«La voce di un ventitreenne di periferia può arrivare molto di più rispetto alla voce di una persona adulta: un ragazzo può rivedersi me e dire “un’alternativa esiste, posso farcela anch’io”»
Francesco Di Napoli, classe 2001, è un “ventitreenne di periferia” e un attore di talento che non dimentica le sue radici mentre esplora il mondo con il cinema. Scoperto da Claudio Giovannesi, che lo scelse come protagonista del film “La paranza dei bambini” – «Quando mi hanno scoperto facevo le graffe napoletane in pasticceria per 400 euro a settimana» racconta Di Napoli ad Alley Oop -, viene consacrato come uno dei giovani attori più interessanti nel panorama italiano con la sua interpretazione nella serie “Romulus”.
Più recentemente, nel film “Hey Joe”, è coprotagonista accanto a James Franco. «Fino all’età di sedici anni non avevo alcuna aspettativa di una vita comoda: ho sempre vissuto in un ambiente, il quartiere Traiano di Napoli, dove o andavi a lavorare per pochi soldi, o continuavi a studiare, o sceglievi una strada facile ma brutta». Il percorso professionale, per Di Napoli, non si limita a un successo personale. Ma diventa strumento per dare nuova voce alla sua generazione e cambiarne la rappresentazione: con questo obiettivo è nel comitato scientifico di Unhate Foundation, la fondazione lanciata nel 2011 da Alessandro Benetton diventata un ente del terzo settore e guidata da un team di under 30.
Contrastare la cultura dell’odio, gli obiettivi di Unhate Foundation
Contribuire alla costruzione di un futuro dove l’odio non trovi più terreno fertile per crescere. Quello che Unhate Foundation si propone di fare vuole realizzarlo con il coinvolgimento diretto delle nuove generazioni in occasioni di crescita e sviluppo del proprio potenziale, promuovendo solidarietà, inclusione sociale e sostenibilità attraverso progetti innovativi.
In particolare, la Fondazione mira a combattere la cultura dell’odio, agendo sulle sue cause profonde, concentrandosi sulla formazione dei giovani e offrendo loro nuove opportunità in quattro principali aree di azione principali: mobilità sociale, educazione, cultura e studi e ricerca. Il target dei progetti e dei programmi che la Fondazione attiverà è quello dei giovani tra i 10 e i 30 anni, con un focus specifico tra gli 11 e i 23 anni: è questa la fascia d’età decisiva per la formazione e per la crescita di una persona, dall’avvio dell’adolescenza alla fase di orientamento/ingresso nel mondo del lavoro.
A guidare la Fondazione è Irene Boni, manager con comprovata esperienza nel settore dell’educazione e del digitale, mentre il comitato scientifico è composto in prevalenza da under 30, accompagnati da alcuni esperti “fuori quota”: «Vogliamo dare vita a un progetto fortemente innovativo, dove saranno i giovani a decidere per i giovani» ha come ha spiegato Alessandro Benetton, ideatore e presidente di Unhate Foundation.
Fra i membri del comitato scientifico, insieme a Di Napoli, ci sono anche Huda Lahoual, 21 anni, podcaster autrice di “Huda, nessuna e centomila” sui giovani di seconda generazione in Italia; la pugile Irma Testa, 27 anni; Gabriele Segre, 37 anni, politologo ed editorialista specializzato in politiche pubbliche; Claudio Burgio, 55 anni, fondatore della comunità Kayros e cappellano dell’Istituto penale minorile Cesare Beccaria di Milano.
Perché i giovani odiano
«I ragazzi con i social si fanno molto influenzare da quello che vedono – spiega ad Alley Oop Di Napoli – Seguono i rapper con gli orologi importanti, le macchine costose: li vedono e vogliono imitarli, vogliono le stesse cose che hanno loro. È da lì che nasce quel sentimento di invidia da cui scaturisce l’odio».
I dati lo confermano. Oggi l’odio corre e si propaga più veloce che in passato, complici il web e i social: in Italia il 40% degli studenti delle scuole superiori, di età compresa tra i 15 e i 19 anni, ha partecipato a zuffe o risse nel corso del 2023 (Rapporto Espad Italia 2023) e, a livello europeo, quasi la metà (49%) dei giovani tra i 16 e i 29 anni ha assistito a episodi di odio sul web, con conseguenze tangibili sul loro benessere psicologico e sulle relazioni sociali (dati Eurostat). Insicurezza, disuguaglianze, povertà educativa e isolamento sono le cause principali in cui l’odio si radica e cresce.
