Giovani e lavoro, la generazione interrotta

È la generazione interrotta. Presente, eppure invisibile. Messa all’angolo dalle 3 P: il precariato, la povertà e le preoccupazioni per il futuro del pianeta e della società. L’ultima conferma arriva al report di Deloitte GenZ e Millennials 2023. Uno studio che interroga oltre 22 mila persone in 44 Paesi del mondo e più di 800 giovani in Italia. Risultato: quasi un Millennial su due nel nostro Paese è atterrito dal caro vita. E lo è anche il 38% della Gen Z. La maggior parte dei giovani va avanti di stipendio in stipendio, con il timore di non arrivare a fine mese.

In particolare, GenZ e Millennial italiani mostrano elevati livelli di preoccupazione per l’impatto che la stagnazione economica sta avendo su di loro, incidendo sulla possibilità di creare una famiglia e di acquistare una casa. Se l’economia non migliorerà nel prossimo anno, il 71% dei Millennials e il 63% della GenZ nel nostro Paese ritiene che sarà molto difficile o impossibile metter su famiglia (contro il 47% e il 50% della media globale). Significativamente più elevati della media globale anche i timori sulla casa: oltre il 70% pensa che sarà impossibile comprarne una nel prossimo anno se lo scenario economico non migliorerà.

Un secondo lavoro per integrare la busta paga

Per fare fronte all’instabilità economica, il 37% della GenZ e il 23% dei Millennials in Italia ha almeno un secondo lavoro con cui cerca di integrare la prima fonte di reddito. Molti di questi lavori secondari sfruttano la tecnologia e le piattaforme di social media, ad esempio per e-commerce o ride sharing.

E oltre a svolgere lavori secondari, i giovani adottano comportamenti quotidiani orientati al risparmio: acquistano abiti di seconda mano, evitano l’auto e seguono una dieta vegetariana o vegana, anche per generare meno impatto sull’ambiente, altra grande preoccupazione delle nuove generazioni.

Chiedere un aumento o sperare in una promozione sembra una chimera, così pochissimi ci provano. Cosa che va di pari passo con la paura sempre più forte di poter restare senza lavoro. Di conseguenza, il naturale corso della vita è messo in stand by. Congelato.

Flessibilità e disconnessione

Eppure, sebbene si sia parlato molto di quite quitting negli ultimi tempi, quasi la metà dei Gen Z e la maggioranza dei Millennials afferma che il lavoro è ancora centrale per la loro identità, anche se in maniera diversa rispetto al passato. Il lavoro è importante, ma non è tutto. Prima vengono amici e famiglia. E la flessibilità è al primo posto.

Il lavoro da remoto o ibrido libera tempo e permette un migliore equilibrio con la vita privata (20% dei Gen Z e 28% dei Millennials), aiuta a risparmiare denaro riducendo le spese legate al pendolarismo e all’acquisto di abiti da lavoro (22% dei Gen Z e 27% dei millennial), favorisce una maggiore produttività (18% dei Gen Z e 27% dei millennial) e oltre la metà del campione ritiene che sia positivo anche per la salute mentale. Un tema sempre più importante per i giovani.

Le nuove sperimentazioni legate ad esempio alla settimana lavorativa di quattro giorni, sono percepite positivamente, purchè però siano accompagnate da una riduzione della quantità di lavoro a parità di stipendio, per non aumentare stress mentale e difficoltà economica. Già oggi, infatti, molti giovani ricorrono alla disconnessione nel tempo extra-lavorativo: più di un terzo controlla raramente o non controlla mai le e-mail al di fuori dell’orario di lavoro.

Per altro, alla quantità di lavoro si aggiunge anche la preoccupazione circa la qualità del lavoro, con molestie sempre più diffuse. Più di sei Gen Z su 10 e circa la metà dei millennials afferma di aver sperimentato molestie o microaggressioni sul posto di lavoro negli ultimi 12 mesi con e-mail inappropriate, avance, battute di genere indesiderate e contatti fisici non richiesti. Tra coloro che hanno subito molestie, circa otto su dieci le hanno riferite al proprio datore di lavoro. Donne, non binary e LGBT+, però, tendono a denunciare meno, dunque la sensazione è che i numeri citati possano essere ancora più elevati.

Clima e disuguaglianze, le grandi preoccupazioni

Infine, a tutto ciò, si aggiungono altre preoccupazioni altrettanto importanti legate alla scarsità delle risorse, alle discriminazioni, alle disuguaglianze sociali e al cambiamento climatico.  Su questi temi, gli intervistati e le intervistate riconoscono che le aziende hanno fatto dei progressi, ma la maggioranza non è soddisfatta dell’impatto generato sulla società.

Alle imprese – oltre che allo Stato – l’onere di risanare la frattura, trovando nuove vie per ricostruire un rapporto di fiducia con lavoratori e lavoratrici più giovani. A partire dagli stipendi, a cui è necessario restituire una nuova dignità, per poi arrivare all’intera organizzazione del lavoro, da ripensare in virtù dei nuovi valori. Occorre, in definitiva, riscrivere un patto per un lavoro più sano, che consenta pari opportunità di crescita e che dia la possibilità a Millennials e Gen Z di uscire dall’angolo in cui, fino a oggi, sono stati confinati.

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  • Walter Alif |

    C’è voluto il RDC ed una pandemia per abbattere un sistema ormai troppo rigido e senza prospettiva futura, se non c’è lavoro dignitoso è anche per questo sistema lavorativo ed usanze ormai superate che penalizza i giovani (in italia non ci sono troppi muri e poche garanzie), non che in occidente le cose siano messe tanto meglio (negli altri paesi europei si guadagno solo di più ma pochi lavori sono dignitosi), io punterei sui paesi emergenti che hanno visione di futuro e la vita non è ancora cara, ma con il miglioramento economico di tali paesi la vita potrebbe costare di più anche in quei paesi sebbene non come alcuni paesi europei troppo cari per chiunque (tranne i ricchi)

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