La cellula traditrice: un approccio evoluzionistico allo studio del cancro

Si può contaminare la ricerca medica con campi di interesse e competenze umanistiche? Siamo certi che, come vuole il pensiero comune, la medicina si interfacci solo con le discipline “dure” – matematica, fisica, chimica, e così via? Consideriamo anzitutto che in ogni sua forma, da oriente a occidente, la medicina ha come obiettivo principale di sottrarre la vita alla morte: è dunque legata alle speranze degli esseri umani, degli individui come della comunità. Di fatto si intreccia anche con la storia, il diritto, la sociologia, la letteratura.

“Non si comprende alcuna tecnica se non si è in grado di capire come serve all’uomo. La tecnica deve essere utile ai cittadini, a maggior ragione quando sono pazienti”, scriveva Antonio Panti, presidente dell’Ordine dei Medici di Firenze dal 1987 al 2017 scomparso lo scorso marzo. “La medicina non è una delle scienze Stem, ma è parte delle scienze umane. La forza delle discipline umanistiche risiede nella capacità di proporre modelli per decodificare il mondo e il comportamento delle persone. Ancora latita un pensiero all’altezza delle sfide della scienza e della tecnica moderna, una speculazione intellettuale capace di seguire la medicina in queste travolgenti trasformazioni dell’antropocene, di individuare gli orizzonti sociali delle tecniche emergenti”.

Questa introduzione è fondamentale e necessaria, per raccontare il lavoro di Athena Aktipis, autrice del libro Secondo natura. Come l’evoluzione ci aiuta a ripensare il cancro, pubblicato da effequ con la traduzione di Lavinia Ferrone. Un saggio dalla forte valenza pioneristica “che sovverte il nostro modo di vedere il cancro”, nientemeno. La premessa di base del libro, infatti, è che il cancro è un fenomeno evolutivo che ci accompagna da quando la vita è multicellulare: laddove le cellule cooperano per il successo riproduttivo di un organismo, la loro spinta a replicarsi non può essere imbrigliata, pena l’incapacità dell’organismo di svilupparsi, riparare i tessuti e riprodursi. Le cellule che dovessero riuscire a replicarsi in modi anomali, e quindi “imbrogliando” sulle regole di cooperazione, tradiscono l’organismo; e infatti il titolo originale del libro è “The cheating cell” (la cellula traditrice). In questa visione, il cancro diviene un rischio inevitabile della vita multicellulare, e può essere osservato con un approccio nuovo che prende il via dall’osservazione dei sistemi cooperanti, e uno di questi, è l’organismo umano.

La cellula traditrice

Si possono dunque applicare i modelli di studio sulla cooperazione ai sistemi cellulari degli esseri viventi? È quello che Athena Aktipis, con una parte della comunità scientifica, sta studiando. Aktipis è arrivata al campo di ricerca sull’evoluzione del cancro a metà degli anni 2000, con un background in psicologia, e un interesse specifico per la cooperazione e il conflitto. Docente del dipartimento di Psicologia e dell’Arizona Cancer Evolution Center dell’Arizona State University, ha cofondato l’International Society for Evolution, Ecology and Cancer; oltre ad altri progetti interdisciplinari con al centro le capacità umane di scambio e resilienza.

Athena Aktipis

“A partire dal mio percorso di studi sui gruppi e sulla cooperazione, ho iniziato ad approfondire il tema della cooperazione in tutti i sistemi esistenti, che fossero gruppi di persone o di cellule”, ha raccontato Aktipis ad Alley Oop, che la ha incontrata nel corso del Salone del libro di Torino lo scorso maggio. “Avvicinandomi alla questione del cancro ho compreso che il comportamento delle cellule in senso evoluzionistico funziona esattamente come modello di cooperazione che può venire disturbato”.

Nelle pagine del libro viene spiegato bene questo concetto: “Le nostre cellule, e il nostro corpo tutto, elaborano continuamente un quantitativo enorme di informazioni per mantenerci in salute. Non è soltanto il nostro cervello che elabora le informazioni che ci tengono in vita: ogni singola cellula del nostro corpo monitora costantemente sé stessa e sorveglia i propri vicini per tenere sotto controllo i traditori e renderci una società di cellule cooperanti. Il livello di cooperazione che raggiungono i nostri organismi multicellulari supera di gran lunga quello mai raggiunto dagli esseri umani”.

In questo orizzonte, dunque, ciò che le cellule tumorali in definitiva fanno è tradire il patto che le cellule stringono quando cooperano per formare un organismo multicellulare. Si dividono senza controllo, rifiutano di autodistruggersi attraverso la morte cellulare programmata, monopolizzano le risorse del corpo, non si attengono al lavoro assegnato e devastano l’ambiente, danneggiando e distruggendo il corpo dell’ospite. Ecco perché, osservando il sistema-corpo come un sistema di cooperazione multicellulare, si possono applicare i modelli di studio sulla cooperazione che ci portano ad allontanarci dalle metafore belliche sulla lotta al cancro, e a cercare un approccio basato sul descrivere ciò che il cancro comporta in noi come organismi biologici.

