Libri sotto l’albero: i consigli della redazione di Alley Oop

Donne che hanno scritto la Storia cambiando il futuro e donne che cercano disperatamente di cambiare la propria, a beneficio di tutte e di tutti. Donne che camminano nella tempesta:  a Gaza, in Iran, in Argentina. Donne che non dormono, che partono, soffrono, che cantano il vento e la libertà, anche in gabbia. Donne che affrontano montagne. Donne che si ribellano alla violenza. Quest’anno la redazione di Alley Oop vi consiglia tutte storie al femminile da mettere sotto l’albero. In nome de “La femminanza”, a nostro avviso romanzo dell’anno. Perché il dono, e l’augurio, in un mondo che sembra precipitare nell’abisso, è quello di riscoprire le “cerchie” delle donne e dei loro saperi antichi, il filo delle rivoluzioni personali che si fanno collettive, la magia delle mani tese per sostenersi le une con le altre. Di generazione in generazione. Un mondo di pace. Buon Natale.

“Convalescenza” (Adelphi) di Han Kang

“Convalescenza” raccoglie due racconti indipendenti della scrittrice sudcoreana Han Kang. I due racconti sono stati pubblicati insieme in Italia nel 2019, seppur il primo racconto risalga al 2012 e il secondo al 1997. La raccolta esplora in circa novanta pagine non tanto il dolore delle due protagoniste, quanto come questa sofferenza diventi per entrambe un terreno fertile di trasformazione. Centrale il dolore fisico come manifestazione del dolore delle protagoniste.

Nel primo racconto, che dà il nome al volume, la protagonista è alle prese con la medicazione di una ferita alla caviglia, eco lontano della sofferenza per la morte della sorella: un rapporto che oscilla tra l’invidia e l’ammirazione, e da cui il ricordo la donna cerca di scappare. Il secondo racconto, “Il frutto della mia donna”, narra invece di una coppia in crisi: al centro di questo progressivo e inesorabile allontanamento, c’è il senso di alienazione e soffocamento del personaggio femminile rispetto a una vita che non voleva, un disagio contro cui si ribella grazie alla sua lenta e surreale metamorfosi in pianta. Ci sono i temi che avrebbero reso celebre Kang con “La vegetariana” (2007), romanzo per cui la scrittrice ha vinto l’International Booker Prize nel 2016. Dedicato a chi cerca la forza per rinascere dal dolore. (Sara Magnacavallo)

“Mai fidarsi delle donne insonni” (Einaudi) di Annabel Abbs

Cosa c’entra l’insonnia con il ruolo delle donne nella storia? Annabel Abbs nel suo “Mai fidarsi delle donne insonni” (titolo originale: “Sleepless”),  pubblicato in Italia da Einaudi nel 2025, lo spiega. Il libro nasce dall’esperienza personale di insonnia dell’autrice, che decide di intraprendere un “viaggio straordinario” attraverso le vite di altre donne insonni celebri per capire e dare un nuovo significato alla sua condizione. Ribaltando la percezione comune dell’insonnia visto come un problema esclusivamente medico, Abbs la trasforma in un’opportunità, un “tempo dalle infinite possibilità”, che le donne hanno sfruttato per secoli per pensare, creare e vivere liberamente, lontano dagli obblighi della vita diurna.

È un mix di memorie, biografie e saggio, che accompagna il lettore in un viaggio «dal Sussex al Polo Nord, dalla Manica a Singapore», seguendo le tracce di donne che hanno fatto la storia nonostante una condizione che a volte può essere veramente invalidante. Dedicato a chi soffre di insonnia ma anche alle donne che sognano in grande ad occhi aperti. (Giulia Cannizzaro)

“La chiamata. Storia di una donna argentina” (Sur) di Leila Guerriero

Ci sono storie che chiedono non solo di essere lette, ma ascoltate. “La chiamata. Storia di una donna argentina” (Sur) di Leila Guerriero è una di queste. È la storia di Silvia Labayru, ma è anche la storia di quello che succede a una donna quando sopravvive. Sopravvive alla tortura, alla violenza, alla dittatura. E poi sopravvive allo sguardo degli altri. Al sospetto. Alla domanda mai detta ma sempre presente: «Perché tu sì?» Nel 1976 Silvia Labayru ha vent’anni, è una militante di Montoneros, un gruppo armato di matrice peronista: viene sequestrata dalla dittatura argentina, rinchiusa all’Esma, torturata, violentata. Partorisce sua figlia in un centro di detenzione clandestino. Viene liberata. E quando finalmente sale su un aereo e pensa che l’inferno sia finito, scopre che l’inferno cambia forma: è l’esilio, l’accusa di tradimento, l’isolamento, il giudizio su un corpo di donna che è rimasto vivo.

