Violenza sulle donne, la stretta del governo non basta

In televisione, sui giornali, in radio, in famiglia, al lavoro, tra amici, al bar. Da domenica il caso di Giulia Tramontano, la 29enne uccisa al settimo mese di gravidanza dal compagno Alessandro Impagnatiello, è entrato nelle nostre vite, insieme alla sua foto in riva al mare con i capelli biondi, il tatuaggio e il pancione. Un fatto di cronaca che ha scosso l’opinione pubblica e ha scaraventato di nuovo in prima pagina il tema dei femminicidi e della violenza contro le donne.

In pochi giorni hanno così preso forma interventi normativi – con il Consiglio dei ministri che ha dato il via libera a nuove norme contro la violenza sulle donne -, vademecum e avvertimenti alle potenziali vittime, come quello della procuratrice Letizia Mannella: “Donne, non andate mai all’ultimo incontro chiarificatore”.

Ognuno, dunque, ha proposte e ricette per intervenire e contrastare i femminicidi, mentre i numeri confermano quotidianamente l’entità del fenomeno: dall’1 gennaio al 5 giugno, secondo gli ultimi dati del Viminale, sono 49 gli omicidi di donne ( 50 nello stesso periodo del 2022), di cui 41 in ambito famigliare e affettivo.

La violenza che non si vede

Giulia è una ragazza come tante che nella vita incontrano uomini bugiardi, manipolatori, narcisisti. Fisicamente violenti? Non necessariamente. Ed è qui che la violenza è meno riconoscibile, silenziosa, invisibile, perché la maggior parte delle volte non ci sono lividi e occhiali scuri a testimoniare abusi e maltrattamenti.

I femminicidi sono solo il punto d’arrivo, provengono da lontano e la violenza maschile sulle donne è controllo, gelosia, è denigrare, colpevolizzare.  “Che madre sei se vuoi lasciarmi?”, scrive via Whatsapp alla fidanzata Alessandro Impagnatiello, che nella realtà di tutti i giorni appare ben inserito, prima però di diventare un assassino. Perché l’assassino, il violento spesso è insospettabile, è il bravo ragazzo accanto a noi.

Come uscire dalla violenza?

E allora Giulia come poteva immaginare di essere uccisa dal padre di suo figlio? Come si possono evitare casi di questo tipo? Come può una donna capire di trovarsi in una relazione non sana? Non è semplice, certo, ma la strada può essere solo quella di fare rete, parlarne sempre di più e sensibilizzare le persone, perché spesso la donna per prima non è consapevole di essere vittima di violenza, non sa dare un nome a quel che le accede perché è difficile riconoscere se stessa e la relazione in cui si vive (o in cui si è stata) come una storia di violenza. Significa mettere in discussione il proprio progetto di vita.

La consapevolezza che porta a chiedere aiuto alle forze dell’ordine e ai centri antiviolenza è cruciale ma è già il passo successivo. Giulia Tramontano non si era accorta di essere in pericolo di vita. Per questo serve un network tra insegnanti, famiglie, medici, psicologi, operatori sociali e poi forze dell’ordine, magistrati, partendo dalla condanna di atteggiamenti maschilisti e prevaricatori, battute sessiste che alimentano l’immagine e l’idea di una donna sottomessa al potere maschile. E questo già a scuola, in famiglia e sul lavoro, educando al rispetto, al riconoscimento delle proprie emozioni e del proprio valore, alla sessualità i giovani, addirittura i piccoli fin dall’asilo.

Occorrono investimenti strutturali nelle scuole

Nel nostro Paese serve un profondo lavoro di sensibilizzazione, a partire dagli asili. Ma per fare prevenzione ci vogliono investimenti di lungo periodo nelle scuole, servono psicologi e psicologhe nelle classi pronti a intercettare ragazzi e ragazze che subiscono violenza, atti di bullismo o assistono a maltrattamenti in famiglia, come prevede la Convenzione di Istanbul” ci spiega Nadia Somma, responsabile del centro antiviolenza Demetra e membro del consiglio direttivo Dire – Donne in rete contro la violenza.

“Nelle scuole è difficile entrare e parlare di violenza o sessualità – continua Somma –  è difficile fare programmi strutturati, le iniziative vengono sempre realizzate grazie alla spinta volontaristica, sono i singoli insegnanti che contattano le associazioni e i vari professionisti. Servirebbero invece interventi strutturali da parte del Ministero dell’istruzione”.  

Le donne vittime di violenza si trovano spesso infatti all’interno di relazioni caratterizzate da una forte manipolazione da parte dell’uomo e, in assenza di aggressioni o violenze fisiche, è difficile capire la gravità della situazione, senza rivolgersi a un centro antiviolenza o senza famigliari e amici attenti.  Anche perché, come ha evidenziato la Commissione di inchiesta del Senato sul femminicidio della precedente legislatura, oltre il 60% delle donne vittime di femminicidio non aveva raccontato a nessuno delle violenze subite e solo il 15% aveva denunciato.

Riconoscere la violenza

Il lavoro da intraprendere sui giovani è far capire alle ragazze quando un rapporto è patologico e può portare a violenza psicologica e fisica; ai ragazzi quando il loro comportamento diventa violento, narcisista o manipolatore”. Queste le parole di Marina Calloni, professoressa ordinaria di filosofia politica e sociale all’Università di Milano-Bicocca e responsabile della rete UN.I.RE, Università In Rete contro la violenza.

