illustra la portavoce – aiuterebbe a definire uno standard minimo di diritto relativo alle donne di ogni età oltre il quale nessuno stato eletto o autoproclamato possa far finta di non riconoscere perché crimine contro l’umanità. Non si deve permettere di tornare indietro in nessun Paese del mondo. Su questo va creata la solidarietà internazionale. È urgente e va fatto subito».

«A che serve una Agenda 2030 nel mondo se poi tutti i Paesi non difendono quel minimo standard di diritti e libertà che dovrebbero essere rispettati ovunque? Non basta avere la moda mondiale omologata, omologhiamo anche i diritti e le libertà, di movimento, di pensiero ed espressione, il diritto fondamentale all’educazione e alla salute, al cibo sano per crescere e affrontare la vita», chiosa Lanzoni.

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  • Costantina Muzio |

    Uno sguardo aperto e intelligente sul mondo, leggervi migliora la vita e aiuta ad aprire altri occhi, grazie

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