Quale genere di stereotipo? Le mille difficoltà delle persone non binarie

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Andare ad un evento dal titolo “normale”, quasi banale (“Diversity, inclusion e contesto normativo: il rispetto e la valorizzazione delle differenze per supportare il capitale umano nelle aziende“, ndr)  e lasciarsi stupire da contenuti inaspettati, da declinazioni della diversità che ancora ci spiazzano perché sono multiple e non binarie. Ci sono diversità “più diverse” di altre? O forse è tempo di parlare di unicità di ogni individuo, evitando facili contrapposizioni?

Non so se l’effetto sorpresa era voluto, ma il primo incontro organizzato dal team Pari Opportunità di Andersen – studio di consulenza fiscale, legale e di advisory finanziaria – ha avuto proprio questo risultato. E forse era voluto, perché come ha raccontato Nicolò Bassetti, scrittore e regista del lungometraggio Nel mio nomeparlare di  identità non binarie soprattutto in contesti aziendali è ancora un tabù e proporre apertamente il tema spesso equivale ad un rifiuto di parlarne.

Il docufilm, che ha  come produttore esecutivo l’attore e attivista Elliot Page, racconta in presa diretta la vita di quattro amici che alla domanda “ma tu sei maschio o femmina? ” non sanno rispondere. Perché – come ha spiegato uno dei protagonisti, Nicolò –  nella nostra società c’è ancora un forte bisogno di classificazione e riconoscibilità, e quello che non rientra negli standard, che non è né bianco né nero, crea tutt’oggi diffidenza se non perplessità e paura. Di qui le sue difficoltà non solo a definirsi e riconoscersi in un genere, ma anche le complicazioni giuridiche e burocratiche che la transizione comporta nella vita privata e nel lavoro.

E così un incontro che poteva essere l’ennesimo sulla diversità di genere ha stimolato invece una riflessione più profonda su cos’è la diversità, quanti tipi ce ne sono, e come far sì che in azienda ognuno si senta libero di esprimere le proprie. Partendo dall’ascolto e dal riconoscimento che ciascuno di noi ha una sua unicità, somma di molte diversità. Una complessità certamente difficile da gestire ma che – come la case history di Ikea ha illustrato – è l’unico modo per affrontare la diversità in maniera autentica, ed efficace. E che può, con una cultura aziendale innovativa, colmare i vuoti di legge ancora esistenti.

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