Sono ancora appena il 25% del corpo diplomatico. All’ultimo concorso sono entrate soltanto in 12 su 48 posti in palio. E nessuna è rientrata nelle nomine di quest’anno alla carica più alta di Ambasciatore di grado. Oggi si celebra la Giornata internazionale delle donne nella diplomazia: un cammino burrascoso e ancora irto di ostacoli, come quello nella scienza. Con un paradosso, però: mentre in ambito scientifico è ancora diffuso il pregiudizio secondo cui “le donne non sono portate”, in campo diplomatico nessuno può avere dubbi sulla reale maggiore propensione femminile alla relazione e al dialogo. “Le competenze e i valori di cui le donne sono portatrici (efficienza, capacità negoziali, di mediazione, attitudine all’ascolto e alla comprensione, empatia ecc.) – afferma in un lungo colloquio con Alley Oop – Il Sole 24 Ore Serena Lippi, presidente della Did (Associazione italiana donne diplomatiche e dirigenti) – sono proprio le doti richieste per svolgere in maniera eccellente la nostra professione”. C’è altro, dunque, da cambiare: cultura, mentalità, organizzazione.
Le donne sono diventate protagoniste di altre carriere, da quella prefettizia alla magistratura, ma in diplomazia, dove hanno potuto accedere dal 1967, stentano a farsi massa critica. Quali elementi pesano?
Nella diplomazia italiana registriamo ancora un problema numerico, dato che la componente femminile rappresenta soltanto circa il 25% del corpo diplomatico. Se è vero che le prime due donne sono entrate in carriera solo nel 1967, ancora oggi il numero è limitato, basti pensare che all’ultimo concorso diplomatico sono entrate soltanto 12 donne su un totale di 48 posti. Con poche colleghe nei primi gradi della diplomazia, e sempre meno man mano che si sale verso i gradi apicali, la possibilità di aspirare a raggiungere i vertici della carriera è difficile: nelle nomine di quest’anno alla carica più alta di Ambasciatore di grado, non compare nessuna donna.
Cominciamo dall’inizio. Quali sono le attitudini personali che dovrebbero consigliare a una studentessa liceale di intraprendere gli studi in questo settore? Qual è stata la sua esperienza? Da cosa si riconosce la “vocazione” e come l’orientamento può aiutare nelle scelte?
Partirei dalla mia esperienza: ho sempre avuto un approccio pragmatico e, non conoscendo realmente in cosa consistesse la professione del diplomatico, se non attraverso quello che potevo immaginare leggendo libri o studiando i testi universitari, non sentivo una reale “vocazione”, ma semmai un’aspirazione verso una professione che mi consentisse di viaggiare. Da brillante studentessa di Relazioni internazionali alla Luiss Guido Carli di Roma avevo maturato un forte interesse per la politica estera, lo studio delle lingue, e compreso che avrei desiderato svolgere un lavoro dinamico, che mi permettesse di approfondire la conoscenza di Paesi e persone con culture diverse.
Ci racconta come funziona la formazione? Quali sono i percorsi possibili?
A mio avviso è importante orientare il piano di studi all’Università in modo da inserire materie attinenti alle prove del concorso diplomatico: storia delle relazioni internazionali, diritto internazionale e dell’Unione europea, economia internazionale, oltre allo studio costante e approfondito delle lingue. Con l’obiettivo di una carriera internazionale, mi sono laureata a 22 anni con il massimo dei voti alla Luiss in Scienze politiche, con indirizzo internazionale e comunitario, e una tesi in Storia delle relazioni internazionali. Successivamente ho frequentato il master in Relazioni internazionali al College d’Europe di Bruges e il corso Luiss di preparazione al concorso diplomatico.
Una volta laureate il primo scoglio è, appunto, il concorso, che richiede una lunga e difficile preparazione. Consigli per arrivare pronte all’appuntamento?
Dopo la laurea consiglierei vivamente di frequentare dei corsi di preparazione ad hoc (ad es. Sioi, Luiss, Ispi) perché il concorso diplomatico è particolarmente difficile e selettivo. Bisogna impegnarsi molto nello studio, approfondire le materie d’esame con spirito critico e analitico, oltre a possedere ottime capacità redazionali, sia in italiano sia in inglese e in altre lingue.
