Social media e infanzia, in quali Paesi è già legge il divieto

Il tentativo è ambizioso. Introdurre un limite di età per l’uso dei social media (16 anni). Ci prova l’Australia con una legge approvata dal Senato il 29 novembre e che promette multe fino a 50 milioni di dollari australiani per le aziende che non faranno rispettare il divieto.

La nuova legge australiana è la più rigida attualmente in circolazione ma, dalla Cina agli Stati Uniti, passando per l’Unione Europea, sono moltissimi i Paesi che stanno provando a regolamentare l’accesso di bambini e ragazzi ai social media, tra leggi sulla privacy e divieti. Il tentativo si inserisce in un più ampio contenimento del potere delle grandi aziende tecnologiche e tra le crescenti preoccupazioni per la salute mentale dei più giovani.

I minorenni possono iscriversi ai social network, ma ci sono delle restrizioni che variano da Paese a Paese. Ad esempio, in Italia, i bambini sotto i 14 anni necessitano del consenso dei genitori. Le piattaforme inoltre nei loro regolamenti hanno delle soglie di età per l’iscrizione ai propri servizi ma, per i delatori, le società non fanno abbastanza per fare rispettare i loro stessi regolamenti.

La vicenda

Il governo guidato da Anthony Albanese ha introdotto una legge che vieta l’accesso ai social media ai minori di 16 anni. Il ddl, la cui proposta è stata avanzata dopo un tragico episodio di cyberbullismo che ha scosso il Paese, è stato approvato da entrambe le camere con il sostegno bipartisan.

Più in dettaglio, la nuova legge costringerà le società di social media ad adottare «misure ragionevoli» per impedire agli adolescenti di avere account. Le società che non rispetteranno la legge rischiano multe fino a 50 milioni di dollari australiani per «violazioni sistemiche». Il divieto entrerà in vigore non prima di 12 mesi e in questo lasso di tempo le piattaforme collaboreranno con il governo per definire come implementare la legge. Un elenco definitivo di siti coinvolti sarà stilato appena la legge sarà pubblicata ma, da quanto si sa, non dovrebbe comprendere le app di messaggistica, Youtube e altri siti utili allo studio.

Le piattaforme, ha detto Albanese, hanno la “responsabilità sociale” di rendere la sicurezza dei bambini una priorità. La norma, favorevolmente accolta dai cittadini australiani, ha incontrato anche qualche critica. Katie Maskiell, responsabile delle politiche di Unicef Australia, ha sottolineato che la norma non rappresenta una “soluzione definitiva” ai danni dell’online e potrebbe spingere i bambini verso spazi web «segreti e non regolamentati». In termini di applicazione, inoltre, la legislazione per ora offre pochi dettagli. Un aspetto che fa temere gli esperti che la legge resti per lo più una misura simbolica.

Lo scenario

Le piattaforme di social media come TikTok, Facebook e Snapchat nei loro Termini di servizio stabiliscono che gli utenti devono avere almeno 13 anni per potere effettuare una iscrizione ma restano dubbi sull’efficacia dei metodi che poi le piattaforme mettono in pratica per verificare che l’età dichiarata da chi vuole creare un nuovo account sia effettiva.

Inoltre, sebbene, a oggi, non esista una posizione comunemente condivisa sull’impatto del tempo passato online, i dati dipingono un quadro complesso. I membri della Generazione Z (i nati dal 1996 in poi) soffrono di problemi di salute mentale e disturbi correlati a livelli più alti rispetto a qualsiasi altra generazione per la quale disponiamo di dati. E l’uso dei social media e il tempo trascorso davanti allo schermo contribuirebbero a questa tendenza.

La diffusione di contenuti illegali, fake news e cyberbullismo non sono le uniche preoccupazioni della vita online che attanagliano i regolatori. Nel 2021 – ovvero da quando sono venuti alla luce i Facebook Papers – i Paesi hanno dovuto iniziare a fare i conti con il problema degli effetti dei social media (o per lo meno un loro utilizzo non mediato e non regolamentato) sulla salute mentale degli adolescenti.

Uno studio dell’Università di Oxford ha scoperto un forte legame tra l’uso dei social media da parte degli adolescenti e l’aumento di ansia e depressione. Secondo la ricerca, il 60% dei 16-18enni trascorre dalle 2 alle 4 ore al giorno sui social media. Nei casi più estremi, alcuni giovani riferiscono di trascorrere fino a 8 ore al giorno sui social media.

Lo studio è a lungo termine e coinvolgerà circa 50mila giovani di età compresa tra 11 e 18 anni nel Regno Unito e seguirà le loro traiettorie di salute mentale per un periodo di 10 anni. Dalle prime rilevazioni su un campione di 7mila giovani è emersa una «chiara relazione lineare», dice il responsabile John Gallacher, tra il tempo trascorso su queste piattaforme e tassi più elevati di problemi di salute mentale, con le ragazze più colpite rispetto ai ragazzi.

