Donne e diritti: non è un Paese per madri lavoratrici

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Dimmi quanti figli hai e ti dirò che lavoratrice sei. Se fosse un test, potrebbe iniziare così. Ma c’è poco da star serene: la proporzionalità inversa, in questo caso, funziona benissimo. Il tasso di occupazione delle donne tra i 25 e i 49 anni passa dal 72% per chi non ha figli al 53% per chi ne ha almeno uno di età inferiore ai 6 anni (la media europea è del 67,4%). Detta in altro modo: in Italia, quando diventi madre, il lavoro diventa una montagna altissima da scalare.

È una questione di diritti, anzitutto. Perché le diseguaglianze di genere hanno radici profonde, che riguardano il contesto familiare e la formazione, ma che con l’ingresso nel mondo del lavoro, si rafforzano ulteriormente. I primi dossi si incontrano in fase di colloquio: per quanto il Codice delle Pari Opportunità vieti ogni forma di discriminazione che riguardi lo stato sentimentale, di famiglia o di gravidanza, è tutto fuorché inusuale sentirsi rivolgere domande del tipo: «È sposata? Suo marito di cosa si occupa? La sua famiglia?». Domande apparentemente innocue, ma che in realtà puntano a indagare l’affidabilità della candidata, bilanciandola con le esigenze di cura familiare (da sempre, a maggior carico femminile). Del resto, i numeri parlano da soli: il tasso di inattività delle donne per necessità assistenziali in Italia è del 35,7%, contro il 31,8% della media europea.

Cultura, si dirà. Ma non solo. Se il welfare familiare è impossibile da attivare (nessun nonno disponibile, nell’arco di pochi chilometri, a impiegarsi come babysitter a tempo pieno), l’unica è rivolgersi ai servizi. Ma anche lì, i diritti non sono per tutti. Se nasci a Bolzano – denuncia il rapporto nazionale sugli asili nido promosso da Con i Bambini e Openpolis – avrai a disposizione nei nidi pubblici quasi 7 posti ogni 10 bambini, se risiedi a Catania o a Crotone, potrai contare su 5 posti non ogni 10 ma ogni 100 bambini. È l’Italia, bellezza!

Un gioco da equilibriste

Non è un caso che la maternità sia descritta come un gioco per “equilibriste” dall’ultimo rapporto di Save The Children (2022). Un percorso a ostacoli da cui, ogni anno, scendono decine di migliaia di donne. Oltre 30 mila le madri che, solo nel 2020, hanno rassegnato le dimissioni. Le cause? Conciliazione vita – lavoro pressocchè inesistente e mancanza di servizi di assistenza adeguati e paritari.  

Non solo: diverse ricerche hanno rilevato come le madri vadano incontro a notevoli decrementi di reddito (cosiddetta child penalty), cosa che non accade ai padri. In Italia, sostiene l’INPS, la penalità è molto pronunciata nel breve periodo ma permane anche a diversi anni di distanza dalla nascita. A quindici anni dalla maternità, i salari lordi annuali delle madri sono di 5.700 euro inferiori a quelli delle donne senza figli rispetto al periodo antecedente la nascita. Del resto, moltissime sono le donne che – faticosamente – mantengono il lavoro, ma lo trasformano in part time, accontentandosi di una retribuzione (contribuzione) più basse e di minori chance di carriera.

E i papà?

Intanto, sul fronte del congedo di paternità l’Italia ha iniziato ad allinearsi alla Direttiva (Ue) 2019/1158 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 giugno 2019 relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e con la Legge di Bilancio 2021 ha esteso il congedo di paternità a 10 giorni. Un timido passo avanti, anche se ancora insufficiente sia da un punto di vista culturale in termini di genitorialità condivisa che organizzativo.

E lo smartworking? Il nuovo modo di lavorare ibrido potrebbe essere un aiuto, ma solo se la gestione familiare non ricade esclusivamente sulle mamme. Secondo un’indagine dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, infatti, le donne hanno riscontrato maggiori criticità nello smart working rispetto ai colleghi uomini a causa del carico domestico e di cura di figli e famiglia (indagine condotta su 8600 lavoratori/trici di organizzazioni pubbliche e private).

Quando gridiamo all’ennesimo crollo verticale delle nascite – nel 2022 si attende un ulteriore record negativo con 385mila nuovi nati, il 14,5% in meno del 2021 -, quindi, dovremmo ricordarci che una maggiore natalità non dipende certo dal diritto all’aborto, quanto piuttosto da un sistema completamente inadatto a sostenere la maternità (anzi, la genitorialità). Qualcosa si proverà a fare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza che promette di lavorare sulla parità di genere con misure specifiche indirizzate alla conciliazione, alla cura e all’assistenza familiare.  Misure che, secondo quanto previsto, dovrebbero portare un aumento dell’occupazione femminile di 4 punti percentuali entro il 2026. Mamme lavoratrici attendono con ansia.

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  • Renato |

    Buongiorno
    Sono un padre separato, e mi ritrovo a dover lavorare all’estero perché la mia ex continua a non voler lavorare in quanto aiutata dalle leggi che favoriscono di piu le mamme rispetto ai padri.
    Per essere piu precisi, la signora lavora al nero. Cosi prende anche il sostegno dallo stato.

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