Se il cambiamento climatico mette in scacco la psiche

Quanto successo in Emilia-Romagna ci pone inequivocabilmente di fronte alla nostra vulnerabilità come essere umani e alla precarietà di ciò che – in quanto tali – abbiamo costruito. Ancora una volta, infatti, viviamo le conseguenze del nostro impatto sul territorio e sul clima, trovandoci di fronte a un avvenimento che mina non solo la nostra sicurezza, ma anche la fiducia che abbiamo nel futuro.

Non sorprende, dunque, se negli ultimi giorni i protagonisti delle conversazioni – soprattutto sui social – siano stati vissuti emotivi come ansia, rabbia, sconforto, paura, disperazione. Le motivazioni non sono solo da ricercare nelle vite perse, negli edifici distrutti, nelle attività danneggiate e nel territorio annientato. Un ruolo essenziale lo ha anche la psiche. Messa nuovamente a dura prova. Chi si trova nelle zone colpite dall’alluvione si è trovato a dover gestire emotivamente l’emergenza e tutto quello che essa comporta. Con il rischio di sviluppare, nel prossimo futuro, vissuti traumatici che potrebbero durare nel tempo. Chi – più fortunato – è stato a guardare da lontano quanto successo, si è scoperto comunque fragile.

Questi avvenimenti arrivano in un periodo che è già di forte incertezza rispetto al futuro. Anche in virtù della precarietà economica derivante dall’inflazione. Un’alluvione, alimenta l’ansia non solo in quanto tale, ma anche in virtù del suo essere memento – appunto – di incertezza. Per quanto prevedibile, infatti, arriva all’improvviso e coglie comunque sempre impreparati. Non solo: spinge a pensare che potrebbe ripresentarsi. Concretizza il cambiamento climatico, spiazzando i nostri bias. È difatti un fenomeno che, sebbene inesorabile e già in atto, è spesso poco percepito.
Una ragione di ciò risiede nel fatto che sia difficilmente registrabile dal nostro sistema cognitivo: i nostri sensi non sono in grado di percepirlo distintamente e giungono alla conclusione che in fondo – forse – non esista. Non è un incendio o un urlo improvviso, ma un mutamento lento. Che oggi sappiamo essere inarrestabile, ma che rischiamo di non “vedere” come tale.
Un’alluvione di questa portata, ce lo scaraventa in primo piano. Al suo cospetto è difficile rimanere indifferenti.

Se dunque in questi giorni state convivendo con quella che ormai è conosciuta come eco-ansia, sappiate che non siete soli. Il Mind Health Report 2023 di Axa, riporta infatti che il 43% della popolazione italiana avverte l’impatto degli effetti negativi del cambiamento climatico sulla propria psiche. Sempre quest’anno, una ricerca di McKinsey ha altresì evidenziato che il 50% delle persone appartenenti alla GenZ esprime ansia e paura per il futuro, con particolare preoccupazione proprio nei confronti del clima. A tal proposito, un’indagine condotta dall’European Climate and Health Observatory, ha addirittura rivelato che la maggioranza della popolazione avverte proprio quest’ultimo come il problema più grave che affligge il mondo. Prima di povertà, fame, malattie e precarietà economica.

La consapevolezza sul cambiamento climatico sembrerebbe dunque esserci sempre di più. Sebbene spesso non si traduca in azioni concrete per tentare di arginare l’inevitabile. A livello individuale, questo meccanismo può essere spiegato da quella che viene definita eco-paralisi. Ossia la sensazione di non essere in grado di poter contribuire, con i propri singoli comportamenti, a mitigare l’emergenza. Ritrovandosi pertanto a non agire. Una sensazione che porta spesso con sé vissuti di rabbia e impotenza.

Se però non vogliamo che quanto successo in Emilia-Romagna diventi la prassi nel prossimo futuro, è necessario che ognuno di noi metta da parte la sensazione di non essere abbastanza e faccia quanto nelle sue possibilità per dare un contributo. Lo stesso, vale per governi, istituzioni e soggetti economici. Per i quali la paralisi sembra inevitabile. Quanto fango ci vuole per uscire dal pantano?

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