Veltri (D.i.Re): “Mancano azioni concrete contro la violenza sulle donne”

©Chiara Pasqualini, Alessandro Fucilla/MIP

Il femminicidio di Giulia Cecchettin del novembre scorso ha provocato un’ondata di reazioni e una svolta nel livello di consapevolezza sulla violenza di genere, su quanto sia diffusa e pervasiva, come dimostra l’aumento delle richieste di aiuto ai centri antiviolenza e al 1522. Ma a questa nuova attenzione sociale, a questa nuova consapevolezza in questo momento non corrisponde un’attenzione concreta da parte della politica, una volontà reale di scardinare un fenomeno strutturale e antico. Per questo è importante non arretrare nei diritti acquisiti, vigiliare affinché le donne possano avere adeguata protezione e ritrovare la libertà.

Antonella Veltri, presidente dell’associazione D.i.Re Donne in Rete contro la violenza, che raccoglie il maggior numero di centri antiviolenza in Italia, fa un richiamo forte: non diamo per scontati diritti che pensiamo ormai acquisiti perché i segnali di passi indietro sono tanti ed evidenti e la parità tra i generi ancora lontana. Ed è prorio la disparità, il passo indietro in cui vengono tenute le donne nella nostra società a fare da terreno fertile alla violenza maschile sulle donne.

L’ondata emotiva del femminicidio di Giulia Cecchettin è stata forte e ha portato il tema della violenza sulle donne in primo piano. A distanza di quasi tre mesi, cosa è cambiato secondo lei e cosa è rimasto uguale?

E’  cambiata l’attenzione dell’opinione pubblica, la partecipazione emotiva delle persone. È come se la morte di Giulia avesse toccato una corda emotiva in ognuna e ognuno di noi. A distanza di tempo, ritengo che ci sia stato un passaggio, se pure lieve, di maggiore consapevolezza che ha abbassato la soglia di tolleranza e di accettazione, una partecipazione e un allarme che trova riscontro anche nell’aumento di richieste che sono arrivate ai nostri centri antiviolenza. In questa direzione va l’azione di sensibilizzazione, formazione e comunicazione che le attiviste dei nostri centri antiviolenza conducono da decenni. Cosa è rimasto uguale? Sono tanti gli immobilismi nel pianeta antiviolenza che si traducono in danni alle donne e a tutta la società. Dobbiamo ancora assistere a processi che vanno ben oltre la vittimizzazione secondaria e che evidenziano come il tema giustizia e violenza alle donne sia ancora ben lontano dall’essere affrontato con correttezza e rispetto.

Siamo ancora in un’interlocuzione stancante e sfinente con le istituzioni governative che vogliono allargare le maglie di accreditamento dei centri antiviolenza, neutralizzando di fatto le azioni di prevenzione e contrasto che, con competenza ed esperienza, le donne che hanno letto correttamente il fenomeno dando vita ai centri antiviolenza. Nella migliore delle ipotesi stiamo assistendo – e non passivamente – al tentativo di un ritorno indietro sia nella lettura del fenomeno che nelle azioni governative conseguenti. Parlo del tentativo di mettere mano alle modifiche dei requisiti minimi di accreditamento dei centri antiviolenza, in cui tra gli altri elementi di criticità voglio segnalare la richiesta di apertura del servizio H24 senza un adeguamento di corresponsione economica. Per rispondere con una battuta alla sua domanda sarebbe stato meglio rimanere uguali, paradossalmente!

L’Italia è stata stigmatizzata più volte dall’Europa per il trattamento riservato in sede giudiziaria le donne vittime di violenza. Qual è secondo lei la situazione al momento? Cosa è stato recepito e cosa no?

Il Gruppo di esperte ed esperti per le azioni contro la violenza sulle donne e la violenza domestica (Grevio) ha pubblicato il rapporto annuale relativo alle attività nel 2022 nel quale sono indicati i traguardi raggiunti e i nuovi impegni, con particolare attenzione all’applicazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza sulle donne e alla violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 27 giugno 2013. Una parte del rapporto è dedicata ai reati di stupro: il gruppo di esperte/i ha evidenziato che sono ancora troppe le donne che non denunciano casi di violenza sessuale, anche a causa della diffusione di una cultura dell’impunità e degli ostacoli per ottenere giustizia in tribunale.

