C’è chi dice che “i giovani non hanno voglia di lavorare”. E poi, c’è chi lavora non stop da quando ha compiuto 18 anni. È il caso di Sofia Pipia, 25 anni, di Forlì. Laureata in giornalismo e comunicazione, ha alle spalle una – già – lunga carriera fatta di tutoraggi in carcere e all’Università, baby e dogsitting, esperienze da hostess alle fiere e molto altro. «Lavoretti, è vero. Ma i cv inviati alle aziende finiscono puntualmente senza risposta» chiosa.
E servono a poco LinkedIN o inivii mirati sui siti web, è quasi meglio affidarsi al caro, vecchio, passaparola. Così, quando qualche occasione arriva, anche se non perfettamente allineata al percorso di studi, non resta accettarla: «Non amo stare ad aspettare, ho fame di esperienza e ho bisogno di sicurezze economiche – confida –. Il problema è che quasi mai si incontrano progetti concreti e duraturi. Non c’è mai un orizzonte certo a cui guardare. Io e i miei amici andiamo ai colloqui – quando ci sono -, già sapendo che saranno “posizioni a scadenza”. E questo abbatte ogni tipo di progettualità».
Tra tirocini e contratti a tempo
Così è stato per uno dei suoi ultimi tirocini, vissuto “a distanza” a causa della pandemia e mutilatosi di buona parte del suo valore formativo. «Mi sarei dovuta occupare di un progetto culturale molto sfidante e invece è stata più che altro una collaborazione con Google per l’inserimento dati!» scherza. Anche se la voglia di ridere non è poi così tanta.
Nuovo giro, nuova corsa: Sofia inizia un tirocinio in un’altra società, questa volta privata, e attinente al suo percorso di studi. «Dovevo occuparmi di monitoraggio stampa e web, ma ho dovuto lasciare dopo due mesi perché ho iniziato a soffrire di attacchi di panico: lavoravo 10 ore al giorno per 700 euro, di cui 450 retribuiti dalla Regione e il resto dall’azienda, ovviamente senza contribuiti. Contemporaneamente, dovevo seguire altre attività per arrotondare, in più scrivere la tesi».
Gli inglesi dicono: «to be overwhelmed», ovvero «essere sopraffatti». Così si è sentita Sofia e ha deciso di mollare. «Ho dovuto lasciare andare per ritrovare un equilibrio, ma tanto sapevo che qualunque sforzo avessi fatto, quel lavoro sarebbe stato l’ennesimo impiego temporaneo». Adesso, sta lavorando in Università con un assegno di ricerca per un progetto in audiovisivo e comunicazione. «Qui la retribuzione è di 1000 euro al mese, migliorativa, certo, ma tra affitto, bollette e aiuto che mando a casa, ancora una volta devo mettere insieme più attività sperando di riuscire a gestire il carico meglio di quanto ho fatto in passato».
Quando arriva la depressione
Non è un segreto, del resto, che depressione, ansia e attacchi di panico siano sempre più diffusi, anche tra i più giovani. In alcuni casi, giovanissimi. L’Osservatorio nazionale adolescenza sostiene che il 25% degli under 19 abbia sperimentato nell’ultimo anno vissuti depressivi e che il 20% abbia manifestato problematiche legate all’ansia, disturbi di panico e fobia sociale. Non solo, secondo uno studio realizzato da un consorzio multidisciplinare che coinvolge psichiatri, esperti di sanità pubblica e biostatistici dell’Istituto Superiore di Sanità, delle Università di Genova e di Pavia, e dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri, riportato dalla rivista Journal of Affective Disorders, tali disturbi sono sempre più presenti in tutte le fasce d’età, toccando il 40% degli italiani con un conseguente aumento nel ricorso a psicofarmaci, soprattutto ansiolitici (+20%).
«Come sto? Sono molto sconfortata, non riesco a proiettarmi nel futuro visto che mancano sicurezza e progettualità. Ne parlo spesso con i miei genitori: voi avevate la certezza che impegnandovi, mettendocela tutta, studiando, facendo più esperienze possibili, alla fine ce l’avreste fatta, avreste trovato ciò che stavate cercando. Per noi non è così, e questa sensazione è dilaniante. Perciò – conclude Sofia – a chi mi chiede cosa farò da grande rispondo che inevitabilmente non lo so. Sarò in movimento, questo è certo, e proverò a fare qualcosa che mi faccia sentire viva, utile e fiera di me».
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