Ci siamo arrivati: l’Italia, al suo 68° governo, avrà per la prima volta nella sua storia una Prima Ministra. Non osiamo quasi commentarlo perché non sembra essere “una di noi” ed è emersa dalla fazione politica considerata massimamente machista, ma è innegabilmente una rappresentante del genere femminile: una donna che è entrata nell’agone politico da giovanissima, che ha assunto posizioni di potere mentre era incinta e che ha (si dice) scelto di passare il giorno della vittoria elettorale con sua figlia, invece che sotto ai riflettori.
A votarla sono state donne e uomini, 1 elettore su 4, di una composizione elettorale che reitera la debolezza delle donne nella partecipazione politica: nonostante siano il 52% degli aventi diritto al voto, infatti, il 41% delle donne ha scelto l’astensione contro il 31% degli uomini. Hanno votato, insomma, a malapena 6 donne su 10, e 4 sono rimaste a casa: non hanno esercitato il proprio diritto-dovere di scelta.
E’ possibile che serva, per aumentare la partecipazione politica femminile, una spinta analoga a quella che si sta dando alle STEM? Le analogie sono molte: anche in materia politica, così come in quelle matematica e scientifica, i modelli femminili sono meno visibili e i richiami appaiono più distanti da ciò che tradizionalmente attrae le donne. D’altronde, la politica più di ogni altra arte ha ereditato le regole dell’arte della guerra, rispecchiandone le dinamiche e, ancora oggi, anche i fini: appare infatti naturale, dopo ogni elezione, parlare di vincitori e perdenti rispetto a un terreno di conquista da spartire, e le stesse campagne elettorali hanno da tempo smesso di parlare di futuro per concentrarsi sul “nemico da vincere”, sulla paura dell’altro e sull’urgenza di batterlo.
Il gioco della guerra ha sempre coinvolto poco le donne: forse perché l’istinto femminile si accende piuttosto attraverso la cura, funzione primaria demandata a questo genere per qualche centinaio di migliaio di anni. Il modello politico del gioco a somma zero ha però rivelato da tempo la sua fragilità e c’è spazio per ripensarlo: come mai le donne non si fanno avanti? Forse perché non è stato ancora autorizzato in ambito politico un tipo di dibattito che invece negli scorsi anni ha animato quello economico: nel fare spazio alla specificità del pensiero femminile, si è infatti cominciato a chiamare con il termine “womenomics” (women + economics) il punto di vista diverso che le donne potevano portare all’impianto economico, arricchendolo. Vogliamo negare che la politica abbia ugualmente bisogno di essere ripensata, arricchita e completata da un pensiero più femminile?
E allora, mettendo insieme le donne e la politica – women + politics – potremmo battezzarle Womenitics
e inaugurare così, insieme alla prima Capa del Governo italiana, una stagione in cui andiamo a cercare la diversità in politica, ammortizzando in questo modo l’effetto straniante che la diversità produce in ambienti omologati come quelli del potere. Provocare un disagio temporaneo, autorizzare un effetto sorprendente, fare spazio a suoni ed espressioni mai viste e sentite, ripensare agende che sembrano immutabili nel tempo (le riunioni a tarda notte, per dirne una) per rimpiazzarli con modalità e abitudini nuove, che sono il riflesso di nuove voci e nuovi punti di vista: le Womenitics potrebbero fare questo, raccogliendo la sfida di dimostrare che le donne servono alla definizione del potere tanto quanto gli uomini e che quel 52% di donne in età da voto (oggettivamente maggioranza) ha qualcosa di proprio da dire.
Che cosa? Qualche segnale di come potrebbe essere una politica più femminile viene dai Paesi che su questo sono più avanti dell’Italia, come la Finlandia e la Nuova Zelanda, ma non basta. Perché il vero potenziale di un pensiero politico femminile emerga, occorre andare consapevolmente a cercare e a sollecitare la differenza, o la tendenza all’appartenenza sociale farà naturalmente prevalere la propensione all’omologazione, facendoci perdere importanti opportunità per cambiare e migliorare i processi decisionali, le scelte e la definizione stessa di leadership.
Come sarebbe una politica che incorpora pienamente il pensiero femminile? Per ora, rompe il soffitto di cristallo una donna in cui non è facile identificarlo – d’altronde il sistema seleziona ciò che le sue regole determinano – ma potrebbe sorprenderci, chissà.
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