Rugby, inizia il mondiale delle azzurre in Nuova Zelanda

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Dicono che la fortuna sia cieca ma che la sfortuna ci veda benissimo. In questo caso, l’idea è che anche la mala sorte il più delle volte giochi alla cieca. Manuela Furlan, classe 1988, è stata capitana della Nazionale italiana di rugby dal 2018 al 2022 e, a un passo dal Mondiale di rugby di categoria che parte sabato 8 ottobre in Nuova Zelanda, ha subito una battuta d’arresto pesante e inaspettata. Al 72’ della partita Francia-Italia del 3 settembre scorso – test match di preparazione alla competizione iridata – ha riportato un trauma distorsivo del ginocchio destro, nello specifico una lesione del legamento crociato anteriore e del legamento collaterale mediale.

Nell’immediato, la giocatrice ha lasciato il ritiro della Nazionale, ha saltato l’incontro successivo e sembrava destinata a dover abbandonare maglia azzurra, scarpini e soprattutto il suo posto sull’aereo per la Nuova Zelanda. Poi, la sorpresa: quando Andrea Di Giandomenico, il commissario tecnico della Nazionale, ha annunciato la lista delle convocate per il Mondiale il nome di Manuela Furlan c’era e ora l’estremo dell’Italrugby femminile è insieme alle compagne di avventura dall’altro capo del globo per provare a riprendere l’ovale in mano da dove l’aveva lasciato. L’abbiamo raggiunta prima della partenza.

Quanto è stato duro avere un infortunio prima di un appuntamento così importante come il mondiale? “In linea generale ogni infortunio, in qualsiasi momento della carriera di un’atleta credo sia duro. Ti mette veramente a dura prova. Questo tempismo poi rende il tutto più complicato, perché sai di avere poco tempo per recuperare”, ha risposto Furlan ad Alleyoop. E il recupero era tutt’altro che scontato.

Dopo l’infortunio, infatti, Manuela Furlan era pronta all’addio come scritto da lei stessa in un post su Facebook: “Quindi è finita? Sì, in un certo senso sì. Fa male? Tanto. Tantissimo. In quegli istanti lo capisci, vedi tutto il percorso: la preparazione, la qualificazione, la nuova preparazione, i raduni, le amichevoli. Tutto per poi finirla così”, nel quale ammetteva di essere “incazzata” ricordando i tanti sacrifici fatti per essere arrivata solo a un passo dal sogno. Il messaggio, nonostante l’amarezza del momento, era – ed è – positivo come lei: “Non so se sarò più forte. Ma ho ancora un compito. Guidare le mie compagne e in qualche modo lo farò. Perché le mie ragazze sono forti, e sono così convinta di questo che per me e per loro, in qualche modo questo mondiale lo giocherò al loro fianco. Perché ce lo meritiamo”.

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Chissà dove l’ha trovata la forza per scrivere quel post.

Ci ho messo qualche giorno a scrivere quel post, l’ho cancellato almeno tre volte. Volevo fare capire cosa passa per la testa, che non è così facile, che le parole di conforto aiutano ma nel concreto non ti aggiustano. Al contempo, quando sai di aver lavorato tanto, quando hai un obiettivo dentro che è forte, il tutto viene naturalmente, non è una forza cercata, ma semplicemente ritrovata nel momento in cui mi è stata data la speranza di poter recuperare.

Come si reagisce a una “sfortuna” del genere?

Ricollegandomi alla risposta precedente, la reazione arriva subito dopo la diagnosi. Dopo uno sfogo iniziale, di qualche giorno, ci sono solo due possibilità: o ti arrendi, o agisci. Il capitano è sempre l’ultimo ad abbandonare la nave. Anche se Manuela Furlan ha dovuto lasciare la fascia di capitana, non ha abbandonato la nave e anzi è partita con la sua squadra.

Quanto è importante averlo potuto fare?

Per me è fondamentale, sento di poter dare il massimo per recuperare, e le ragazze mi hanno fatto sentire importante per loro. Inoltre, sono consapevoli che più andranno avanti, più mi aiuteranno nel percorso.

Nonostante l’infortunio, questo quindi non è un addio?

Comunicherò l’addio al rugby giocato non appena la Rugby World Cup sarà terminata, come avevo anticipato, sia che io riesca a scendere in campo, sia che rimanga sugli spalti a sostenere le mie compagne.

Ma ti vedremo di nuovo in maglia azzurra?

La convocazione significa che, in accordo con lo staff medico, è stato individuato un margine di possibilità adeguato che mi consentirebbe di scendere in campo in questa competizione. Forse non sarà per le partite della fase a gironi, dipenderà molto dall’andamento del recupero nelle prossime settimane.

Parlando della Coppa del Mondo, a cosa puntate come Nazionale? A cosa punti tu?

In termini di posizionamento non vogliamo fare pronostici. Siamo concentrate su di noi e sulla nostra prestazione, sul fare il nostro gioco, mostrare la nostra identità. Più riusciremo a restare fedeli a noi stesse, più la prestazione migliorerà, e magari sarà accompagnata da un buon piazzamento finale. Io punto a dare il massimo per essere disponibile il prima possibile, sempre e solo se potrò essere utile.

L’addio, quindi, arriverà in ogni caso ma i tuoi progetti per il futuro quali sono?

Al momento nessun progetto, se non staccare un po’ dal rugby. Mi piacerebbe restare nel nostro mondo, promuovere il gioco in giro per l’Italia… L’idea c’è, ma devo ancora capire come strutturarla. Vedremo…

Le azzurre debuttano il 9 ottobre contro gli Stati Uniti per affrontare poi nel girone B Canada (16 ottobre) e Giappone (23 ottobre).

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