Lavoro, carriera, ambizione: e la propria salute mentale?

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Siamo o facciamo il nostro lavoro? Ne ho parlato in un precedente articolo, ma recenti riflessioni mi fanno tornare sulla questione. Complici anche i fenomeni del Quiet Quitting e delle Grandi Dimissioni, il rapporto con la propria sfera professionale è infatti oggi sotto la lente di ingrandimento.

Sui social, sono sempre più diffusi post che mettono in discussione la cultura del sacrificio che ha caratterizzato per decenni il mondo del lavoro. Si fa spazio un rapporto maggiormente equilibrato con quest’ultimo, come dimostrano anche i risultati di recenti ricerche. La Randstad Employer Brand Research 2022, ad esempio, riporta che il 65% delle persone vuole aziende nelle quali vi sia un buon work-life balance e un’atmosfera distesa e piacevole. Mentre i dati 2022 dell’Osservatorio Mindwork-BVA Doxa sul benessere psicologico dei lavoratori e lavoratrici italiani, ci dicono che il 95% di loro vuole che venga posta attenzione alla dimensione mentale a lavoro.

All’interno di questo scenario, che spazio trovano concetti come ambizione e carriera? Sono sempre più superati – immolati al proprio benessere ed equilibrio psico-fisico – o hanno ancora un senso? L’errore forse è credere che lo abbiano alle vecchie condizioni. È assumere che si possa leggere il mondo del lavoro di oggi con le lenti del passato. Ritenere che ciò che si considerava giusto e scontato, lo sia anche adesso.

Partiamo dal lavoro. Ieri era magari sì, totalizzante, ma ben distribuito nel tempo. Era caratterizzato da una fine precisa – anche in ottica di pensionamento – e confini di tempo e spazio ben definiti: casa-ufficio. O fabbrica, che fosse. La carriera era auspicabile e resa possibile da un ascensore sociale che oggi sembra essersi bloccato: secondo uno studio del Pew Research Center, il 70% delle persone ritiene che le condizioni economiche dei propri figli saranno peggiori delle proprie. Una percentuale che sale al 75% in Italia. L’ambizione faceva la differenza, alimentando il mito del “se vuoi puoi” che ancora fatichiamo a scrollarci di dosso.Tanto che una delle principali motivazioni che spingono gli adolescenti in terapia è proprio il senso di inadeguatezza correlato al non farcela.

E se esistessero alternative?

Per quanto riguarda il lavoro, ad esempio, si potrebbe uscire dalla dicotomia vivere per lavorare / lavorare per vivere, andando ad interrogarsi sul rapporto tra lavoro e identità, tra essere e fare la propria professione. Costruendo modalità e luoghi di lavoro che consentano alle persone di lavorare rispetto alle proprie inclinazioni e necessità. Che sia da remoto, in presenza, con flessibilità, senza. Offrire gradi di libertà e possibilità di scelta.

La carriera andrebbe riscritta, cominciando a pensarla non più solo in verticale ma anche in orizzontale. Un approccio cross settore e trasversale a ruoli e funzioni, maggiormente adatto a un mondo in costante cambiamento ed evoluzione.
Perché dobbiamo ostinarci ad associare il concetto di successo a un ruolo più alto nella gerarchia organizzativa? Oppure ai soldi che si ricevono ogni mese in busta paga?

Infine l’ambizione, ossia ciò che tradizionalmente spinge a non accontentarsi, a dare necessariamente il proprio meglio, a volere sempre di più. A rischio di esaurirsi.
Ma se esistesse una sua versione sana? E se fosse proprio questa la chiave per riscrivere anche questo aspetto del lavoro?
Un famoso studio del 2012 ha rilevato che manca una correlazione significativa tra ambizione e soddisfazione personale. Cosa vuol dire? Dimostra che le persone non sono più o meno felici in rapporto a quanto sono ambiziose. Di per sé – dunque – questo tratto non è necessariamente nemico del benessere psicologico. A fare la differenza, sono piuttosto le motivazioni sottese.

Chi lega la propria ambizione a obiettivi di ricchezza, status o popolarità, incorrerà più facilmente in insoddisfazione e malessere. Il successo lascerà infatti quasi subito spazio alla ricerca di nuovi traguardi, in un loop logorante. Chi invece l’associa a crescita personale, relazioni profonde o conoscenza, non corre lo stesso rischio. La soddisfazione e il benessere, in questo caso, non vengono minati. Anzi.

Alla luce di queste evidenze, anche l’ambizione può trovare nuove forme. Possiamo immaginare nuove possibilità e direzioni. Che si parli di quest’ultima, piuttosto che di lavoro o carriera, è infatti evidente la necessità di adottare nuove cornici, lenti, punti di vista. La contemporaneità pone sul tavolo sfide inedite e ricerche di senso. Se vogliamo tutelare il benessere mentale nostro e di chi ci sta accanto, abbiamo bisogno di riscrivere i presupposti che ci definiscono. Come lavoratrici e lavoratori. E come persone.

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