La voce dei detenuti di Rebibbia nel giornale ispirato da Suor Emma

La sofferenza e la speranza. E la voglia di ritrovare un’esistenza normale oltre le sbarre. È un filo rosso quello che cuce le storie che periodicamente trovano spazio nelle pagine di “Non tutti sanno” il giornale scritto dai detenuti di Rebibbia Cr, guidato da Roberto Monteforte, 69 anni, per parecchi anni Vaticanista a l’Unità oltre che vice presidente di Stampa Romana e consigliere nazionale della Fnsi e ispirato da suor Emma Zordan.

Oggi, all’interno del carcere «da volontario, perché sono in pensione», guida il gruppo di detenuti che manda in stampa «con strumenti di fortuna»  il periodico che racconta il mondo penitenziario e quello strettamente collegato «che è fuori». 

Come è nato il progetto

Un’avventura importante per Monteforte che, terminato il suo rapporto di lavoro attivo e la lunga militanza sindacale  ha deciso di seguire la strada del volontariato mettendo a disposizione degli altri le proprie competenze.  «Diciamo che è una cosa che non ho cercato ma è capitata – racconta -. E tutto il merito va a Suor Emma, la suora che una volta alla settimana cura un corso di scrittura creativa all’interno del carcere».

È stata proprio Suor Emma, che una volta all’anno si occupa della pubblicazione di un libro in cui si dà voce ai detenuti, ad aprire la strada a questa iniziativa. «Un giorno mi ha detto: serve un giornalista per fare un giornale, io non ho le competenze, ma tu sei professionista. Quindi fai tu il direttore e organizza il lavoro». Il resto sono riunioni, incontri e ore dedicate a costruire quello che, nel tempo, diventa una pubblicazione in formato A3. 

«Fare un giornale in carcere è abbastanza complicato – racconta – perché non ci sono mail, non si possono fare telefonate e le regole sono stringenti. Allo stesso tempo però si affronta una sfida importante perché si cerca di dare una nuova opportunità a chi sta all’interno e si cerca anche di creare un ponte con la società che sta fuori». 

Attraversare la pandemia

In mezzo anche la pandemia «io e suor Emma siamo stati gli unici volontari, anche durante la pandemia, a fare attività in carcere: per il libro e il notiziario». Quindi la rivisitazione del vecchio notiziario e la fattura di un vero e proprio giornale. «Un po’ per volta abbiamo cercato di fare un lavoro che guardasse la realtà e non uno sfogatoio, ma un luogo che da importanza agli aspetti della vita».

E poi i primi risultati positivi. «Oggi il giornale che abbiamo realizzato vede le persone soddisfatte, cerchiamo di dare una speranza, perché se c’è una speranza c’è anche futuro». 

E quell’argomento, le carceri, considerato sempre attuale. «Se non ci fosse Papa Francesco che parla di carcere o che va a fare la lavanda nelle carceri italiana questo mondo sarebbe dimenticato – conclude -. Perché è vero che ci sono i garanti, Antigone e altre associazioni che fanno un lavoro davvero molto importante, ma la sensibilità è una sensibilità inadeguata e il punto da cui si dovrebbe partire è che il carcere siamo anche noi. Invece molto spesso, tutti quanto facciamo finta di non vedere, ma ci appartiene. E dalla qualità di vita che c’è dentro si capisce quello che c’è fuori». Un mondo parallelo da non dimenticare. 

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