Violenza, cosa ci dice il femminicidio di Afragola. E cosa fa lo Stato

Foto di Alexa da Pixabay

In questa prima metà dell’anno il tragico femminicidio di Martina Carbonaro ad Afragola porta la conta del totale delle donne uccise per mano di un uomo a 24. Otto sono quelle massacrate nel solo mese di maggio. I centri antiviolenza ci dicono da sempre che non esiste una fotografia unica della vittima, come del resto non esiste un identikit dell’aggressore. Il fenomeno è trasversale: vuol dire che la violenza maschile può abbattersi su una donna qualunque. Non fa differenza che sia ricca o povera, colta o analfabeta, anziana o giovane.

Seppur con questa consapevolezza, della storia di Martina Carbonaro a colpirci come un pugno in pieno viso è che lei fosse una ragazzina di appena 14 anni e che l’assassino, Alessio Tucci, non sia nemmeno diciannovenne. Ciò che vediamo accadere sotto ai nostri occhi è un copione identico a quello degli adulti: incapace di accettare il rifiuto, lui decide di eliminarla, la aggredisce a sassate e la lascia morire, nascondendola sotto i detriti in un casolare di periferia.

Il fallimento delle strategie adottate sinora e il bisogno di educare all’affettività

Che ogni donna massacrata sia una sconfitta per la società e per qualsiasi maggioranza di governo è indubitabile. Quello di Martina è, però, probabilmente, il femminicidio che più di ogni altro ci mette dinanzi al fallimento delle strategie che abbiamo approntato sinora. Per questo è tornato in auge il dibattito sulla necessità di prevedere l’educazione all’affettività e alla sessualità nei curricula scolastici, richiamata dal gruppo di lavoro per la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (gruppo Crc).

Il documento redatto dalla task force si intitola “Educazione all’affettività e alla sessualità: perché è importante introdurre la Comprehensive Sexuality Education” e parte da un dato: «L’analisi contenuta nei rapporti di monitoraggio del gruppo Crc mette in luce l’assenza di un approccio strutturato, integrato e completo all’educazione all’affettività e alla sessualità e all’educazione di genere, che sono invece fondamentali per prevenire forme di violenza di genere e abusi sessuali».

Le raccomandazioni dell’Unesco

A livello sovranazionale, dalle Linee guida Unesco “International technical guidance on sexuality education” (del 2009, aggiornate nel 2018) alla Comprehensive Sexuality Education (Cse), i riferimenti dunque non mancano. Il Cse, strumento promosso dal Global Education Monitoring dell’Unesco in collaborazione con le altre agenzie delle Nazioni Unite, è rivolto alla prima infanzia, con l’intento di fornire conoscenze, abilità, atteggiamenti e valori che consentano ai più piccoli di «realizzare la salute, benessere e dignità, di sviluppare relazioni sociali e sessuali rispettose; considerare come le loro scelte influenzino il proprio benessere e quello degli altri; comprendere e garantire la protezione dei loro diritti per tutta la vita».

Si tratta insomma di elaborare un processo basato su un vero e proprio curriculum di insegnamento e apprendimento che integri gli aspetti cognitivi, emotivi, fisici e sociali della sessualità. Sappiamo dal rapporto 2023  che su 50 Paesi esaminati soltanto il 20% ha una legislazione sull’educazione sessuale e solamente il 39% si è fatto promotore di iniziative specifiche.

Le scuole italiane: senza educazione affettiva e sessuale curriculare siamo fanalino di coda in Ue

Quanto a noi, l’Italia è tra i pochi Paesi nell’Unione europea a non prevedere come obbligatoria, nelle scuole, l’educazione sessuale: la Svezia, per citare uno degli esempi più virtuosi, lo fa dal 1955. Ma sul fatto che serva un investimento massiccio per aiutare i nostri giovani (e giovanissimi) a comprendere che amore non è possesso, che amare non vuol dire controllare ma rispettare, non vi può essere ormai alcun dubbio.

E lo Stato che fa? A dirla con Faber, si costerna, s’indigna, s’impegna, poi getta la spugna con gran dignità. Va più o meno così. Al di là del dolore espresso dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, assieme all’esortazione a «fare di più, tutti insieme» – occorrerà verificare in quale direzione concreta ci si muoverà – ancora si ragiona esclusivamente nell’ambito della repressione. Lo ha fatto la senatrice della Lega e avvocata Giulia Bongiorno, che ha proposto di abbassare l’età dell’imputabilità da 14 a 12 anni.

