Violenza contro le donne, gli effetti dell’adesione Ue alla Convenzione di Istanbul

In vigore dal primo di ottobre la Convenzione di Istanbul – strumento giuridico che punta alle quattro P per eliminare la violenza sulle donne (prevenire, proteggere, perseguire attraverso l’attuazione di politiche integrate) – è legge anche per l’UE. Nel giugno scorso, infatti, si è finalmente concluso, con l’approvazione di due decisioni del Consiglio, il percorso di adesione dell’Unione europea alla Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

La violenza è censura delle società democratiche                                         

Commentando la decisione, la vicepresidente per i Valori e la trasparenza parla di violenza in termini di censura delle società democratiche: “Una donna su tre al di sopra dei 15 anni ha subito violenze fisiche o sessuali – chiosa Vera Jourová  –  Molte non lo denunciano. Molti aggressori rimangono impuniti. Dobbiamo agire e la Convenzione di Istanbul è la nostra risposta giuridica per rafforzare i diritti delle donne. Continueremo a incoraggiare gli Stati membri ad adottare le misure necessarie“.

Le fa eco Helena Dalli, Commissaria per l’Uguaglianza: “L’entrata in vigore della Convenzione di Istanbul costituisce un passo importante per l’UE, con cui si riconosce che la violenza sulle donne costituisce una violazione dei diritti umani. Solo quando le donne e le ragazze non vivranno più nell’insicurezza, nella paura e nella violenza quotidiane, vivremo in un’Unione veramente equa e paritaria. L’entrata in vigore storica di oggi è un buon passo nella direzione giusta”.

Il codice di condotta

Ma quali sono le conseguenze concrete di questa adesione? Una delle ricadute tangibili è che l’Unione sarà soggetta d’ora in avanti alle valutazioni del GREVIO, il comitato di esperte e di esperti chiamato a monitorare lo stato d’attuazione della Convenzione nei singoli Paesi. Proprio per questo motivo l’UE si è dotata di un codice di condotta che serve a fissare le disposizioni relative all’esercizio dei diritti e all’adempimento degli obblighi, ai sensi della Convenzione; uno strumento interno concepito per arrivare a una rappresentanza esterna che sia coerente, globale e unitaria.

L’adesione dell’Unione incombe anche sugli Stati che non hanno ratificato la Convenzione: anch’essi d’ora in avanti saranno tenuti ad attuare misure di protezione delle vittime dei reati.

D’aiuto, per provare a capire meglio il quadro che si è delineato, è il lavoro di Claudia Pecorella. L’ordinaria di diritto penale a Milano Bicocca ha indagato il fenomeno, anche nella sua faccia peggiore. Analizzare “Violenza domestica e legittima difesa” dà uno spaccato che inchioda ciascuno alle proprie responsabilità: “La sera in cui l’ho colpito a morte, mio marito uscì, andò al bar, tornò, si drogò in cucina, prese un coltello in mano e voleva uccidermi. Ci fu una colluttazione, ma io riuscii a strappargli il coltello dalla mano e a difendermi. L’ho denunciato ogni volta che mi ha picchiato, ma nessuno dei servizi sociali si è mai occupato del mio caso. Forse (…) sarebbe ancora vivo se l’avessero fatto”.

E sono parole illuminanti, che dovrebbero bastare ad aprirci gli occhi sulla violenza e le sue moltissime tragiche derivazioni: “Le donne, per lo più, uccidono da sole, dirigono la loro violenza soprattutto nei confronti del partner o ex-partner e commettono questo reato ad un’età relativamente avanzata (dopo i 50 anni), raggiunta senza aver avuto mai problemi con la giustizia penale. All’origine del loro comportamento c’è infatti qualcosa che le accomuna: la volontà di reagire a una situazione di violenza continua, sopportata per un periodo di tempo molto (troppo) lungo (…). Di tutto questo occorre tener conto quando si giudicano quelle donne e si riflette su quale sia la risposta più adeguata da dare all’uccisione avvenuta all’interno di quel contesto. Ma occorre tenerne conto anche in una prospettiva più a lungo termine, perché si deve trovare il modo di offrire aiuto alle vittime di quella violenza che imprigiona e spegne la vita, per prevenire il riproporsi continuo di epiloghi così drammatici, per tutti quelli che ne sono coinvolti”.

La situazione italiana

L’entrata in vigore rende adesso la Convezione di Istanbul un vero e proprio strumento interpretativo del diritto europeo. E non è una condizione da poco. I livelli di attuazione, bisogna dirlo, sono nel nostro Paese ancora oggi una nota dolente. Il GREVIO riconosce nell’ultimo Report sull’Italia le numerose misure adottate e dà atto delle riforme legislative, giungendo a definirne alcune come molto innovative. Il riferimento per esempio è alla legge del 2009 contro lo stalking, norma “che ha contribuito ad aumentare la sensibilizzazione sulla pericolosità di questo comportamento criminale e sulla necessità di offrire alle vittime un’adeguata protezione”.

Ma gli sforzi, dicono gli esperti e le esperte, sono ancora troppo lontani dal poter dare i risultati sperati: “Pur riconoscendo i progressi compiuti nella promozione dell’uguaglianza di genere e dei diritti delle donne, il rapporto evidenzia che la causa dell’uguaglianza di genere sta incontrando delle resistenze in Italia”.

Il GREVIO, mentre scatta una vera e propria istantanea, esprime preoccupazione per il nostro Paese: è la tendenza dei governanti a reinterpretare e incentrare le politiche di uguaglianza di genere in termini di politiche riguardanti la famiglia e la maternità, a destare pensiero. E’ dunque una questione di prospettiva, si tratta di strategia politica in fondo.

C’è poi tutta la questione della tutela delle vittime, in relazione alla quale il Comitato punta il dito, denunciando l’assenza di una comunicazione e di un coordinamento interistituzionale sistematici: formazione di operatori e operatrici, destrutturazione degli stereotipi, affidamento dei minori nei casi di violenza, sono alcuni dei temi sui quali si sollevano le maggiori perplessità.

Abbiamo dovuto aspettare 10 anni; c’è voluta la conferma della Corte di giustizia (arrivata con la sentenza del 6 ottobre 2021), ma oggi finalmente l’Unione ratifica la Convenzione di Istanbul pur in assenza dell’accordo di tutti gli Stati membri. Certamente è un passo in avanti. Chiediamoci però quale sarà il prossimo, urgente, urgentissimo passo, intanto che le donne continuano a morire.

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