Il Comitato per adempiere agli obblighi convenzionali fa notare che l’approccio in sede giudiziaria deve essere quello di considerare che “solo sì è sì”, con la conseguenza che nelle aule di giustizia non deve essere posta un’attenzione sul comportamento della vittima e sul fatto che abbia espresso la sua opposizione verbalmente o in altro modo, non intervenendo nei casi in cui la vittima rimane passiva. In particolare, il Comitato ha evidenziato che un numero significativo di Stati tra i quali Albania, Italia, Francia, Paesi Bassi, Svizzera, Norvegia, Polonia, Romania, continua a richiedere come elementi costituivi di reati sessuali l’uso di violenza, coercizione, costrizione, minaccia, intimidazione, mentre questi elementi non devono essere considerati necessari perché è il mancato consenso ciò che conta.

In tutta onestà non credo che ci sia la cultura e la volontà di recepire e assumere responsabilmente le indicazioni che provengono dai vari organismi sovranazionali e mi spingo in una lettura che trova le motivazioni nel mantenimento di una stazionarietà conservativa di privilegio maschile nell’organizzazione sociale, in una parola di un patriarcato radicato e duro che reagisce con inasprimenti e violenza.

In Europa la recente direttiva sulla violenza di genere, annunciata ormai quasi due anni fa, dopo lunga discussione ha trovato un compromesso molto debole sul reato di stupro legato al consenso. Tra i Paesi contrari a criminalizzare lo stupro a livello europeo come un «rapporto sessuale non consensuale», la stessa definizione contenuta nella Convenzione di Istanbul, ci sono Germania e Francia. Qual è la posizione dell’Italia e che significato ha questa direttiva?
Posso esprimere la posizione della rete dei centri antiviolenza D.i.Re che è parte di Wave la rete europea dei centri antiviolenza, che rappresenta oltre 1.600 servizi specializzati per le donne in 46 Paesi europei, ed è stata intensamente impegnata nell’ultimo anno e mezzo nel fornire emendamenti e analisi di esperte per la stesura degli emendamenti alla proposta di Direttiva Ue sulla violenza contro le donne e la violenza domestica. La preoccupazione per l’espunzione dell’articolo sullo stupro basato sull’assenza di consenso e la preoccupazione per l’eliminazione dei servizi specializzati sulla violenza contro le donne. In decenni di attività di advocacy abbiamo osservato una preoccupante tendenza all’aumento delle politiche neutrali rispetto al genere in tutta Europa. Queste politiche, spesso mascherate come inclusive, in realtà nascondono le sfide specifiche che le donne devono affrontare nel campo della violenza contro le donne e della violenza domestica. Sono infondate le critiche contro l’inclusione dei servizi specializzati e specifici perché affondano le radici nella stessa logica utilizzata dagli Stati membri che si oppongono all’articolo 5: uno sforzo deliberato per diluire e riformulare i diritti delle donne e rendere invisibili i bisogni unici delle donne vittime di violenza di genere.

Questo approccio minimizza la natura specifica e strutturale della violenza contro le donne e risulta dannoso per un’adeguata protezione, supporto e accesso alla giustizia, come si sta sempre più verificando in alcuni Stati membri. A differenza dei servizi di supporto generali, i servizi specializzati per le donne offrono un’assistenza mirata e sensibile al genere, fondamentale per la prevenzione della rivittimizzazione e della vulnerabilità delle donne vittime, rispondendo alle diverse e intersecate esigenze delle donne. Credo che garantire l’accesso diretto a questi servizi sia un imperativo etico per tutte le donne. Forse andrebbe rivolta un’esortazione al Parlamento europeo per adottare le 4 P della Convenzione, cioè efficaci politiche di prevenzione, protezione, perseguimento e integrazione.

Mi auguro non ci siano adozioni neutrali rispetto al genere che indeboliscono o aggirano parametri essenziali, in particolare per quanto riguarda i servizi specializzati per le donne, in quanto potrebbero diminuire l’attenzione per i problemi specifici delle donne. Se la proposta di direttiva non adotterà un approccio intersettoriale e specifico di genere e non includerà i servizi specializzati per le donne, non avremo altra scelta che ritirare apertamente il sostegno alla direttiva per non aver raggiunto il suo scopo principale di prevenire e combattere la violenza contro le donne e la violenza domestica nell’Unione Europea.