L’obbligo del consenso informato preventivo delle famiglie

Il 30 aprile scorso il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha approvato un disegno di legge che ha l’obiettivo dichiarato di «assicurare, attraverso disposizioni ad hoc, il consenso informato preventivo delle famiglie in forma scritta in relazione alle attività scolastiche che riguardano l’ambito della sessualità».

Alla Camera è la proposta di legge  a prima firma Alessandro Amorese (FdI) a prevedere l’introduzione di corsi di educazione sessuale e affettiva nelle nostre classi, alla medesima condizione capestro: «La partecipazione dello studente minorenne, delle scuole statali e paritarie di ogni ordine e grado, alle attività scolastiche vertenti su materie di natura sessuale, affettiva o etica comprese nel curricolo obbligatorio o nell’ampliamento della sfera formativa extracurricolare è subordinata alla manifestazione del consenso informato da parte dei genitori o dei soggetti esercenti la responsabilità genitoriale». Si aggiunga che, secondo il testo, l’istituto scolastico, «per favorire la piena presa di coscienza del tema e per consentire la convinta maturazione del consenso informato ai genitori e ai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, mette a loro disposizione il materiale didattico utilizzato».

Chiamare in causa le famiglie aiuta?

Ma se l’idea di chiamare in causa le famiglie (a cui aveva già pensato l‘Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Marina Terragni, all’indomani dei fatti di Afragola) può apparire corretta in linea teorica e di principio, si scontra nella pratica con più di un’obiezione. C’è almeno una domanda che non possiamo ignorare: abbiamo mai considerato come sia proprio all’interno delle nostre famiglie che si perpetuano stereotipi e pregiudizi e che si autoalimenta il patriarcato?

Ebbene, se questa riflessione ci ha anche solo sfiorato, appena per una volta, dovremmo saper dire con nettezza che la strada intrapresa finora dal governo non è quella giusta: populista quanto basta, si rivela una risposta del tutto inadeguata dinanzi a un fenomeno che massacra donne e bambine, al ritmo di una ogni due giorni.

L’importanza di decostruire i pregiudizi

A dirla con il Gruppo CRC: «Educare all’affettività e alla sessualità significa decostruire pregiudizi, stereotipi e ruoli, fortemente radicati nella società e nel pensiero comune, che inconsciamente tendono a perpetrare le disuguaglianze e la violenza di genere. Educare all’affettività e alla sessualità significa promuovere una cultura completa e trasversale essenziale per affrontare i principi che costituiscono la base dell’affetto e dell’affettività, ovvero il rispetto reciproco, il proprio e altrui consenso, la codifica delle proprie emozioni e di quelle degli altri, la scoperta di sé stessi e della propria identità. Educare all’affettività e alla sessualità significa diffondere la consapevolezza che sia necessario compiere uno sforzo comune e integrato a vari livelli per promuovere una sensibilizzazione che coinvolga le persone di minore età fin dall’infanzia, e che sia strutturato all’interno della programmazione scolastica, rivestendo così quell’importanza e diffusione necessaria».

Dal documento viene fuori semmai la necessità che si condividano, con i genitori, percorsi di consapevolezza, sin dalla nascita dei figli: «Prevedere percorsi di educazione all’affettività e alla sessualità con un approccio multidisciplinare nell’ambito dei servizi offerti nelle case di comunità, nei consultori familiari come accompagnamento alla genitorialità responsiva».

Dovrebbe risultare, insomma, fin troppo evidente che educare i ragazzini e le ragazzine a una nuova affettività significhi necessariamente decostruire prima, e solo dopo costruire la relazione sentimentale che dovrà essere improntata alle categorie del rispetto della dignità e delle libertà dell’altra o dell’altro.

***

La newsletter di Alley Oop

Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.

Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com

  • MASSIMO |

    penso che sia fondamentale non solo una formazione scolastica per gli studenti ma occorrerebbe una maggioir presa di coscieza da parte dei genitori coinvolgendoli (o addirittura obbligandoli) in incontri che hanno per oggetto iogni aspetto di senso civico

  • Chiarastella Seravalle |

    Presidente Arte-Mide Venezia. Lavoro su argomenti legati alla parità, violenza di genere e risorse e inventrici donne, studiose, scienziate, artiste. Progetto il filo delle donne Venexiane che hanno lasciato un segno nella città di Venezia e nel mondo

  Post Precedente
Post Successivo