Diritti, in Italia arretrano: i passi indietro nel rapporto di “A Buon diritto”

Avremo i diritti che continueremo a difendere: è quanto emerge dal Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, una preziosa raccolta di dati e analisi che ogni anno – a partire dal 2014 – l’associazione “A Buon Diritto”, fondata da Luigi Manconi, elabora grazie al sostegno dell’Otto per Mille della chiesa Valdese.

Diciassette diritti analizzati, nessun progresso

Presentato alla Camera dei deputati lo scorso 18 dicembre, quello di quest’anno è un rapporto che non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche. “Il 2022 e il 2023 hanno segnato un significativo arretramento nel campo dei diritti civili e dei diritti sociali”, ha affermato Manconi a margine della presentazione. “In particolare, per quanto riguarda l’immigrazione, abbiamo avuto nuove norme che intaccano e insidiano i diritti fondamentali della persona. Per quanto riguarda la libertà di movimento, di azione, di presenza, nuove regole e nuove leggi che limitano diritti fondamentali. Penso a quelli relativi ai rave o a quelli che prevedono il Daspo urbano. In generale, molti impegni che si pensava potessero arrivare a un risultato positivo sono rimasti disattesi e quindi il giudizio generale deve essere molto critico. Siamo in una fase di arretramento”.

I diritti indagati dal Rapporto sono 17 e la lente di analisi che li passa al vaglio parte dalle maggiori difficoltà riscontrate nel loro riconoscimento fino alle principali novità normative e legislative intraprese per la loro tutela. Migrazioni, libertà di espressione, sanità, ambiente, povertà, parità di genere, famiglie omogenitoriali, persone Lgbtq+, disabilità, carceri: in tutti questi diritti fondamentali, tra il 2022 e il 2023, la libertà individuale è arretrata tanto quella collettiva.

Politiche climatiche e abitative: la strada è in salita

Da un punto di vista climatico e ambientale, evidenzia il rapporto, mancano politiche adeguate di decarbonizzazione che consentano di contrastare i cambiamenti climatici in atto e le loro conseguenze. La stessa inefficienza si riscontra nell’ambito delle politiche abitative: nonostante il Pnrr potesse rappresentare un’occasione importante, in Italia manca un piano strutturale sull’abitare. Una situazione che, oltre a incidere negativamente sulla disponibilità di alloggi in locazione per i residenti, colpisce le fasce più deboli dal punto di vista economico e nega risposte alle richieste avanzate dagli studenti in tenda che continuano a sottolineare come il diritto all’abitare sia strettamente correlato al diritto allo studio.

Il diritto alla casa rimane un’utopia accessibile a pochi e, come sottolinea il rapporto, quando l’attuale Governo ha deciso di ridimensionare il reddito di cittadinanza ha annullato anche i contributi all’affitto come il buono casa e la morosità incolpevole, contributi erogati a migliaia di famiglie.

Italia, sempre più povera e fragile

La fragilità abitativa si accompagna a quella lavorativa: come riporta il rapporto, l’introduzione del reddito di cittadinanza e del reddito di emergenza post Covid-19, pur con dei limiti, aveva comunque consentito a circa 4 milioni di persone di non cadere nell’estrema indigenza. La situazione è cambiata e, come si legge nel rapporto, “con l’avvio della campagna elettorale, il centrodestra ha reso esplicita nel proprio programma l’intenzione di sostituire il reddito di cittadinanza (Rdc) con misure di inclusione sociale, di politiche attive di formazione e di inserimento nel mondo del lavoro. Con l’insediamento del nuovo Governo, le intenzioni annunciate hanno trovato una prima concreta attuazione in diverse misure contenute nel decreto lavoro dello scorso agosto che ha, di fatto, ristretto in maniera sostanziale la platea dei potenziali beneficiari di Rdc. Sono stati infatti esclusi coloro che per ragioni di età e condizioni familiari vengono considerati impiegabili”.

Questo cambiamento radicale della sensibilità politica nei confronti della marginalità socioeconomica “si innesta – afferma “A buon diritto” – in un contesto che tra il 2021 e il 2022 non ha fatto registrare significativi segnali di miglioramento e che rischia di peggiorare ulteriormente a causa del rallentamento generalizzato dell’economia globale”.

Migranti e minori, narrazioni fuorvianti

Le politiche sulla condizione minorile stanno subendo un drastico cambio di passo. La tutela ha lasciato spazio all’allarme sociale: il 2023 è stato segnato anzitutto dal decreto-legge 15 settembre 2023, n. 123, noto come “decreto Caivano”, che si è proposto di introdurre misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”.

Con questo provvedimento sarebbero implementati nell’ordinamento il Daspo urbano – ovvero il divieto di accesso indirizzato a una singola persona in alcune zone – sin dai 14 anni e l’ammonimento orale. Inoltre si inasprisce la sanzione nei confronti degli esercenti la potestà genitoriale in caso di mancato rispetto dell’obbligo scolastico e si estendono i casi di applicazione della custodia cautelare al soggetto minorenne. Quest’ultima misura, in particolare, come sottolinea il rapporto entra in contraddizione con la linea più protettiva del minore, che mira a fare della custodia cautelare e più in generale della reclusione in carcere una extrema ratio”. Promuovere misure alternative alla detenzione e potenziare le strutture comunitarie destinate al recupero dei minorenni, invece, è quello che il rapporto raccomanda indicando l’esperienza particolarmente avanzata del sistema di giustizia minorile italiano.