I numeri della ricerca confermano le stime del Pew Research Center secondo cui la percentuale di adolescenti che affermano di essere online “quasi costantemente” è quasi raddoppiata dal 2014-2015 al 2023, dal 24 al 46%.

Oltre oceano, l’American Psychological Association ha pubblicato un rapporto che critica le piattaforme di social media per i loro design intrinsecamente non sicuri per i bambini. Una teoria ripresa anche dallo psicologo sociale Jonathan Haidt nel bestseller del 2024 The Anxious Generation.

Il testo esplora come l’uso diffuso degli smartphone e dei social media abbia un impatto significativo sulla salute mentale degli adolescenti e arriva a sostenere che le piattaforme andrebbero vietate fino ai 16 anni. Haidt, professore di leadership etica alla Stern School of Business dell’Università di New York, sostiene che se non si interviene, i tassi di malattie mentali e autolesionismo tra i giovani continueranno a salire, con gravi implicazioni sociali ed economiche.

Come si muovono gli stati

La normativa australiana è una delle più severe al mondo in fatto di presenza dei minori sulle piattaforme ma ogni nazione sta cercando la propria strada nella gestione etica delle nuove tecnologie bilanciando difesa dei dati personali, protezione dei più fragili (e dei consumatori in generale) e sostegno alle nuove tecnologie.

Negli Stati Uniti il Children’s Online Privacy Protection Act, emanato nel 1998, regola la raccolta e l’uso online di informazioni personali di utenti di età inferiore ai 13 anni e richiede il consenso dei genitori affinché i siti web raccolgano informazioni personali degli utenti.

L’India, in base alla legge sulla Protezione dei dati personali digitali del 2023, richiede il consenso verificabile dei genitori per bambini e giovani di età inferiore ai 18 anni per l’elaborazione dei dati online. Dal 1° gennaio, la Cina (dove il numero di internauti ha superato il miliardo, di cui oltre 191 milioni di bambini e giovani) ha introdotto nuove regole per la protezione dei più piccoli. Le misure includono una regolamentazione dei contenuti online e la protezione delle informazioni personali. Per le società che trasgrediscono sono previste multe e l’eventuale revoca delle licenze commerciali. La Cyberspace Administration of China prevede anche misure per prevenire la dipendenza da Internet tra i giovani: un limite di due ore al giorno al massimo da trascorrere sugli smartphone, sotto il controllo dei genitori, e il divieto d’accesso a internet dai dispositivi mobili dalle 22:00 alle 6:00.

Per quanto riguarda l’Europa, i Paesi si muovono in modo indipendente ma possono contare sulle regole comuni del Gdpr e del Digital Services Act.

Nel 2023, la Francia ha approvato una legge che prevede, per le piattaforme social, di ottenere il consenso dei genitori per i minori di 15 anni che vogliono creare nuovi account. Ad aprile, inoltre, un gruppo di esperti commissionato dal presidente Emmanuel Macron ha raccomandato regole più severe, tra cui il divieto di telefoni cellulari per i bambini sotto gli 11 anni.

In Germania, i minori tra i 13 e i 16 anni possono usare i social media solo con il consenso dei genitori mentre in Belgio la soglia per creare un account senza il permesso parentale è di almeno 13 anni. In Norvegia, dove secondo i calcoli del governo la metà dei bambini di 9 anni usa una qualche forma di social media, è stato proposto di aumentare l’età minima per l’uso dei social media a 15 anni dagli attuali 13 anni.

La Finlandia si distingue per un approccio tecno-ottimista e ha strutturato il suo curriculum scolastico per permettere ai bambini, sin dalla scuola dell’infanzia, di apprendere i fondamentali della media information literacy. Gli studenti finlandesi tra i banchi di scuola imparano a distinguere le notizie vere da quelle false, a comprendere il ruolo dei media nella società e ricevono una prima infarinatura di giornalismo, fotografia e social network.

I Paesi Bassi, infine, non hanno leggi specifiche sull’età minima per l’uso dei social media, ma il governo ha vietato i dispositivi mobili a scuola a partire da gennaio 2024 per ridurre le distrazioni.

In Italia

Paesi Bassi e Italia sono accomunati dallo stesso approccio. Con una circolare pubblicata nel luglio scorso, il ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha introdotto una stretta sull’uso dei cellulari nelle scuole (dall’infanzia alla secondaria di primo grado) anche a per fini educativi e didattici (salvo i casi in cui siano previsti da Pei e Pdp).

L’età minima per iscriversi a un social network è invece fissata a 14 anni, come previsto dal decreto legislativo 101 del 2018, che ha recepito nel nostro Paese il Gdpr, il regolamento Ue sulla tutela dei dati personali, al quale fanno riferimento le condizioni di utilizzo dei principali social network.

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