Entro il 2025 il lavoro minorile sarà eliminato a livello globale. Era l’obiettivo che dieci anni fa i governi si erano posto a livello mondiale. La data è arrivata, ma l’obiettivo non è stato raggiunto. E oggi ancora 138 i milioni di bambini sono impegnati in qualche tipo di occupazione.
A tracciare i confini del fenomeno è il nuovo rapporto Oil-Unicef “Child Labour: Global estimates”, da cui emergono alcune criticità persistenti, nonostante qualche timido miglioramento in alcuni ambiti. «Negli ultimi quattro anni, il mondo è tornato sulla strada del progresso verso l’eliminazione del lavoro minorile: un cambiamento importante, dato che nella precedente stima globale, per la prima volta, avevamo osservato un aumento in termini assoluti. Ora, invece, assistiamo a un calo. E questa è una notizia molto positiva». A confermarlo, Federico Blanco, head dell’unità di ricerca e valutazione dell’Organizzazione mondiale del lavoro (OIL) che, davanti a una situazione a livello globale comunque pesante, cerca di guardare agli aspetti positivi degli ultimi dati.
Secondo le rilevazioni più recenti, il numero degli under 18 impegnati in qualche forma di lavoro è chiaramente diminuito negli ultimi venticinque anni, passando dai 160 milioni di bambini-lavoratori registrati nel 2020 ai minimi registrati dalle stime attuali. Per quanto poi resti ancora particolarmente significativo il numero di minori che svolgono lavori considerati pericolosi – oggi sono 54 milioni -, anche in questo caso la linea punta verso il basso.
«C’è una storia potente di speranza e progresso» sostiene Blanco, che puntualizza: «Nel 2000, 246 milioni di bambini erano coinvolti in lavoro minorile. 25 anni dopo, quel numero è diminuito di 108 milioni. In termini relativi, la diffusione è diminuita di circa il 50%. E nelle forme più difficili, come i lavori pericolosi, abbiamo osservato una contrazione ancora maggiore rispetto al lavoro minorile complessivo».
Lavori che vengono alimentati anche dalle scelte dei consumatori: acquistare, magari online da altri Paesi, oggetti a costi bassissimi vuol dire che alla base della produzione ci sono condizioni di sfruttamento, spesso dei minori.
Una linea spezzata, ma discendente
Nonostante i timori innescati dalla diffusione della pandemia, secondo i dati del rapporto Oil-Unicef l’andamento al ribasso dell’incidenza del lavoro minorile non si è interrotto. Anzi, al contrario di quello che ci si immaginava sarebbe stato innescato dalla crisi del 2020, praticamente tutte le regioni del mondo hanno invece conosciuto un (qualche) miglioramento. Stando ai numeri, proprio negli ultimi anni c’è stata una ripresa del cammino verso l’eliminazione di questa forma di sfruttamento.

Certo non si può affermare che il Covid sia passato senza lasciare traccia. «Sebbene i dati mostrino progressi significativi, è probabile che si sarebbero ottenuti risultati ancora maggiori se non ci fosse stata la pandemia» sottolinea Blanco, che prosegue: «Il rapporto riflette anche su quanto più velocemente dobbiamo procedere per raggiungere i nostri obiettivi. Ed è chiaro: dobbiamo accelerare. Muoverci undici volte più velocemente per eliminare il lavoro minorile entro il 2030. Sette volte più velocemente per raggiungere l’obiettivo entro il 2045 e quattro volte più velocemente per farlo entro il 2060».
Il progresso regionale

Trattandosi di una analisi condotto in una prospettiva globale, è importante guardare al fenomeno nelle diverse regioni del mondo. La non omogeneità dei trend a livello geografico complica infatti l’evoluzione del percorso verso l’eliminazione totale del lavoro minorile. Ogni area consce progressi e sfide, entrambi influenzati da tantissimi fattori concorrenti – dallo sviluppo economico alle politiche sociali – che incidono in modo vario sui numeri.
Spiega Blanco, «In Asia e nel Pacifico, la riduzione è stata particolarmente significativa, soprattutto negli ultimi quattro anni. I tassi di povertà sono scesi dal 21,2% del 2008 ad appena il 3,8% nel 2024. La regione ha registrato una straordinaria crescita economica, accompagnata da un’importante riduzione della povertà, dall’espansione dei sistemi di protezione sociale e, allo stesso tempo, da notevoli miglioramenti negli indicatori dell’istruzione, come i tassi di completamento della scuola primaria». Fattori concomitanti che come osservano gli hanno visto contemporaneamente «un calo della povertà, un’espansione della protezione sociale e miglioramenti negli indicatori chiave dell’istruzione».
Diversa la situazione registrata, invece, in Africa dove «la sfida del lavoro minorile rimane più complessa. La regione ha però compiuto progressi negli ultimi quattro anni. Si tratta di uno sviluppo incoraggiante. La sfida principale è di mantenere e accelerare questo slancio, garantendo che i progressi non vengano invertiti e che raggiungano tutti i bambini, soprattutto quelli nelle situazioni più vulnerabili».
Per dare un’idea più dettagliata del fenomeno, guardiamo ai dati. Nel continente si concentra quasi il 30% del totale dei minori impegnati in qualche forma di occupazione, con l’incidenza massima registrata nell’Africa sub-sahariana. Qui sono circa 86,6 milioni i bambini-lavoratori. Ed è in questa area che si registra anche il calo percentuale più basso dal 2008. Negli anni si è infatti passati dal 25,3% di under 18 occupati, al 21,5% registrato nel 2024. Per fare un confronto, nello stesso periodo in Sud America e nelle isole dei Caraibi la quota è diminuita dal 10% al 5,5%. Mentre la riduzione più importante è stata quella delle regioni asiatiche e Pacifico: nel 2008 erano 113,6 milioni i piccoli occupati (il 13,3%). Secondo le ultime stime si è scesi a 27,7 milioni. Una percentuale del 3,1%.