Un approccio di genere sulla cooperazione

“La comunità scientifica e soprattutto l’approccio alla cooperazione sono state per lunghissimo tempo dominate da uomini, e quindi dall’approccio maschile, che di fatto è quello della competitività, per cui il modello vincente va nella direzione della prepotenza e della forza”, continua a spiegare Aktipis. “I primi modelli di studio sulla cooperazione erano del tutto astratti, senza contesto e relazioni effettive. Approcciandomi allo studio di questi modelli teorici, mi sono resa conto che non corrispondevano alla realtà: non solo per gli esseri umani, ma per tutte le specie, è impossibile studiare la cooperazione senza considerare l’ambiente sistemico. Con la ricerca abbiamo dimostrato che quei modelli astratti non erano veritieri, e che in realtà la cooperazione rende gli ambienti più stabili, a partire dai sistemi più semplici, fino a quelli più complessi”.

Quanto un approccio di genere ha contribuito a giungere a questa conclusione? Conferma Aktipis che dietro a questa ricerca c’è “un approccio che non si basa sulla prepotenza, ma sulla non violenza, su un’interazione non di prevaricazione e competizione, ma che porta a smettere di interagire con ciò che disturba il sistema. La teoria della cooperazione prova il fatto che è del tutto errata l’idea che in un momento di crisi le persone si rivolgano solo a se stesse e diventino egoiste e avare, quando invece di solito quello che avviene nella maggior parte dei sistemi è che si creano dei momenti di generosità, di condivisione, di mutuo aiuto ed è questo che permette ai sistemi di sopravvivere alle crisi”. E qui abbiamo ricordato insieme il momento in cui, nel primo lockdown del Covid 19, dai balconi si sollevavano applausi e canti per sostenersi vicendevolmente, o gli atti di buon vicinato come la spesa per gli anziani. Ma dunque un sistema cooperante può dunque essere in grado di neutralizzare il sistema alternativo anti-cooperante creato dalle “cellule traditrici”? Semplificando molto, è un po’ questa la domanda a cui vorremmo che la ricerca rispondesse.

“Noi siamo le nostre cellule”

Certamente suona rivoluzionario e anche un po’ spaventoso, applicare tale tipo di visione a una malattia dall’alto potenziale letale, a cui vorremmo solo dare risposte emergenziali, sicure, neutralizzanti. Ma va detto che nella comunità scientifica la definizione stessa di cancro cambia molto in base alla disciplina, come spiega Aktipis nel capitolo 3: “Trovare una definizione univoca del cancro è difficile tanto quanto trovarne la cura: certe volte viene descritto come una crescita fuori controllo, altre volte i medici usano il termine per definire una crescita non invasiva. O ancora, può essere considerato come un’alterazione del tessuto sano, oppure ci si focalizza sulle mutazioni che lo caratterizzano. […] Le definizioni di cancro cambiano significativamente: un biologo, una patologa, una clinica e un oncologo comparativo vi daranno definizioni diverse per ogni disciplina, focalizzandosi sui diversi elementi della malattia”.

Viene da chiedersi allora se la comunità scientifica sia ricettiva di fronte a questo tipo di ricerca, e se questo cambio di prospettiva sia maturo per uscire dall’ambito della ricerca e andare a toccare il pensiero comune, ovvero le persone. “Accademicamente è una teoria ampiamente riconosciuta, però al tempo stesso, ad esempio negli Usa, il cancro viene trattato alla vecchia maniera. Occupandomi di idee nuove incontro sempre una forma di resistenza, che definirei inerzia: è facile adagiarsi su quello che esiste piuttosto che cercare idee nuove, oppure all’opposto si cerca l’idea grossa, quella che fa più rumore. Io faccio ricerca su queste tematiche da molto tempo, e mi affianco a una comunità di colleghi all’interno della comunità scientifica, che sappiano dare fiducia a un progetto e lavorare per piccoli passi.

La cosa importantissima e rilevante è capire il modo in cui i vari sistemi interagiscono all’interno del corpo: è tutto un sistema di interazioni reciproche. Il mio concetto di salute è basato su questo. La cura e la salute del corpo umano per me si basano sulla cooperazione dei vari sistemi che compongono il nostro corpo. Noi siamo le nostre cellule”.

Quest’ultima affermazione di Aktipis, mi ha portato alla mente dei versi della poeta Elisa Donzelli, dalla raccolta “Uomini blu”. Versi che parlano di una “vita segreta” delle cellule che, oltre a sposarsi bene con la visione raccontata dalla ricercatrice, suggestionano con la forza della parola poetica l’immagine sistemica e complessa della biologia umana:

e se le cellule che si separano hanno un cuore
una segreta vita, vivono
anche se muore l’insieme,
lo spazio di forme che occupo nella realtà

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Autrice: Athena Aktipis
Traduzione: Lavinia Ferrone
Titolo: “Secondo natura. Come l’evoluzione ci aiuta a ripensare il cancro”
Casa editrice: effequ
Prezzo: 19 euro

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