Come per i minori, anche sul tema “migranti e integrazione” l’analisi fa emergere narrazioni fuorvianti: la retorica dell’invasione ha caratterizzato il dibattito pubblico e politico con l’evocazione del rischio di sostituzione etnica. Eppure, sottolineano i dati Istat, nel 2022 le persone straniere residenti in Italia sono poco più di 5 milioni (8,5% della popolazione residente), di cui più della metà provenienti da Paesi non UE. Il decreto flussi 2022 ha aumentato le quote di ingresso annuali, dalle circa 30mila degli ultimi anni alle 69.700 per il 2022, e il decreto Cutro ha introdotto la programmazione triennale ampliando ancora le autorizzazioni: 452mila tra il 2023 e il 2025, di cui 136mila quest’anno. “Si tratta di un incremento apprezzabile che, tuttavia, non va a incidere sulle criticità del Testo unico sull’immigrazione, tra cui vi è l’assenza di canali regolari e accessibili da chi vuole entrare per lavoro o per ricerca lavoro”, conclude il rapporto.

Violenza di genere, non chiamiamola “emergenza”: è problema strutturale

Se per l’Italia tutta la situazione sul fronte diritti è complessa, per le donne italiane lo è di più. “Il tema dell’autodeterminazione femminile continua nel 2022 a costituire una sfida culturale oltre che un target di intervento di alcune misure economiche e normative, a vario titolo rivendicate dai decisori politici”, indica lo studio.

Il tema della violenza di genere, ad esempio, non può essere considerato semplicemente urgente, poiché il problema è evidente e strutturale. In questa direzione dovrebbero muoversi gli interventi legislativi. Nel 2022 il numero dei femminicidi è stato di 106 donne uccise, mentre nel 2023 il numero totale dei femminicidi lesbicidi e transicidi, secondo l’Osservatorio nazionale di Non Una di Meno, è di 113 (dati aggiornati all’8 dicembre 2023).

Le leggi approvate, tuttavia, continuano a riproporre interventi che guardano all’emergenza e non alla radice del problema: nell’attuale legislatura sono state approvate la legge 12/2023, che prevede l’istituzione di una Commissione bicamerale d’inchiesta sul femminicidio; la legge 122/2023, il cosiddetto Codice rosso rafforzato, che interviene su alcuni aspetti procedurali relativi alla persecuzione dei reati di genere e la legge 168/2023, “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, entrata in vigore il 9 dicembre 2023 e che guarda al fenomeno per lo più in chiave securitaria. Serve la sicurezza ma, prima di tutto, serve la prevenzione: le scuole e le università sono descritti dal rapporto come “luoghi primari di contrasto alle violenze di genere, in termini di prevenzione e contrasto, mettendo a disposizione risorse finanziarie strutturali”.

Ancora, segnala il rapporto, è necessario “attivare percorsi strutturati di prevenzione e contrasto della violenza di genere con realtà territoriali e servizi di prossimità del tessuto sociale in maniera sistematica e diffusa su tutto il territorio nazionale; prevedere percorsi di formazione per tutti gli attori civili ed istituzionali; allocare maggiori risorse e finanziamenti per i servizi di autodeterminazione e fuoriuscita dalla violenza come Centri antiviolenza e Case Rifugio; stanziare fondi per misure di reddito di autonomia come garanzia di indipendenza per le donne che intraprendono percorsi di fuoriuscita dalla violenza e implementare politiche in grado di supportare le donne nella ricostituzione di un percorso di vita autonomo”. La strada è tracciata: ora serve costruirla.

Diritti Lgbtqia+, manca una reale proposta legislativa

L’Italia si colloca al 34° posto tra i 49 Stati europei e dell’Asia Centrale con solo il 25% dei diritti Lgbtqia+ raggiunti: a dirlo è il Rainbow Report di Ilga Europe. Anche il Rapporto sullo stato dei diritti lo conferma: gli ultimi due anni sono stati caratterizzati dall’assenza di una reale proposta legislativa in materia di diritti delle persone Lgbtqia+ e di contrasto alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Nessun passo avanti, nonostante la presentazione, in seno al Consiglio dei ministri del 5 ottobre 2022, da parte dell’allora ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, della “Nuova strategia nazionale Lgbt+ 2022-2025”. Un documento elaborato a seguito di un processo di consultazione con 66 associazioni di settore ma che, di fatto, si limita alla semplice riproposizione dei temi già previsti dalla “Strategia europea per l’eguaglianza delle persone Lgbtq 2020-2025”..

 “Il posizionamento politico della maggioranza eletta nel settembre 2022 lascia poco spazio alla possibilità di un maggiore riconoscimento dei diritti delle persone Lgbtqia+, che sono invece sistematicamente oggetto di attacchi basati su posizioni ideologiche e con finalità di propaganda”, afferma il rapporto. “Basti pensare che durante la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2022, tra i bersagli degli hate speech vi sono state le persone Lgbtquia+, aggredite da una narrazione costruita sulla contrapposizione tra natura e contro natura. Non vi sono, a tutt’oggi, risposte concrete in grado di garantire una tutela effettiva dei diritti delle persone Lgbtqia+, come il riconoscimento delle famiglie omogenitoriali e la riforma dell’istituto della filiazione”.

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