Veniamo al debutto nel mondo del lavoro. Che cosa ricorda di quegli anni? La formazione a suo avviso prepara adeguatamente? Dove si potrebbe migliorare?
Una volta entrata in carriera ho frequentato un corso di formazione all’Istituto diplomatico, che si è rivelato molto utile per orientarmi nella macchina complessa della Farnesina e, avendo ottenuto il punteggio più alto del mio concorso nella prova scritta di economia (80), sono stata assegnata all’ufficio economico dell’allora Direzione generale dell’Integrazione europea, seguendo le politiche settoriali europee con frequenti missioni a Bruxelles. Ho finito per specializzarmi nella conoscenza dei dossier europei, tanto che ho svolto ben due mandati alla Rappresentanza permanente d’Italia presso l’Ue, finendo per trascorrere quasi dieci anni della mia carriera a Bruxelles. Una sede che ho amato molto, anche perché mi ha permesso di entrare in contatto con le dinamiche multilaterali e di comprendere da vicino il funzionamento delle istituzioni europee.
Non sono mancati eventi drammatici nella sua carriera. Era, ad esempio, Console generale a Nizza quando nel luglio 2016 ci fu l’attentato terroristico che provocò 89 morti sul lungomare. Qual è il ruolo della diplomazia in queste circostanze?
Credo di aver imparato di più dalla gestione di quell’esperienza a Nizza che in tutta la mia carriera, anche se avevo già lavorato in sedi difficili come la Libia e mi ero occupata a lungo di crisi in Medio oriente nella Direzione generale degli Affari politici del ministero degli Esteri, seguendo i Paesi della “primavera araba” o il processo di pace israelo-palestinese. Ma essere coinvolta in un attentato terroristico (mi trovavo proprio sulla Promenade des Anglais la sera del 14 luglio 2016) e doverlo contemporaneamente gestire per aiutare i connazionali feriti negli ospedali, sostenere le famiglie nella ricerca dei dispersi o delle vittime, è stata un’esperienza molto dolorosa, ma anche estremamente formativa, che non potrò mai dimenticare per tutto quello che mi ha insegnato dal punto di vista professionale e soprattutto umano.
Da gennaio 2023 lei presiede la Did (Associazione italiana donne diplomatiche e dirigenti). Registro dal vostro sito che la missione è quella di “promuovere la parità di genere e le pari opportunità all’interno della Farnesina quali indicatori fondamentali di modernità ed efficienza della Pubblica Amministrazione e principi ispiratori della politica estera del nostro Paese”. In che direzioni vi muovete? Quali sono i progetti in cui crede di più?
Cerchiamo di lavorare a stretto contatto con la Direzione generale delle Risorse umane e Innovazione del ministero degli Esteri per portare avanti i punti del nostro programma, dialogando in modo costruttivo con i vertici dell’amministrazione e sensibilizzando il personale sulle tematiche di genere, anche attraverso moduli ad hoc nei percorsi di formazione previsti per i giovani diplomatici. Tra gli obiettivi prioritari della Did figurano quelli di promuovere l’effettiva e sostanziale parità di genere nei vari gradi della carriera; sostenere la conciliazione tra lavoro e vita privata-familiare; stimolare azioni concrete a tutela della maternità (sostituzioni delle colleghe; congedi parentali) e finalizzate al benessere organizzativo della Farnesina.
Lo stereotipo vuole che le donne facciano fatica a fare squadra e sponsorship, a sostenersi le une con le altre. Funziona, da questo punto di vista, la rete delle diplomatiche? Vede aperture tra i colleghi uomini?
Come in tutte le carriere l’attitudine a fare squadra dipende molto dall’indole delle persone. Ho sempre lavorato molto bene con le donne e credo molto nel lavoro di squadra: quando ero Console generale a Nizza avevo uno staff di donne molto efficienti e anche adesso, come Consigliere diplomatico del ministro dell’Istruzione e del Merito, dirigo un ufficio di funzionarie eccellenti e motivate, che mi stanno aiutando moltissimo nella preparazione della riunione dei ministri dell’Istruzione del G7, che avrà luogo a Trieste dal 27 al 29 giugno. Lo stesso vale per i colleghi uomini. Se da alcuni ci si può sentire a volte poco comprese e valorizzate, la collaborazione con altri colleghi funziona perfettamente. Ritengo fondamentale il coinvolgimento nelle attività della Did della componente maschile, peraltro maggioritaria nella nostra carriera, in quanto solo attraverso un cambiamento culturale condiviso si può raggiungere una parità di genere effettiva e duratura nel tempo.
