Revenge porn, la scelta di difendersi diventa una serie Tv

Credits David Herranz/Netflix

“Tutto comincia con una decisione. Prenderti cura delle persone che ti vogliono bene e andare avanti; lasciare che il mondo dopo il tuo passaggio sia un posto migliore; la decisione di far cadere la maschera ed essere corretta con te stessa; quella di lottare. La decisione di guardare al futuro. Anche se la ferita rimarrà. E la vergogna pure”.

Sugli schermi spagnoli a metterci davanti alla scelta come unica via di scampo è “Intimidad”. La serie Netflix, uscita qualche mese fa con il titolo internazionale di “Intimacy”, in Italia diventa (in una traduzione decisamente riduttiva) “Privacy.

La protagonista è Itziar Ituño, la Lisbona di “La casa di carta”. È un’avvocata e una amministratrice locale di successo, una carriera e una vita in ascesa. Malen è anche la candidata ideale. Prossima a essere eletta sindaca di Bilbao, viene catapultata in un incubo: dopo una notte di sesso extraconiugale, la sua intimità fa il giro della città. E lei si ritrova sulla bocca di tutti, trasformata da un momento all’altro in una vittima di revenge porn.

La fattispecie è quella della diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, punita in Italia con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 5.000 a euro 15.000. Nel nostro Codice penale entra solo nel luglio del 2019, con il Codice rosso, inserita tra i reati contro la persona; mentre il Garante per la Privacy prova a puntare sulla consapevolezza e sulla prevenzione, diffondendo un vademecum.

Nella storia, in parallelo, lo stesso odioso crimine è compiuto ai danni di un’altra donna. Ane è un’operaia, giovane, con una sorella e un fidanzato che non può pensare di deludere. Gli affetti ci vogliono all’altezza, attirano paure, che piovono come fulmini.

Può accadere davanti a uno specchio che due reazioni si sovrappongano, e così succede nei due livelli della narrazione: Malen ostenta una forza che in fondo troverà solo appena si concederà di denunciare; Ane si piega a una fragilità che non domina, si lascia annegare dalla vergogna e sceglie il suicidio. Non si dà nemmeno il tempo di scoprirsi vittima, si condanna senza processo, come fa la società patriarcale che la uccide.

Il tema della serie è attualissimo e parla di un abuso che è trasversale; la lettura è corale. Gira intorno alle vittime una moltitudine di donne: Bego, Alicia, Leire, Miren. Tutte sono in cerca di un equilibrio, tra la dimensione privata e quella pubblica.

A comporre la stagione sono 8 episodi da 50 minuti circa. Nella serie, insieme alla trama a evolvere è la stessa percezione dei fatti: lo spettatore e la spettatrice passano dal ragionare di una violazione della privacy a sentire sulla propria pelle il peggiore dei reati, compiuti ai danni di una donna. C’è in poche battute tutta la banalità del male quando è violenza di genere. La stessa con cui, ogni giorno, in ogni parte del mondo, facciamo i conti.

Non ci sono solo le vittime, però, dilaniate dal senso di colpa e annichilite dal comune e cattolicissimo senso del pudore che è vergogna e diventa stigma. Ci sono anche le reazioni degli altri. Lo sguardo sulla scena è una macchina da presa puntata sui fatti, a scrivere la storia questa volta è una donna. E la prospettiva è inequivocabile: attenta e profonda, un’incursione nei rapporti, in quelli sentimentali o solo sociali, nella ambivalente relazione vittima-carnefice. Una denuncia, un atto d’accusa.

Gli uomini tutto intorno fanno da sfondo. Insieme sono branco, mentre l’individuo solo in qualche caso riesce davvero a spiccare. Come fa il marito di Malen, su tutti. Alfredo è il partner, il compagno, in una relazione senza possesso e senza competizione. Dapprima travolto dallo scandalo, si rivelerà presto in grado di svincolarsi da quella che riconoscerà essere una reazione “necessitata”. A quel copione, imposto dallo stereotipo del macho tradito, proverà a sottrarsi, riuscendo in una liberazione che è auspicio, per chiunque.

C’è tutta intera, in questa serie, la battaglia: quella solitaria e intima, quella collettiva. C’è la famiglia (in un’accezione plurale e inclusiva), c’è l’attivismo, c’è la politica. Non ci sono solo personaggi, ma persone, donne e uomini. E sono bellissimi quando insieme tentano di cambiare il mondo, o almeno la declinazione deforme che siamo abituati a darne.

La serie merita, amplifica domande e ci invita alla riflessione. E un bel film è sempre una buona strategia per riempire di contenuti l’isolamento da Covid, se vi capita di doverlo attraversare.

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