Giornalismo, i vertici restano al maschile in Italia come all’estero

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Non solo, e non tanto, una questione di firme. Quanto invece una questione di potere decisionale. Potrebbe essere riassunta così la presenza di giornaliste nelle redazioni internazionali fotografata da Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford su un panel di 240 giornali online e off line in tutto il mondo.

Cosa ci dicono i dati

I dati, ancora un volta, non lasciano dubbi: solo il 21% dei 179 top editor delle 240 testate sono donne, nonostante il fatto che, in media, il 40% dei giornalisti nei 12 mercati considerati siano donne. Il dato è addirittura in leggero ripiegamento rispetto al 2021, quando la percentuale femminile fra i top editor era del 22%.

Tra i 51 nuovi top editor nominati solo il 23% sono donne, segno che il trend non indica un miglioramento a breve nel complesso anche se ci sono Paesi (Spagna, Regno Unito e Stati Uniti) in cui la metà o più dei nuovi top editor nominati nell’ultimo anno sono donne. Di contro, però, ci sono realtà in cui le presenze femminili mancano completamente fra i neo promossi. Così si hanno differenze enormi: dal 7% in Brasile al 50% negli Stati Uniti.
La percentuale di donne nelle posizioni editoriali di vertice varia notevolmente da mercato a mercato, dal 7% in Brasile al 50% negli Stati Uniti.

“Guardando più in generale alla disuguaglianza di genere nella società e alla percentuale di donne nelle posizioni editoriali di vertice, non troviamo alcuna correlazione significativa. I Paesi che ottengono un buon punteggio nell’indice di disuguaglianza di genere delle Nazioni Unite, come la Finlandia e la Spagna, hanno relativamente poche donne tra i vertici delle testate giornalistiche” si legge nel report, da cui emerge che la percentuale di utenti che affermano di ricevere notizie da uno o più organi di stampa importanti con una donna come caporedattrice (sia offline che online) varia tra l’81% in Kenya e l’80% nel Sud Africa e il 24% in Brasile e il 5% in Giappone.

Chi decide cosa è notizia?

Chi decide cosa è notizia?” non è affatto una questione irrilevante. E’ determinante sia dal punto di vista simbolico sia (e soprattutto) dal punto di vista sostanziale. Le persone che occupano le posizioni più alte nelle gerarchie editoriali nei mezzi di informazione “esercitano potere e influenza e sono tra coloro che vengono a rappresentare sia la loro organizzazione specifica sia l’industria nel suo complesso” si legge nel report, che precisa come modellano l’aspetto delle notizie e delle redazioni (Griffin 2014) e svolgono un ruolo nel modo in cui il giornalismo viene visto dal pubblico (Duffy 2019). E in questa loro scelta  hanno un’influenza le loro esperienze personali, la loro formazione, la loro cultura (e anche il loro genere).

L’aspetto più evidente è naturalmente quello di genere. Perché è importante? Gli studi ci dicono che ci sono differenze nel modo in cui si copre una notizia tra le redazioni gestite da donne rispetto a quelle gestite da uomini (Beam e Di Cicco 2010; Byerly e McGraw 2020; Shor et al. 2015). Questo accade con maggiore evidenza quando le notizie in questione riguardano, ad esempio, le disuguaglianze sociali (Callison e Young 2019). Non è una questione di meglio o peggio, è una questione di diversità di vedute. E un’informazione pluralista non può che giovare all’intera società.

I giornali ci rappresentano?

In che misura i vertici delle testate giornalistiche rappresentano il pubblico più ampio in tutta la sua complessità e diversità? Stando ai dati la risposta non può che essere “poco”. Non solo per una questione di genere, ma anche per età, origine, scelte sessuali, religione.

Facciamo un esempio pratico: in Alley Oop quando dobbiamo scrivere un articolo o scegliere una fotografia riguardo a una notizia di persone con disabilità ci rivolgiamo per una consulenza a persone esperte, che vivono o hanno vissuto quella realtà. Loro riescono a vedere cose (e stereotipi) dove le persone senza quel tipo di esperienza non riescono a vederne. La stessa cosa si dica per le notizie sulla comunità Lgbtq+ o sugli oitaliani di seconda generazione.

Avere persone che portino in ruoli apicali diversità di esperienze, culture, formazione e scelte renderebbe l’informazione più completa e più “variegata”. A cominciare dalle questioni di genere.

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