Cosa aiuta il progresso? Secondo quando riportato dal rapporto, a livello globale i successi sono da attribuire ad alcune politiche: dall’espansione dell’accesso ai servizi di base, alla costruzione delle infrastrutture. Dall’ampliamento della protezione legale dei bambini e dall’espansione dei loro diritti** al contrasto del lavoro minorile informale e nelle piccole imprese che operano ai livelli inferiori del mercato. Senza dimenticare, poi, l’istruzione. Contro un ingresso precoce nel mondo del lavoro, restano centrali l’offerta gratuita di scuole di qualità e il rafforzamento di un sistema di supporto adatto di percorsi “dai libri al lavoro”. Dalla formazione a forme di impiego dignitose.
«La conclusione è chiara. Le regioni che hanno compiuto i maggiori progressi sono quelle che hanno contemporaneamente ridotto la povertà, ampliato l’accesso a un’istruzione di qualità e ampliato la protezione sociale» dice Blanco.
Le differenze di genere
Su tutte proprio l’istruzione rappresenta un elemento cruciale. Soprattutto per come incide nel diminuire i numeri del lavoro minorile sia in termini generali che in una prospettiva di genere. Lo sappiamo, lavorare aumenta la probabilità di restare fuori da percorsi di studio. Come indica il rapporto Oil-Unicef, tra i minori che non sono occupati solo l’8% non va a scuola. La percentuale però sale al 31% tra quelli che svolgono qualche attività. E arriva al 47% tra i minori impegnati in lavori pericolosi.
Il dover svolgere un’attività sin da piccolissimi ha un peso e conseguenze diverse per le ragazze o i ragazzi, sia in base all’età di riferimento, che rispetto ai settori che li impiegano maggiormente e ai rischi a cui vengono esposti. I dati dicono che tra i 5 e gli 11 anni, è simile la percentuale di bambine e bambini occupati. Al crescere dell’età, però, l’incidenza di genere cambia; aumento specialmente il numero di ragazzi-lavoratori che, sulla popolazione totale tra i 15 e i 17 anni, arrivano ad essere una quota del 10,2%.
Tra le femmine, questo numero si “ferma” al 5,2%. Ma, come indica il rapporto, guardando nel dettaglio le rilevazioni, ci sono alcune distinzioni chiave da fare. A partire da quanto pesano le attività domestiche sul quadro generale. Includendo nei calcoli questi tipo di impegni, infatti, la percentuale di ragazze tra i 12 e i 14 anni che lavora raggiunge l’11,6%.
Chiarisce Blanco, «Il rapporto presenta due definizioni di lavoro minorile. Una basata sulle sole attività economiche e un’altra che include sia le attività economiche che i lavori domestici intensivi. Quando si includono queste (ultime) forme di lavoro, i modelli di genere cambiano significativamente, con una percentuale maggiore di ragazze coinvolte nel lavoro minorile a livello globale. Le differenze di genere sono importanti anche nei settori economici in cui sono coinvolti i bambini. Ad esempio, i ragazzi hanno maggiori probabilità di essere impegnati in settori come l’estrazione mineraria e l’edilizia, mentre le ragazze, in molte società, sono più spesso impegnate nel lavoro domestico in famiglie di terze persone, dove affrontano maggiori rischi di isolamento, sfruttamento e abusi».
Il lavoro minorile in Italia
In Italia la Costituzione (artt. 37 e 34), la Legge 977 del 1967 e i successivi sviluppi legislativi in materia, tutelano i minorenni disciplinando l’età di accesso al mondo del lavoro. La normativa prevede la possibilità per gli adolescenti di iniziare a lavorare a 15 anni a condizione di aver assolto l’obbligo scolastico di 10 anni – elemento che sposta quindi l’effettiva possibilità di accesso al mondo del lavoro al compimento dei 16 anni.
Ma quanti sono i giovanissimi che lavorano ancor prima dell’età legale per farlo? Numeri senza dubbio sottostimati, scrive Save the children, a causa della mancanza, nel nostro Paese, di una rilevazione sistematica in grado di definire i contorni del fenomeno in modo puntuale e continuativo.
Dall’indagine dell’Ong sul lavoro minorile in Italia “Non è un gioco” condotta da insieme alla Fondazione Di Vittorio, emerge che in Italia 336 mila minorenni di età compresa tra 7 e 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro, praticamente il 6,8% della popolazione di quell’età, mentre è del 20% la percentuale dei 14-15enni che hanno lavorato prima dell’età legale consentita: 1 minore su 5.
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Il report completo “Child Labour: Global estimates 2024, trends and the road forward” è disponibile dal 11 giugno sulle pagine dell’Organizzazione internazionale del lavoro.
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* “Adottare misure immediate ed efficaci per eliminare il lavoro forzato, porre fine alla schiavitù moderna e al traffico di esseri umani e assicurare la proibizione e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro minorile, incluso il reclutamento e l’impiego di bambini-soldato, e, entro il 2025, porre fine al lavoro minorile in tutte le sue forme”.
** Per quanto non analizzata nello specifico, è interessante ricordare la situazione duplice in cui si trovano gli Stati Uniti in tema di occupazione minorile di cui abbiamo trattato in questo articolo. Riportavamo come, secondo il think tank Economic Policy Institute, tra il 2021 e il 2023 almeno dieci stati hanno introdotto leggi che riducono le tutele sul lavoro per gli under 18. Al contrario, però, nel 2024 è cresciuto invece il numero di stati che hanno invece rinforzato, in alcuni casi aggiornandole, misure di tutela considerate obsolete o deboli.
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