Conquistare spazi per tutti e tutte: è questo il tema conduttore della tre giorni del We World Festival, che quest’anno è giunto alla tredicesima edizione. Spazi per i diritti, per la libera espressione, per un lavoro equo e giusto, spazi per creare scambi e nuove narrazioni sulla condizione femminile, sulla maternità, sui corpi e la giustizia. Dal 26 al 28 maggio, tre giorni di talk, foto, film e performance presso lo spazio BASE di Milano.
Per chi conosce il Festival, la fitta e densa programmazione di talk e tavole rotonde è solo una parte del programma. Anche quest’anno infatti film nazionali e internazionali saranno protagonisti in diversi momenti del Festival, per offrire visioni sulla condizione femminile, la maternità, le migrazioni. Talvolta inedite e sorprendenti.
Il non-desiderio di maternità
È il caso del film “Ninja baby” di Yngvild Sve Flikke. La storia è quella di una ventenne di Oslo, indipendente e libera, che scopre di essere incinta, troppo tardi per poter ricorre a un’interruzione volontaria, sebbene per lei sia l’unica opzione possibile. Dovrà affrontare la gravidanza e imparare a sostenere le proprie certezze, ad attraversarle anche, a scontrarsi col dubbio e continuare a riaffermare che, nonostante tutte le pressioni esterne, lei non lo vuole un figlio.
E in questa ammissibilità del non-desiderio di maternità, la regista rifugge l’happy end e restando centrata su un tema di affermazione generazionale punta lo sguardo sui personaggi maschili e sulla loro partecipazione (o presa in carico) della responsabilità genitoriale. In tutto questo, sebbene il soggetto sia potenzialmente tragico, il film è una commedia squisita a cui non mancano verve, profondità e complessità.
Docu-film su migrazioni e sfruttamento
In programma anche due docu-film che da due angolazioni geografiche diverse mostrano gli impatti devastanti sulla vita delle persone di scelte e politiche scellerate. Da un lato “Along the Way” di Mijke De Jong, ambientato al confine tra Turchia e Iran, racconta delle gemelle di 19 anni Zahra e Fatimah che perduta la famiglia affrontano il percorso migratorio che dovrebbe condurle fino in Olanda.
De Jong ha incontrato le attrici che in pratica interpretano se stesse mentre intervistava donne rifugiate nel campo di Moria, nell’Isola di Lesbo, il più grande d’Europa. Queste interviste si affiancano alle scene di una storia immaginaria che si presenta come ricordo, finzione, che flirta con il documentario, tant’è che le gemelle hanno contribuito a scrivere la sceneggiatura.
Dall’altro lato una storia ambientata in Perù, Bolivia ed Ecuador, che racconta l’estrattivismo e le storie di chi vive sulla propria pelle i devastanti impatti – ambientali, sociali, economici e di genere – dell’industria mineraria tra le Ande e l’Amazzonia. “Il prezzo della terra” del fotografo e regista Alessandro Cinque, prodotto da WeWorld, è un lavoro toccante e rigoroso, ricco di testimonianze e di una bellezza paesaggistica che andrebbe protetta assieme alle comunità che se ne prendono cura.
Riflettere sulle condizioni femminili nel mondo
In programma anche “Woman” di Yann Arthus-Bertrand, in cui le testimonianze di 2000 donne provenienti da 50 Paesi sparsi per il globo parlano di ciò che per loro significa essere donne: la maternità, le relazioni, la nascita, la morte, lo stupro, la guerra, l’amore, il matrimonio,
l’educazione, l’indipendenza finanziaria, la gentilezza e la gioia. Il film ha un duplice scopo: da una parte la denuncia delle ingiustizie sociali, umane, culturali di cui sono vittime le donne solo in quanto donne. Dall’altro la celebrazione della resistenza: queste stesse donne con le loro vite così diverse per storia e per cultura, raccontano il femminile non dal punto di vista della vittima, ma della resistenza e del coraggio.
Sono solo alcuni dei film in programma al festival, per tre giorni di racconti e visioni sulle tante sfumature delle discriminazioni e per provare a tracciare e disegnare nuove strade da percorrere. Come spiega Marco Chiesara, Presidente di WeWorld: “Nelle scorse edizioni abbiamo puntato i riflettori su stereotipi e barriere che ci impediscono di realizzare il potenziale delle donne e di raggiungere l’empowerment. Quest’anno vorremmo andare oltre e dare – in ogni incontro – alle persone uno spunto per produrre un cambiamento”.
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