Il diritto di avere un’opportunità
«Ho odiato più me stesso che gli altri» dice Di Napoli, che continua: «Odiavo soprattutto i miei comportamenti: li avevo, sapevo di poterli cambiare ma non lo facevo. Quello verso se stessi è l’odio peggiore perché fai male a te e agli altri». Ma, soprattutto, odiarsi e odiare non serve: «Al mio primo provino non mi sono presentato perché innanzitutto non credevo fosse vero: mi sembrava qualcosa di così surreale per un ragazzo di periferia che aveva solo questi due punti di vista: il lavoro o la strada facile – racconta ad Alley Oop il giovane attore – I casting director mi avevano visto in una foto insieme a mio cugino, incontrato durante uno street casting. E a lui avevano detto: perché non lo porti a fare il provino? Sono venuti a prendermi a casa perché non lo credevo possibile».
Avere accesso a un’opportunità è quello che ha cambiato la vita di Francesco Di Napoli. «A tutti dev’essere data una possibilità – sottolinea l’attore – Anche avere l’opportunità di andare fuori, guardare oltre il proprio quartiere, ti permette di crescere e ampliare le tue vedute». E, allargare gli orizzonti, significa coltivare più consapevolezza rispetto a chi si è: «L’ho capito quando sono arrivato a Roma: stare a contatto con la mentalità aperta del cinema o semplicemente con persone che non fossero quelle della mia zona, mi ha allargato la mente» ricorda Di Napoli, che specifica: «Il mondo dello spettacolo non è assolutamente l’unica strada: una persona soddisfatta della sua vita, che riesce a guadagnare dignitosamente e legalmente, che può studiare ed essere messa nelle condizioni di farlo, è una persona che non odia».
Intervenire sulla povertà educativa
Il 70,5% dei bambini e ragazzi tra i 3-19 anni non è mai andato in biblioteca nel 2023 (63,9% nel 2019) e il 39,2% non ha praticato sport nell’anno. Il 16,8% tra i 6 e i 19 anni non ha fruito di spettacoli fuori casa, al cinema, teatro, musei, mostre, siti archeologici, monumenti, concerti. È quanto emerge dai dati Istat che raccontano la povertà educativa in Italia. Lo studio rappresenta ancora un ascensore sociale che, tuttavia, in Italia sembra essere rotto. La mancanza di opportunità di miglioramento della propria condizione, ma soprattutto l’impossibilità di immaginare, sognare, ambire ad un miglioramento è ciò che sta alla base dell’odio “individuale”.
La GenZ ha come esempio davanti a sé i Millennials bloccati dal tetto di cristallo dai Baby boomers, con potere d’acquisto complessivo che si riduce rispetto a quello dei loro genitori e valori che faticano ad affermarsi, e sentono che per loro non può che essere peggio – la mobilità sociale, anche solo ambita, non è più sentita come possibile. Unhate Foundation vuole provare a invertire la rotta. Nei prossimi mesi, ad esempio, come anticipato ad Alley Oop sarà annunciato un progetto che coinvolgerà Di Napoli e trecento studenti nella sua città, Napoli, per l’insegnamento e il recupero scolastico nelle materie italiano e matematica.
«Il tema più importante per me, lo dico sempre e voglio ribadirlo, è l’istruzione: cosa che ad esempio a me è mancata» spiega Di Napoli, aggiungendo: «Mi sono istruito con il tempo ma non ho ancora finito. Voglio farlo e concludere il mio percorso scolastico perché in me è scaturito qualcosa anche guardando gli altri: persone virtuose e intelligenti che mi hanno fatto venire voglia di studiare, coltivare l’intelligenza. Gli esempi sono importanti».
«I giovani devono sentire di avere un’alternativa»
Insieme all’istruzione, anche il lavoro è un tema fondamentale. Quando manca, può portare verso strade più facili e più pericolose. O, ancora, forgiare come unico obiettivo quello del “fare soldi”. Ma prima di giudicare, suggerisce Di Napoli, è necessario mettersi nei panni degli altri e dare loro una concreta possibilità: «I giovani devono sentire di poter avere un’alternativa. Chi vive in periferia lo sa – afferma l’attore – Mettersi nei panni degli altri è fondamentale per capire anche il loro punto di vista, il loro stato d’animo e capire dov’è che nasce l’odio».
Realizzarsi, nella vita come nel lavoro, contrasta la cultura dell’odio con la realizzazione personale. Un giovane messo nelle condizioni di potersi realizzare non ha il bisogno di guardare gli altri con sospetto: «Per combattere l’odio sociale, così come le mafie, serve agire sul lato economico» sottolinea Di Napoli, indicando un esempio concreto: «Se a un ragazzo che lavora per una qualsiasi piazza di spaccio – guadagnando 4 mila euro al mese – gli venisse proposto di guadagnarne la metà in modo onesto, io sono certo che accetterebbe. Lavorare in modo onesto non può essere l’eccezione per riuscire a sopravvivere».
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