A 47 anni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge sull’interruzione volontaria di gravidanza, nel nostro Paese l’accesso all’aborto resta tutt’altro che semplice. Non va meglio in Europa e nel resto del mondo. Ma accadono sorprese: la Sicilia ha appena approvato una legge regionale in materia di sanità, che introduce l’obbligo di assumere medici non obiettori nelle strutture ospedaliere pubbliche per garantire la piena attuazione della legge 194 del 1978.
La relazione ministeriale al Parlamento: dati vecchi di due anni
Partiamo dalla lettura dei dati che restituiscono un quadro inequivocabile. Ogni anno l’Istat conduce un’indagine coinvolgendo le Regioni, il ministero della Salute e l’Istituto superiore di sanità. La relazione che il ministro presenta al Parlamento ha a oggetto l’attuazione della legge 194 che prevede, tra l’altro, un investimento in termini di aggiornamento del personale sanitario sulle tecniche più moderne, meno rischiose e più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna che dovrebbe essere costante.
Sono gli istituti di cura pubblici e le case di cura private autorizzate (e, per l’aborto farmacologico, ormai anche gli ambulatori e i consultori) a rilevare tutti i casi di interruzione volontaria, effettuati in un range temporale che va dal primo gennaio al 31 dicembre e a doverli fornire, entro l’aprile dell’anno successivo, attraverso un sistema di acquisizione informatico.
Quella che adesso abbiamo a disposizione è, però, una fotografia scaduta: l’ultima relazione, presentata a novembre 2024, dà conto del quadro della situazione al 2022. Nel corso di quell’anno il numero totale di Ivg è stato 65.661; il tasso di abortività (che segna il numero di interruzioni volontarie ogni mille donne, di età compresa tra i 15 e i 49 anni) è del 5,6 per mille (rispetto al 5,3 del 2021): più 5,1%. Anche il rapporto di abortività (che descrive invece il numero di aborti ogni mille nati vivi) segna una crescita: più 4,6% (166,6 per mille nel 2022; 159 nel 2021).
«Il numero assoluto delle Ivg nel 2022 – si legge nella relazione – è aumentato del 3,2% rispetto al 2021, maggiormente per le donne straniere (+4,9%) rispetto alle italiane (+2,9%). Aumentati anche, complessivamente, tasso e rapporto di abortività, in controtendenza con lo storico trend in calo. La raccolta dati successiva consentirà di stabilire se si tratta di un dato isolato, limitato a questo particolare anno (come avvenuto per un aumento registrato nel 2004), o se fa parte di un nuovo, diverso andamento delle Ivg rispetto alla costante diminuzione riscontrata dal 1983».
Aborto farmacologico: il dato non rispecchia la realtà
Continua ad aumentare il ricorso all’aborto farmacologico, in seguito anche alla circolare del 12 agosto 2020 del ministero della Salute, che ha aggiornato le linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con Mifepristone e prostaglandine. Nel 2022 l’associazione è stata utilizzata nel 50,9% delle Ivg rispetto al 47,2% del 2021, al 24,9% del 2019 e al 3,3% del 2010. Permane una forte variabilità per area geografica con valori inferiori alla media nazionale nell’Italia insulare (33,0%) e meridionale (48,5%) rispetto al Centro (54,1%) e al Nord (53,9%).
Che l’accesso a questa forma di interruzione di gravidanza sia oggi praticato, di fatto, solo in due Regioni è cosa che sappiamo dai territori. Esclusivamente nel Lazio e in Emilia Romagna, le donne possono infatti fare ricorso alla pillola abortiva come da linee di indirizzo. Ciò ha reso necessaria la campagna Aborto senza ricovero, lanciata dall’Associazione Luca Coscioni, che denuncia: «Dal 2020 l’aborto farmacologico può essere eseguito in ambulatorio o in consultorio (linee di indirizzo ministeriali) con la possibilità di prendere la seconda compressa a casa propria. Eppure non tutte le Regioni, a distanza di cinque anni anni, hanno recepito e applicato le indicazioni ministeriali».
Sugli aborti clandestini nessuna stima
Ma se dalla relazione sappiamo che l’Italia continua a livello internazionale a presentare i numeri più bassi, con un andamento decrescente del tasso di abortività (che rispetto al 1983 è di -66,9%), e se è vero che l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (“Information series on sexual and reproductive health and rights – abortion”, 2020) ha dato evidenza di come in presenza di leggi sull’aborto meno restrittive si producano tassi di aborto inferiori e viceversa, c’è una circostanza che non possiamo ignorare: meno aborti rilevati possono significare – e il più delle volte significano – più aborti clandestini.
Quello che manca, nella fotografia fornita dal ministero della Salute al Parlamento, è proprio la stima sulle interruzioni praticate in modo silente e dunque pericolosissimo, stima che – riferisce la relazione ministeriale – è in corso di aggiornamento.