Ritiene che a frenare la carriera diplomatica delle donne siano più le sue caratteristiche oggettive – come la disponibilità di viaggi e missioni all’estero, il frequente cambiamento degli incarichi – oppure l’organizzazione prevalentemente guidata e tarata su modelli maschili?
Sono vere entrambe le cose. Purtroppo, credo che il problema in Italia risieda proprio nella difficoltà a modernizzare la mentalità, di uomini e donne, su questi temi. Nel mio caso, avendo un temperamento indipendente (sono dinamica, curiosa, disposta a lavorare in contesti diversi e sempre pronta a viaggiare) una professione come quella del diplomatico non mi ha mai spaventata, ma semmai affascinata per la ricchezza di stimoli intellettuali e culturali che un lavoro come questo può offrire in termini di crescita personale e professionale. Ricordo che il mio professore di tesi mi sconsigliava di intraprendere questo percorso di carriera, soprattutto perché la mia intenzione era anche quella di avere una famiglia con dei figli. Assecondando la mia indole, ho accettato la sfida, vinto il concorso, svolto incarichi complessi, sia all’estero che in Italia, ma sono riuscita anche a formare una famiglia: sono felicemente sposata da 13 anni con un figlio di 11 anni che mi ha sempre seguita. Certamente i sacrifici sono stati tanti, ma ne è valsa la pena. Se l’organizzazione della carriera diplomatica è ancora troppo tarata su modelli maschili è anche perché, come spiegavo prima, le donne in carriera continuano ad essere ancora troppo poche (e forse a volte non troppo unite) per poter costituire massa critica e determinare un vero cambiamento dei metodi di lavoro. Ma la Did si impegna proprio per stimolare questo miglioramento.
Che cosa deve cambiare? E perché a suo avviso si parla di conciliazione lavoro-famiglia soltanto con riferimento alle donne? Non sono forse anche padri gli uomini?
La Did lavora per sensibilizzare l’amministrazione proprio su temi come le sostituzioni delle colleghe in maternità, il congedo di paternità, il miglioramento dei metodi di lavoro e del benessere organizzativo in modo da rendere più equa la suddivisione dei carichi di lavoro nelle famiglie.
Se pensa al futuro è ottimista? Quale messaggio finale possiamo consegnare alle ragazze?
Penso sempre con ottimismo al futuro, anche perché proprio nel mio ottimismo trovo la volontà e la forza di agire nel presente per costruire un futuro migliore. Ma non posso non essere realista e quello che vedo è che c’è ancora tanto lavoro da fare per migliorare l’organizzazione e i metodi di lavoro. Quello che mi preoccupa di più non è tanto che la nostra carriera sia ancora prevalentemente dominata da un “modello maschile”, ma il vedere che molte giovani colleghe sembrino poco motivate e determinate o meno idealiste rispetto alle generazioni passate. Alla loro età ero piena di entusiasmo e di energie e, nonostante tutte le difficoltà e “battaglie”, lo sono ancora oggi. Continuo a pensare che la diplomazia sia una professione assolutamente adatta a una donna dinamica, intelligente e moderna, anche perché le competenze e i valori di cui le donne sono portatrici (efficienza, capacità negoziali, di mediazione, attitudine all’ascolto e alla comprensione, empatia ecc.) sono proprio le doti richieste per svolgere in maniera eccellente la nostra professione. E quindi mi rivolgo soprattutto alle giovani: abbiate coraggio! Se decidete di intraprendere una carriera internazionale, investite nella preparazione, nello studio delle lingue e aspirate a raggiungere traguardi professionali ambiziosi, che vi stimolino intellettualmente e valorizzino i vostri talenti!
***
La newsletter di Alley Oop
Ogni venerdì mattina Alley Oop arriva nella tua casella mail con le novità, le storie e le notizie della settimana. Per iscrivervi cliccate qui.
Per scrivere alla redazione di Alley Oop l’indirizzo mail è alleyoop@ilsole24ore.com