Leila Guerriero non cerca l’eroina, né la vittima perfetta. Cerca la complessità. Passa anni ad ascoltare, a verificare, a tornare sui dettagli. E quello che costruisce non è solo un libro sulla dittatura di Videla, ma un ritratto intimo e spietato di una donna intera: contraddittoria, ironica, ferita, viva. Una donna che ama, sbaglia, desidera, cresce figli, tradisce, si rifà una vita. Una donna che, a un certo punto, decide di tornare indietro e denunciare. “La chiamata” è un libro sulla violenza ma è soprattutto un libro sul dopo. Su cosa resta. Su come si convive con una storia che gli altri vogliono semplificare. Su quanto sia difficile, per una donna, essere creduta quando la sua sopravvivenza disturba. (Nicoletta Labarile)

“Le appassionate. Storie di donne che hanno cambiato il futuro” (Feltrinelli) di Maria Novella De Luca e Simonetta Fiori

Dieci donne, dieci cambi di passo, dieci rivoluzioni silenziose che hanno lasciato il segno sfidando convenzioni e istituzioni immobili: regali alle ragazze, eredità di libertà alle nuove generazioni. Sono “Le appassionate” raccontate dalle giornaliste Maria Novella De Luca e Simonetta Fiori. Figure come la partigiana Teresa Vergalli, morta a 97 anni il 16 maggio 2025, tre giorni dopo l’uscita del volume, o come Nunni Miolli, tra le casalinghe femministe vittime dell’attentato dei Nar a Radio Città Futura nel 1979. Pioniere come la magistrata Gabriella Luccioli, la psichiatra basagliana Giovanna Del Giudice, la rettrice di Sapienza Antonella Polimeni, la chirurga oncologa Gaya Spolverato.

Eroine involontarie come la madre di Dj Fabo Carmel Carollo – a lei sono dedicate pagine strazianti –  e la giornalista Sandra Bonsanti, tra le prime a denunciare in pubblico la violenza in famiglia. Fino alle più giovani: la disegnatrice Fumettibrutti, donna transgender bisessuale, e la sindacalista Hardeep Kaur, diventata voce dei braccianti sikh dell’Agro Pontino. Le loro storie disegnano itinerari di democrazia, alternative di leadership, modi diversi di intendere ed esercitare il potere. Con un elemento comune: tutte hanno lavorato o lavorano ancora non solo per i diritti delle altre, ma per la dignità umana. (Manuela Perrone)

“Tutta la vita che resta” e “Io che ti ho voluto così bene” (Rizzoli) di Roberta Recchia

Il dolore e la sofferenza delle famiglie delle vittime. Il dolore e la sofferenza delle famiglie del carnefice. È  quanto mostra, in tutte le sfaccettature possibili, Roberta Recchia nei suoi due libri “Tutta la vita che resta” (prima edizione marzo 2024, Rizzoli) e “Io che ti ho voluto così bene” (Maggio 2025 Rizzoli). Recchia, al suo esordio, racconta la storia di una famiglia travolta dal femminicidio di una ragazza di 16 anni, storia che passa dalla caduta e dalla rinascita della cugina di Betta, Miriam, anche lei vittima di violenza. La vicenda procede poi nel secondo libro, ribaltando il punto di vista: l’autrice in “Io che ti ho voluto così bene” narra infatti la vita di Luca, fratello dell’assassino di Betta. «Tutto ciò che era accaduto dopo quella tragedia gli si mostrava in una luce diversa, a seconda della prospettiva», scrive Recchia. Perché la prospettiva cambia, ma il dolore e la sofferenza sono le stesse. (Livia Zancaner)


“La vostra presenza è un pericolo per le vostre vite. Voci da Gaza”
(Sellerio) di Samar Yazbek

In poco più di 250 pagine, “La vostra presenza è un pericolo per le vostre vite. Voci da Gaza”, di Samar Yazbek, in libreria per Sellerio, è una fotografia atroce. Una Guernica che ci interroga sul genocidio in corso, condotto dall’esercito israeliano contro civili inermi, fantocci nel mirino di algoritmi di morte. Non è una guerra come la conoscevano i gazawi, questa. È un modo inedito di sterminare, di controllare, seminando il terrore. Con i palestinesi che sono diventati semplicemente «dati indesiderati».

«A Gaza, quell’atavico terrore umano di essere fatti fuori dalle macchine è diventato realtà. Il governo israeliano ha spinto l’umanità intera fino a questa soglia del terrore: secondo Human Rights Watch, per uccidere stanno utilizzando software di intelligenza artificiale; l’uccisione non richiede più decisioni umane, non c’è più quell’attimo di umana esitazione prima di premere il grilletto. Gli algoritmi di intelligenza artificiale, basati su milioni di dati relativi a omicidi e devastazioni, sanno perfettamente quando, dove uccidere i gazawi. L’essere umano, con tutte le sue emozioni contrastanti e le sue paure, è diventato una falla da chiudere, un mero spettatore sulla scena di un crimine commesso dalla sua ombra digitale». (Maria Concetta Tringali)

“A quattro zampe” (Feltrinelli) di Miranda July

«Quante volte mi ero tirata indietro al primo bivio di insicurezza? Dovevi sopportare di sentirti profondamente sbagliata se volevi andare da qualche parte». “A quattro zampe” di Miranda July, edito da Feltrinelli, è un libro ironico, a tratti duro, provocatorio e sincero sulla terra di mezzo di una donna cinquantenne. Il suo viaggio coast to coast da Los Angeles a New York diventa un rito di liberazione: da un matrimonio in crisi, dalla frustrazione di fantasie troppo spesso nascoste e desideri soffocati, dal non detto della menopausa.