La voce delle donne
Ma le donne cosa dicono? Elisabetta Canitano, ginecologa e femminista, fra le fondatrici dell’associazione Differenza Donna, impegnata da anni sul fronte della difesa della legge 194, in occasione del convegno “Ripensare la legge 194: aborto, consultori, dati” tenutosi alla Camera il 23 maggio, ha spiegato un concetto fondamentale: «L’aborto è un problema che riguarda le cure delle donne e quando ne parliamo solo come di un problema di scelta finiamo per sottovalutare la questione. Ne consegue – ha aggiunto – che l’opposizione all’aborto è l’opposizione all’autodeterminazione ma anche alla sopravvivenza fisica delle donne».
Canitano, presidente dell’Associazione Vitadidonna che ha sede a Trastevere, presso la Casa internazionale delle donne, e fornisce assistenza e consulenza gratuita, si riferisce senza mezzi termini a quante muoiono (troppo spesso di setticemia) per non aver potuto abortire in sicurezza. E cita uno studio, pubblicato a maggio su JAMA Network Open, che rivela una forte correlazione tra disagio psicologico, soprattutto nelle donne più giovani, e leggi restrittive. Accade in Texas, dove l’aborto è vietato persino nei casi di stupro o incesto, in presenza di attività cardiaca del feto.
Dall’analisi trasversale su 79.609 individui, l’attuazione di severe restrizioni all’aborto nel 2021 è stata associata a un aumento di 6,8 punti percentuali della frequenza di disagio mentale tra le donne rispetto agli uomini e a un aumento di 5,3 punti percentuali tra le texane e le donne negli Stati che non avevano ancora approvato limiti severi. È evidente la ricaduta sulla salute psichica delle donne della difficoltà a esercitare pienamente il diritto a interrompere una gravidanza che non si desidera.
Le eccezioni di Francia, Spagna, Svezia e il Principato di Monaco
Appena l’anno scorso, il Parlamento europeo ha votato una Risoluzione sull’inclusione nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue del «diritto all’assistenza per un aborto sicuro e legale». Il testo riconosce anche che il rispetto della salute sessuale e riproduttiva e dei relativi diritti è essenziale per difendere la dignità umana ed è intrinsecamente legato alla lotta contro la violenza sessuale e di genere e al conseguimento della parità e del rispetto di un’ampia gamma di altri diritti umani, quali il diritto alla vita, alla salute, alla vita privata, alla sicurezza della persona, alla non discriminazione, all’uguaglianza dinanzi alla legge e alla libertà dalla tortura e da altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti.
In secondo luogo, la Risoluzione afferma che la capacità delle persone di esercitare la propria autonomia riproduttiva, di controllare la propria vita riproduttiva e di decidere se, quando e come avere figli è essenziale per il pieno rispetto dei diritti umani delle donne, delle ragazze e di tutte le persone che possono essere in stato di gravidanza. «Il corpo di una persona, le sue scelte e la sua autonomia devono essere pienamente tutelati».
La determinazione dell’Unione prende le mosse da un voto storico. Il 4 marzo 2024 la Francia ha reso l’aborto «un diritto costituzionale esplicito». Ciò accade all’interno di un contesto che si muove, a livello globale, nella direzione diametralmente opposta: si pensi agli Stati Uniti, alla Polonia, all’Ungheria e a Malta. L’eccezione è rappresentata da pochi Paesi, come la Spagna o la Svezia, o il Principato. Monaco il 15 maggio scorso ha depenalizzato l’interruzione volontaria di gravidanza. L’aborto diventa così possibile fino alla dodicesima settimana (sedicesima, in caso di violenza sessuale), senza la richiesta di alcuna giustificazione e, anzi, con la copertura delle spese a carico del sistema di previdenza sociale.
Obiezione di coscienza e legge regionale varata in Sicilia
Ma torniamo all’Italia, per guardare all’impatto che l’obiezione di coscienza ha sull’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza, come anche sul carico di lavoro degli operatori sanitari che obiettori non sono. Sempre la relazione ministeriale prova a dare un’idea: si attesterebbe sul 61,1% il numero delle strutture che praticano l’aborto sul territorio nazionale. Il dato va letto tuttavia considerando che sono esclusi dal computo i Policlinici universitari privati, Irccs privati, Irccs fondazione, enti ecclesiastici civilmente riconosciuti che esercitano l’assistenza ospedaliera, case di cura private non accreditate, enti di ricerca e strutture private accreditate per le quali le Regioni abbiano esplicitamente dichiarato di non essere autorizzate a effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza.
In Sicilia il dato diventa del 47,3% con 26 strutture – su un totale di 55 – che praticano l’Ivg. Ma proprio nell’Isola si rivela a dir poco sorprendente (se solo si considera il colore della maggioranza, guidata dall’azzurro Renato Schifani) il risultato del voto di qualche giorno fa. L’Assemblea regionale ha infatti approvato una norma che sancisce finalmente l’obbligo per le strutture ospedaliere pubbliche di assumere medici non obiettori di coscienza. Una svolta che il deputato regionale Pd, Dario Safina, non ha esitato a definire «storica» e alla quale ha certamente contribuito la scelta del voto segreto.
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