“L’anniversario” di Bajani vince lo Strega 2025: così un uomo disarma il patriarcato

Andrea Bajani, vincitore Premio Strega 2025 – Italia – Giovedì 3 Luglio 2025 – Cronaca – (foto di Cecilia Fabiano/ LaPresse)

«La letteratura continua a essere la contestazione delle versioni ufficiali. Oggi questa versione è ancora patriarcale e la mia contestazione è affidata al protagonista del libro». Sono le parole di ringraziamento di Andrea Bajani, vincitore del Premio Strega 2025 con “L’anniversario”, edito Feltrinelli. Nella serata del 3 luglio 2025, al Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma, non è stata premiata soltanto un’opera letteraria di grande intensità stilistica, ma una voce maschile che, per una volta, non si è arrogata il diritto di spiegare, insegnare o difendere, ma ha deciso di disarmare. E di disarmarsi.

In un Paese dove la famiglia è ancora troppo spesso teatro di potere opaco e dove le narrazioni maschili tendono a legittimarsi attraverso l’appropriazione della parola pubblica, “L’anniversario” ha compiuto un gesto controintuitivo: ha sottratto l’uomo al centro della scena. Ha scelto, piuttosto, di raccontare la fine come un inizio necessario: il momento in cui si smette di essere figli per poter diventare altro. Perché, talvolta, crescere significa avere il coraggio di non tornare più a casa.

L’assenza come atto politico

Il protagonista del romanzo ha tagliato i rapporti con la famiglia d’origine da dieci anni. Non si tratta di un gesto momentaneo, ma di una frattura permanente, «una diserzione consapevole». Non c’è riconciliazione, né necessità di redenzione. C’è, semmai, la messa in scena di un vuoto radicale, quello che resta quando si smette di obbedire alla logica dell’obbligo affettivo, all’imperativo della mediazione, alla mitologia della figura paterna. In quel vuoto si annida la forza autentica del testo: un uomo che smette di proteggere l’autorità paterna in nome della tradizione, che non chiede più spiegazioni alla madre, che non cerca una verità comune, ma si prende la libertà di custodire la propria.

In un Paese in cui il patriarcato non è solo un potere esplicito, ma un assetto interiore, “L’anniversario” mostra quanto sia urgente smascherare i legami che si fingono amore quando sono solo gerarchia. Bajani racconta un uomo che ha dismesso i panni del complice e che, nel silenzio di questa rinuncia, si restituisce finalmente alla responsabilità di scegliere chi essere.

Decostruire senza spiegare

La grandezza del romanzo non sta nell’intenzione di essere un libro «contro il patriarcato». Bajani sa che la forza del patriarcato contemporaneo sta nella sua capacità di nascondersi nel linguaggio quotidiano, nei ruoli che non vengono più messi in discussione. Ed è proprio per questo che sceglie un’altra via: non quella della critica esterna, ma quella della scrittura come lavoro interno di sottrazione.

“L’anniversario” è un testo che si sbarazza dell’autorità, che lascia spazio ai vuoti, alle mancanze, ai silenzi, come se la vera rottura non avvenisse quando qualcuno urla, ma quando qualcuno decide di non rispondere più. In questo senso, il romanzo si iscrive in quella genealogia di testi che non cercano di aggiustare il mondo, ma di disarticolarne i meccanismi narrativi. Bajani non offre redenzione, ma frattura. Non pacificazione, ma scarto.

Il figlio non torna. Il padre non cambia. La madre resta incastrata nel suo ruolo. Non c’è tragedia, né catarsi. Solo un tempo che passa e che, passando, mostra quanto siano artificiali le strutture su cui si reggono molte delle nostre relazioni più intime.

Villa Giulia: il rito e la sua rottura

Che questo libro abbia vinto lo Strega non è solo un riconoscimento al valore letterario dell’opera. È un evento culturale che vale la pena leggere con attenzione. Sul palco Bajani ha parlato poco. Non ha “spiegato” il suo libro. Non ha moralizzato. Ha fatto ciò che il suo romanzo insegna: ha lasciato spazio. La sua è stata una presenza quasi in sottrazione. E in un panorama letterario spesso dominato da posture virili, da scritture che cercano ancora di dare un senso alle cose attraverso la chiarezza o l’autorità, “L’anniversario” fa un passo indietro. Ed è in quel passo che si rivela una posizione politica.

Una maschilità che si espone, che non si difende

Quello che Bajani mette in gioco, anche senza proclamarlo, è un modo diverso di essere uomo nella scrittura. Non più figura centripeta, attorno a cui ruotano donne, figli, conflitti e conflitti risolti. Ma un soggetto parziale, spezzato, che non cerca di ricucire i propri strappi con la forza della narrazione, ma li espone come ferite ancora aperte.

Nel panorama maschile della letteratura nazionale, spesso ancora ancorato a figure di padri morali, narratori-demiurghi e protagonisti assertivi, “L’anniversario” compie un’inversione. Non si tratta di un uomo che si interroga, ma di un uomo che smette di cercare risposte. Che rinuncia al bisogno di capire tutto, di chiudere tutto, di spiegare tutto. E che, nel farlo, mostra che il patriarcato si regge anche su questa ansia di dominio cognitivo.

Non una denuncia, ma un lavoro interno

Questo romanzo è un atto di decostruzione perché è un lavoro interno alla forma. Non dice: «Il patriarcato è sbagliato». Mostra come si abita. Come si replica. E come, in certi casi, l’unico modo per non esserne complici è andarsene. Non metaforicamente. Letteralmente.

Per questo la vittoria de “L’anniversario” va letta non come un segnale di “inclusività” o “attenzione ai temi sociali”, ma come un evento che ci obbliga a rivedere che cosa significhi oggi scrivere da uomini, per chi e contro chi. E in quale misura la letteratura sia ancora – o possa tornare a essere – un dispositivo di liberazione individuale che agisce anche a livello collettivo.

Una vittoria che mette in crisi il canone

Il Premio Strega 2025 ha premiato non solo un buon romanzo, ma un romanzo utile. Perché non rassicura, non costruisce nuovi miti, non si mette al servizio di nessuna identità. “L’anniversario” non propone un modello positivo, non insegna a diventare “padri migliori” o “figli più consapevoli”. Non c’è pedagogia. C’è solo la messa a nudo di una relazione che non funziona, e la possibilità radicale – e politicamente sovversiva – di smettere di tenerla in vita.

È da qui che passa oggi la decostruzione del patriarcato nella letteratura: non da chi denuncia, ma da chi si sottrae. Non da chi scrive contro, ma da chi scrive altrove. E altrove, in questo momento, è esattamente dove Bajani ci invita ad andare.

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