La protagonista sogna: «Un giorno, quando saremo pronti entrambi, svelerò il mio vero io a Harris. Sarà come mostrare un golfino sferruzzato in segreto. Oh mio Dio, dirà. Dove hai trovato il tempo per farlo?! Un po’ qua e un po’ là, ogni volta che potevo. A volte anche quando mi eri seduto accanto». Un vero io che stupisce e può spaventare. Ma che è finalmente libero.  (Anna Zavaritt)

“E non scappare mai” (Rizzoli) di Annalisa Cuzzocrea
«Così Miriam impara». Comincia con questo biglietto sconvolgente ritrovato in una scatola blu – il biglietto scritto dal primo marito morto suicida – la storia di Miriam Mafai ricostruita magnificamente da Annalisa Cuzzocrea in “E non scappare mai”, edito da Rizzoli. Un saggio che è il romanzo di una vita, la ricostruzione delle pagine più intime dell’esistenza di una delle grandi protagoniste del Novecento italiano: Miriam Mafai, giornalista, scrittrice, parlamentare.

Cuzzocrea segue Mafai con rispetto e ammirazione nelle vicende pubbliche – l’impegno politico, i viaggi da inviata, lo sguardo lucido sulle trasformazioni sociali – e in quelle private, dall’incontro con Umberto Scalia, da cui nasceranno i figli, Luciano e Sara, alla lunga storia d’amore con il partigiano Nullo, quel Gian Carlo Pajetta famoso per le sue ire, qui svelato in tutta la sua tenerezza. «E non scappare mai» è proprio il messaggio che Nullo scrive a Miriam sul retro di una cartolina con cui la Rai lo invita ad assistere allo sbarco sulla Luna. Perché lei correva sempre. Fuggiva, anche, da tutto ciò che temeva potesse limitare la sua libertà. Ma sempre «camminava sicura nella tempesta». Una lezione per tutte. (Manuela Perrone)

“Ragazze elettriche” (Nottetempo) di Naomi Anderman
Cosa accadrebbe se le donne avessero lo stesso potere e e privilegi che hanno gli uomini? Nell’universo distonico di “Ragazze elettriche”, Naomi Anderman, ispirata da Margaret Atwood, immagina che le donne possano colpire con scariche elettriche gli uomini. Con questo escamotage avvia e sviluppa una riflessione amata e attuale sul potere quando degenera in desiderio di sopraffazione e sulla rischiosa polarizzazione di genere. Perché le donne distruggono, violentano, seviziano e uccidono proprio come prima di loro avevano fatto gli uomini.

«La forma del potere è sempre la stessa; è la forma di un albero. Dalle radici fino alla cima, un tronco centrale che si ramifica e ramifica all’infinito, aprendosi in dita sempre piú sottili, protese in avanti. La forma del potere è il disegno di una cosa viva che tende verso l’esterno, e manda i suoi sottili filamenti un po’ oltre, e ancora un po’ piú oltre». (Anna Zavaritt)

“Dovrò prepararmi a fiorire. Poetesse iraniane dal Novecento a oggi” (AnimaMundi), a cura di Faezeh Mardani

La poesia è il canto libero di chi non si rassegna. Lo è sempre, ma in alcuni luoghi e in alcuni tempi di più. Le donne iraniane che non si stancano di combattere contro un regime teocratico ottuso lo sanno. “Dovrò prepararmi a fiorire” è la prima rassegna italiana della poesia femminile in Iran. Una raccolta, curata da Fazeh Mardani e tradotta anche da Francesco Occhetto, che dà voce a Forugh Farrokhzād, Bitā Malakuti, Leila Kordbacheh, Parvin Salājeghe, Fereshteh Sāri e Grānāz Moussavi. Sei protagoniste della poesia persiana dal Novecento a oggi.

Ne “Il giardino” Farrokhzād esprime la sua pena per i giardini abbandonati, per i cortili soli, per i vicini che “al posto dei fiori/piantano granate e mitragliatrici”. «Ho paura – scrive – di questo tempo che ha perduto il suo cuore/ho paura/dell’immagine di queste mani vuote/di questi volti sconosciuti». Ma pensa che anche «il giardino si possa portare all’ospedale». Che una cura, forse, c’è. Un omaggio alla speranza, non solo per l’Iran. Un’ode al domani, come quella di Parvin Salājeghe nella poesia che dà il titolo al libro: «E così domani/appena inizierà a piovere/dovrò prepararmi/a fiorire. (Manuela Perrone)

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