La rete D.i.Re raccoglie oltre 100 centri antiviolenza in tutta Italia e il loro ruolo è fondamentale la protezione delle donne che hanno subito violenza, per sostenerle nel recupero della libertà e dell’autonomia. Qual è la situazione dei fondi ai centri? Il fondo per le politiche su diritti e pari opportunità per il 2024 è di 55 milioni di euro, sono sufficienti? Ci sono criticità nell’erogazione dei fondi da parte delle Regioni?
La situazione dei fondi e il ragionamento sullo stanziamento è questione complessa che non può essere scissa dalla visione politica e di sistema che si ritiene necessario affrontare e portare avanti. I nostri centri sono in difficoltà perché manca la certezza dei fondi e quelli che vengono stanziati sono insufficienti a coprire le attività che le nostre 3mila attiviste in tutta Italia svolgono nell’accoglienza e nella prevenzione. Ci troviamo di fronte a situazioni limite.

Oggi siamo ancora in attesa di un Piano nazionale che dia una visione politica degli interventi che il governo intende mettere in atto. Da ciò ne discendono interventi sporadici e a spot che di volta in volta vengono proposti e che danno la sensazione, ma solo la sensazione, di interventi. Non so se sia propaganda o meno. Di fatto non abbiamo certezze di quanti soldi arrivino e in che tempi, visto e considerato che la modifica dei requisiti da una parte e l’autonomia delle Regioni dall’altra potrebbero rappresentare ulteriori ostacoli, rallentamenti o addirittura impedimenti. Il riparto nazionale, infatti, prevede uno stanziamento annuale: è evidente che manca la possibilità di programmare le attività per più annualità.

Inoltre, i fondi non vengono stanziati sulla base delle effettive esigenze o di un calcolo del costo che hanno di fatto le organizzazioni, ma sulla base dei fondi a disposizione in quell’annualità. Prevenzione, accoglienza, formazione, sensibilizzazione – in una parola il cambiamento culturale richiede impegno e lavoro che riteniamo indispensabile venga adeguatamente retribuito. Sono i centri antiviolenza che hanno fatto sì che il problema alla violenza alle donne diventasse fatto politico e pubblico, Occupandosi di violenza alle donne e introducendo competenze e professionalità, esperienze e specializzazione. Oggi la platea generalista entra nella ripartizione di fondi pubblici svilendo e neutralizzando l’azione finora condotta.

Il Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023 ormai è scaduto (e non è mai stato attuato il piano operativo) siete state già contattate dal Dipartimento per lavorare sul nuovo piano?
Purtroppo no. Abbiamo partecipato ad una riunione dell’osservatorio per discutere della volontà del Dipartimento per le Pari opportunità di modifica dei requisiti minimi dei centri antiviolenza, ma non è stata prospettato altro.

Quali sono le sfide per il 2024 e gli obiettivi che vi ponete? Quali le urgenze?
La sfida che abbiamo davanti è una sfida di resistenza e di tenacia perché siamo consapevoli che abbiamo di fronte un governo che non prospetta obiettivi di libertà e di rispetto dell’autodeterminazione delle donne. Noi di certo staremo dalla parte delle donne e difenderemo i diritti acquisiti e questo, in questo clima politico, mi sembra già tanto!

Alley Oop compie 8 anni quali sono le sfide che dovrà affrontare nel prossimo futuro in tema diversità e inclusione?
Credo che anche Alley Oop debba partecipare alla resistenza cui accennavo pocanzi. I diritti che credevamo acquisiti vacillano e il patriarcato sta tornando a mettere a rischio la libertà delle donne. E’ sufficiente pensare a quello che sta succedendo intorno alla legge sull’interruzione volontaria della gravidanza e sulla sua narrazione. Credo che una voce autorevole come Alley Oop possa, e debba, mantenere alta l’attenzione anche sul gender pay gap, ad esempio, o sulla disoccupazione femminile. Finché le discriminazioni contro le donne continueranno a essere così diffuse, è difficile anche sono pensare alla valorizzazione delle diversità e all’inclusione.

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Se stai subendo stalking, violenza verbale o psicologica, violenza fisica puoi chiamare per avere aiuto o anche solo per chiedere un consiglio il 1522 (il numero è gratuito anche dai cellulari). Se preferisci, puoi chattare con le operatrici direttamente da qui.

Puoi rivolgerti a uno dei numerosi centri antiviolenza sul territorio nazionale, dove potrai trovare ascolto, consigli pratici e una rete di supporto concreto. La lista dei centri aderenti alla rete D.i.Re è qui.

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