Secondo Calloni, il femminicidio di Giulia Tramontano ci pone molti quesiti, primo fra tutti il fatto che il fenomeno della violenza contro le donne deve essere affrontato a partire dalla prevenzione, intesa come cultura contro ogni tipo di violenza da diffondere tra i più giovani. Per gli uomini ciò significa non agirla, per le donne leggere quei segnali che potrebbero portare a recidiva, continuazione della violenza, femminicidio, in un mondo in cui i giovani hanno accesso continuamente, tramite i social, a immagini di violenza e stupri, misoginia, messaggi d’odio, cyberbullismo.

Per questo bisogna intercettare i segnali, capire quando un rapporto diventa patologico, di dipendenza. “Le mie ricerche confermano che nessun femminicidio avviene all’improvviso ma si prepara nel tempo, nella testa dell’uomo, non solo in seguito a violenza fisica ma anche a bugie, tradimenti, menzogne, comportamenti narcisistici. Il problema per l’uomo diventa quindi reputazionale e si risolve con l’annientamento della donna”, continua la docente dell’università Bicocca, che attraverso il centro di ricerca ADV – Against domestic violence, sta realizzando un lavoro sulle scuole.

A Como, ad esempio, è stata firmata una convenzione con la rete provinciale per la formazione, da una parte, dei docenti delle scuole secondarie di secondo grado per imparare a riconoscere i segnali di rischio relativi alle vittime (anche di violenza assistita in famiglia) e ai potenziali autori di violenza. Dall’altra, per la creazione di laboratori per gli alunni, in modo da imparare a riconoscere segnali, apparentemente innocui, che portano ad atti di abuso e violenza nelle relazioni anche tra pari, con la presa di coscienza degli stereotipi alla base dei comportamenti e delle relazioni non sane.

Un campanello d’allarme: crescono i reati tra minori

I dati della Direzione centrale della polizia criminale hanno mostrato nel 2022 un incremento dei minori denunciati o arrestati e delle violenze sessuali. Numeri che – come dichiarato a marzo dal direttore centrale Anticrimine della Polizia di Stato, Francesco Messina e dal procuratore capo del tribunale dei minorenni di Milano, Ciro Cascone – dimostrano la violenza diffusa e non riconosciuta tra giovani che superano i limiti, con una incapacità di avere consapevolezza delle proprie azioni e di rendersi conto della sofferenza altrui. Per questo i ragazzi devono essere educati al rispetto e all’empatia già in tenera età.

Un nuovo pacchetto antiviolenza

Braccialetto elettronico applicato in automatico, distanza minima di 500 metri dai luoghi frequentati dalla possibile vittima, 30 giorni al massimo per il pm per chiedere misure cautelari e per il giudice che deve autorizzarle. Sono alcune delle misure contenute del disegno di legge contro la violenza sulle donne, approvato ieri dal cdm e voluto dai ministri della Famiglia e delle Pari opportunità Eugenia Roccella, della giustizia Carlo Nordio e dell’Interno Matteo Piantedosi.

L’obiettivo: rafforzare le misure cautelari e velocizzare i tempi dei processi.  “In Italia abbiamo un buona e avanzata legislazione, il problema è che i femminicidi e le violenza non si fermano. Abbiamo capito che ci sono smagliature su cui è necessario intervenire, soprattutto sul piano sull’applicazione della legge quindi della prevenzione”, il commento a Radio24 della ministra Roccella.

Esteso l’arresto in flagranza differita, entro le 48 ore, nel caso in cui foto e video dimostrino la colpevolezza dell’uomo; rafforzato l’ammonimento, il primo passo che può fare il questore; aumentate le pene per i recidivi. Per stilare il disegno di legge – che seguirà un iter d’urgenza – l’esecutivo ha considerato la proposta firmata a dicembre 2021 dalle tre ministre del governo Draghi, le risultanze della commissione Femminicidi e la linea del Codice rosso, entrato in vigore nel 2019. Ma il tema che torna è sempre quello dell’educazione e della cultura.

Solo con un’operazione culturale possiamo iniziare a ridurre se non eliminare reati odiosi: deve iniziare nelle scuole e proseguire dappertutto, anche nelle carceri“, ha dichiarato Nordio.

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  • Patrizia |

    Penso che sia fondamentale fornire un reddito consistente e per qualche anno alle vittime di violenza domestica in modo da potersi liberare dal violento (che è sempre un maltrattante anche dal punto di vista economico).
    Andrebbero inoltre riservate priorità di accesso ai posti di lavoro pubblici, dato che è la “cultura del possesso” tipica della nostra società maschilista a costringere le donne a diventare vittime di violenza domestica.

    Bisogna anche considerare che molte donne, forse anche la stessa Giulia, non si rendono conto di essere in pericolo di vita vicino al proprio partner. Occorre fare degli spot di pubblicità progresso per spiegare il ciclo della violenza che mettono in atto i maltrattanti (teoria degli anni 70 di E. Walker), ed altri che spieghino il narcisismo patologico (incapacità di amare e di avere compassione, necessità per la vittima di attuare il “no contact”).

    Senza queste basilari misure, non si può sostenere di aver fatto qualcosa per limitare i femminicidi.

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