Stem, se le competenze di oggi escludono le donne dal lavoro di domani

Economia verde, robotica e AI trasformeranno il mondo del lavoro. Queste evoluzioni toccheranno anche l’occupazione femminile, con il rischio di alimentare le disuguaglianze già esistenti. Molte mansioni subiranno una trasformazione ma, tenendo conto della distribuzione di genere nel mercato del lavoro, le donne potrebbero finire per essere le più penalizzate. Nuove figure professionali emergeranno, ma richiederanno dimestichezza con le tecnologie digitali e le discipline stem. All’opposto, l’AI potrebbe arrivare ad eseguire compiti chiave, oggi svolti dagli esseri umani, portando a una riduzione della domanda di lavoro e incidendo sui salari.

Sono diversi gli studi che provano a stimare l’impatto dell’AI sul lavoro che verrà. A gennaio 2024 il Fondo Monetario Internazionale con il paper Gen-AI: Artificial Intelligence and the Future of Work ha spiegato che il 40% dell’occupazione globale è esposta all’intelligenza artificiale, con il rischio che queste nuove tecnologie amplino le disuguaglianze globali, “un tendenza che i responsabili politici devono affrontare in modo proattivo per prevenire ulteriori tensioni sociali”, segnala l’organizzazione guidata da Kristalina Georgieva.

Uno studio del McKinsey Global Institute della scorsa estate pone l’accento sulle disuguaglianze di genere: entro la fine del decennio, ci saranno più donne che uomini a rischiare di perdere il lavoro a causa dell’avanzare dell’intelligenza artificiale e dell’automazione. Più in dettaglio, le donne avranno una probabilità 1,5 volte maggiore di dover trovare una nuova occupazione rispetto agli uomini.

McKinsey stima che un terzo delle ore lavorate negli Stati Uniti potrebbe essere automatizzato entro il 2030. I settori più colpiti saranno i servizi di ristorazione, il servizio clienti e vendite, il supporto d’ufficio, gli stessi ambiti in cui le donne sono più presenti. 12 milioni di persone negli Stati Uniti entro la fine del decennio dovranno cambiare lavoro, spostandosi verso altri settori e, molto probabilmente, acquisendo nuove competenze.

Problema globale

Dagli Stati Uniti all’Asia, il problema è globale. Secondo la fondazione politica tedesca Friedrich Ebert Stiftung, anche in Cina e in India le donne avranno maggiori probabilità degli uomini di perdere il lavoro a causa dell’automazione. In India entro il 2030 sono a rischio 12 milioni di posti di lavoro oggi occupati da donne. In Asia le donne continuano ad avere livelli più bassi di istruzione, minori competenze e maggiori obblighi di cura non retribuiti. Quando lavorano, occupano posizioni entry-level o fanno lavori ripetitivi, che sono anche quelli più vulnerabili all’automazione.

Anche se si prevede che le nuove tecnologie creino nuova occupazione, tali lavori rischiano di escludere le donne, per via dei requisiti di competenze necessari.

La forza lavoro tecnologica continua infatti ad essere dominata dagli uomini, che occupano anche la maggior parte dei ruoli tecnici e di leadership. Nello specifico, secondo il World Economic Forum, le donne rappresentano solo il 22% dei professionisti dell’ia a livello globale; il 13,83% degli autori di pubblicazioni sul tema e solo il 18% degli autori delle principali conferenze sull’intelligenza artificiale.

Nel nostro Paese solo il 22% dei programmatori che si occupano di intelligenza artificiale è rappresentato da donne.

E in Italia?

La situazione dell’occupazione femminile nel nostro Paese registra una serie di profili criticità e non fa ben sperare per il futuro. Nel contesto europeo, l’Italia presenta il tasso di occupazione femminile più basso tra gli Stati dell’Unione Europea.

Inoltre, secondo il rapporto sull’occupazione femminile realizzato dalla Camera dei Deputati di dicembre 2023, la scarsa partecipazione della popolazione femminile al mondo del lavoro è ascrivibile anche alla bassa quota di lauree stem tra le donne laureate.

Nel 2022, il 23,8% dei giovani adulti con un titolo terziario ha una laurea nelle aree disciplinari scientifiche e tecnologiche. La quota sale al 34,5% tra gli uomini (un laureato su tre) e scende al 16,6% tra le donne (una laureata su sei). Mentre la percentuale degli uomini che lavorano nel settore digitale è 3,1 volte superiore a quella delle donne.

Stereotipi e algoritmi

Come se il rischio di esclusione sociale e povertà non bastassero, l’avanzamento di un’intelligenza artificiale basata su dati provenienti prevalentemente da uomini e/o su profili maschili, rischia di portare con sé un alto numero di gender bias. Per gli esperti, il rischio è che gli stereotipi culturali – in questo caso legati al genere – possano riflettersi nella progettazione e nello sviluppo di applicazioni degli algoritmi che poi finiscono per modellare il nostro presente e futuro.

Un rapporto del 2021 dell’Alan Turing Institute, Where are the women? Mapping the gender job gap in ai, suggeriva che l’attuale mancanza di donne che lavorano nella scienza dei dati rischia di creare pericolosi “cicli di feedback” che alimentano pregiudizi di genere nei sistemi di intelligenza artificiale e apprendimento automatico. “I dati utilizzati per addestrare gli algoritmi possono sottorappresentare determinati gruppi o codificare pregiudizi storici, a causa di decisioni a monte su quali dati raccogliere e su come maneggiarli”.

Per garantire che i pregiudizi di genere del passato non vengano amplificati e proiettati nel futuro sarebbe opportuno aumentare la diversità di pensiero attraverso un numero maggiore di donne nel settore tecnologico.

Lavori verdi

Sullo sfondo la crisi climatica. Cresce la pressione affinché i paesi accelerino i loro piani di transizione energetica: industrie e tecnologie ad alte emissioni di carbonio dovranno cambiare. Questo si tradurrà in trasformazioni significative anche nel mondo di lavoro. Si stima che 6 milioni di posti di lavoro nell’elettricità alimentata a carbone, nell’estrazione del petrolio e in altri settori potrebbero scomparire entro il 2030. D’altra parte, si prevede che il numero di posti di lavoro nel clean tech quasi triplicherà fino a quasi 29 milioni nel 2050.

A oggi però le donne che lavorano nel settore delle tecnologie pulite sono ancora un piccolo gruppo. Una analisi dei dati di Fuller Project, in collaborazione con Revelio Labs, ha rilevato che le persone che svolgono lavori in settori come il solare e l’eolico tendono ad essere prevalentemente uomini. Le donne rappresenterebbero solo il 31% dei lavoratori nel settore dell’energia verde, sotorappresentate sia a livello junior sia senior.

Allo stesso tempo, le donne sono più concentrate nei settori vulnerabili dal punto di vista climatico. Qui le stime le fa il Fondo Monetario Internazionale vengono in aiuto per delineare meglio i contorni del fenomeno: costituiscono il 48% della forza lavoro agricola globale – percentuale che arriva fino al 69% nell’Asia meridionale – e dominano il settore della trasformazione del pesce con l’85% di presenza, anche se i loro lavori sono spesso insicuri e scarsamente retribuiti. Con l’aggravarsi degli impatti del cambiamento climatico, il potenziale produttivo di questi settori diminuirà, esercitando ancora più pressione al ribasso sulle retribuzioni delle lavoratrici.

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