A 2 anni dallo scoppio del movimento Donna, Vita, Libertà, gli attacchi e la repressione contro donne e ragazze in Iran continuano. Decine di attivisti e attiviste, difensori dei diritti umani, membri di minoranze etniche e religiose e dissidenti, tra cui la premio Nobel Narges Mohammadi, sono incarcerati con accuse generiche di essere pericolosi per la sicurezza nazionale o stanno scontando condanne dopo processi sommari.
Tra le donne attualmente detenute nelle prigioni iraniane c’è anche la giornalista e podcaster italiana Cecilia Sala. Partita dall’Italia con un regolare visto giornalistico, è da più di una settimana in una cella del carcere di Evin, dove vengono rinchiusi gran parte dei prigionieri politici del Paese. Il motivo del suo arresto non è ancora stato formalizzato.
La reporter si trova in una delle nazioni non solo più avverse alle donne – al 143esimo posto su 146 secondo il Global Gender Gap Report 2024 – ma anche alla libertà di stampa ed espressione. Secondo l’edizione annuale del Freedom to Write Index, l’Iran imprigiona il più alto numero di scrittrici e attiviste al mondo (in un contesto globale in cui si osserva un chiaro e costante aumento del numero di scrittrici incarcerate, da 35 a 51).
I movimenti di protesta scoppiati in seguito alla morte di Mahsa Amini nel settembre 2022 hanno visto migliaia di persone in tutto l’Iran scendere nelle piazze per sfidare decenni di oppressione e discriminazioni di genere. Da allora le autorità statali hanno adottato misure ancora più severe per mettere a tacere le richieste di diritti e uguaglianza delle donne ma la protesta continua a covare.
Nel solo 2024 l’Iran ha arrestato almeno 644 donne per uso improprio del velo, secondo l’associazione Hrana. Di questi arresti, 618 sono relativi all’operazione Noor, lanciata ad aprile di quest’anno dalla polizia iraniana e che ha portato a un aumento delle repressioni e degli scontri fisici.
Cosa sappiamo della detenzione di Cecilia Sala
Sala, classe 1995, è una giornalista del quotidiano Il Foglio e della piattaforma di podcast Chora Media. Arrivata in Iran il 12 dicembre per svolgere servizi giornalistici, avrebbe dovuto rientrare in Italia il 20 dicembre. Il 19 dicembre è invece stata fermata dalla polizia di Teheran e si trova oggi detenuta in isolamento all’interno del carcere iraniano di Evin.
La notizia della sua incarcerazione è stata diffusa il 27 dicembre. Nei giorni precedenti l’ambasciatrice d’Italia Paola Amadei ha effettuato una visita consolare per verificare le condizioni e lo stato di detenzione della giornalista che in precedenza aveva avuto la possibilità di effettuare due telefonate ai parenti.
Sala ha ambientato in Iran diverse puntate del suo podcast Stories, in onda da gennaio 2022 e con quasi 700 episodi all’attivo. Solo pochi giorni fa aveva affrontato il tema della condizione femminile nel Paese (Una conversazione sul patriarcato a Teheran, episodio 683) e intervistato la comica iraniana Zeinab Musavi, tra l’altro arrestata nel 2022 per gli sketch di uno dei suoi personaggi, e un ex comandante militare, Hossein Kanaani.
Il motivo dell’arresto di Cecilia Sala non è ancora stato formalizzato. Reuters aggiunge però che la scorsa settimana, l’Iran aveva convocato l’ambasciatore svizzero a Teheran e un alto diplomatico italiano per via dell’arresto di due cittadini iraniani.
Una storia di ordinaria oppressione
Nel corso di un colloquio organizzato dalla rivista Time lo scorso 18 dicembre, la scrittrice canadese Margaret Atwood ha dialogato con Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace iraniano 2023, tracciando parallelismi tra il sistema oppressivo descritto in The Handmaid’s Tale e il controllo sistematico esercitato sulle donne nella società iraniana.
Mohammadi, imprigionata più volte per il suo attivismo e in congedo medico al momento dell’intervista, ha acceso i riflettori su quello che descrive come apartheid di genere – un sistema di codici di abbigliamento, sottomissione e controllo coercitivo imposto, come nel libro di Atwood, da uomini che hanno preso il potere come teocrazia -, oltre a parlare delle condizioni di vita delle carcerate (qui una parte del loro dialogo).
«Uno dei metodi usati contro queste donne è il trasferimento in ospedali psichiatrici – ha raccontato – dove vengono loro somministrati farmaci pesanti, destinati a persone con gravi malattie mentali, e sono persino sottoposte all’elettroshock». L’attivista in un altro passaggio dell’intervista parla anche delle conseguenze del controllo delle donne sulla società: «Quando le donne perdono il controllo su aspetti fondamentali della loro vita, come l’abbigliamento, il corpo e le scelte a causa delle leggi, si apre la strada a regimi oppressivi».
Mohammadi, giornalista e attivista contro la pena di morte, è stata insignita del Premio Nobel per la Pace 2023 “per la sua battaglia contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere diritti umani e libertà per tutti” e l’annuncio del premio è arrivato mentre era in carcere. Durante i suoi anni di detenzione Mohammadi ha sopportato l’isolamento, il rifiuto alle cure mediche e la negazione dei contatti coi familiari.
I diritti delle donne in Iran
Le donne iraniane sono sottoposte a una repressione sistemica. Secondo il Global Gender Gap Index 2024, la Repubblica islamica dell’Iran è al 143° posto su 146 Paesi presi in considerazione e perde ancora una posizione se si considera l’ambito partecipazione e opportunità economiche (144° su 146 Paesi).
Nel 2024, le autorità iraniane hanno preso provvedimenti contro 30,629 donne per presunta inosservanza delle leggi sull’hijab obbligatorio, con almeno 644 arresti, secondo il gruppo per i diritti umani Hrana. Di questi, dice l’associazione statunitense nel suo rapporto annuale sulle violazioni dei diritti umani in Iran, 618 erano legati all’operazione Noor (“luce”, in persiano), che è stata lanciata nell’aprile di quest’anno dalla polizia iraniana e ha portato a un aumento degli scontri fisici e della repressione contro le donne, come testimoniato dall’aggiornamento a settembre 2024 della Missione d’inchiesta internazionale indipendente delle Nazioni Unite sull’Iran. Almeno 10 attiviste sono state condannate a un totale di 57 mesi di reclusione e a una multa di 140 milioni di rial iraniani. 2 donne sono state condannate a 148 frustate.
L’anno scorso, in seguito a un’applicazione ancora più rigida delle leggi sul velo obbligatorio, le autorità della repubblica islamica hanno arrestato almeno 325 donne secondo l’agenzia per i diritti umani Hengaw. Tra le detenute c’erano: 18 studentesse, 17 giornaliste e attiviste dei media, 10 tra artisti e attrici e 7 insegnanti.
Secondo la più recente panoramica sul Paese fatta da Human Right Watch, le donne vivono ancora in un sistema che le relega a “cittadine di serie B”.
Il codice civile consente alle ragazze di sposarsi all’età di 13 anni; non esiste una legge sulla violenza domestica o per prevenire gli abusi. Sempre in ambito familiare, un marito ha il diritto di scegliere il luogo in cui vivere e può impedire alla moglie di avere determinate occupazioni se le ritiene contrarie ai “valori familiari”.
L’uso del velo in pubblico è obbligatorio e le donne iraniane possono essere sottoposte a dure punizioni, anche per infrazioni minori. Proprio come successo a Mahsa Amini, la cui morte, mentre era sotto la custodia della polizia, ha portato a un’ondata di proteste di massa nel 2022 e nel 2023 (la più lunga rivolta in Iran dalla rivoluzione islamica del 1979). La successiva violenta repressione da parte del regime iraniano ha ucciso più di 500 persone. Ciononostante, attiviste e attivisti continuano a resistere e molte donne iraniane protestano togliendosi il velo in pubblico.
Dopo la rivolta Donna, Vita, Libertà, le autorità iraniane hanno raddoppiato l’uso della pena di morte, con il 2023 che ha visto il più alto numero di esecuzioni degli ultimi 8 anni (oltre 700 secondo l’associazione Ihrngo), facendo ricorso a questa come strumento di oppressione. Tra i condannati a morte nel 2024, il 3% era donna.
Nessuna libertà di espressione
L’Iran non solo è uno dei Paesi più avversi nei confronti delle donne, ma è anche il secondo più pericoloso al mondo per scrittori e giornalisti, dopo la Cina, secondo il Freedom to Write Index 2023 di Pen America.
Il numero di scrittori incarcerati è diminuito da un massimo di 57 nel 2022 a 49 nel 2023 ma molti arresti sono legati ad attività associate al movimento Donna, Vita, Libertà. L’Iran, inoltre, ha anche il numero più alto di scrittrici incarcerate al mondo, sia nel 2023 sia nel 2022. Le donne costituiscono il 15% del conteggio dell’indice 2023, rispetto al 14% del 2022 e al 12% del 2021.
A livello globale, il numero di scrittori incarcerati ha raggiunto il massimo degli ultimi 5 anni, con almeno 339 persone dietro le sbarre nel 2023, con un aumento del 9% rispetto al 2022. Notevoli aumenti sono stati osservati nel numero di donne incarcerate, passate da 35 a 51, così come nel numero di scrittrici incarcerate per commenti online, da 80 a 180.
Sempre secondo l’Hrana, nel 2024 sono stati emessi almeno 26,649 mesi di condanne a pene detentive nei confronti di 604 individui da parte di organi giudiziari per reati afferenti alla libertà di pensiero ed espressione, di cui 24,719 mesi di reclusione effettiva.
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