Cambia il dizionario, viene prima il femminile

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La notizia è che il Dizionario Treccani metterà le parole in ordine alfabetico.
Che novità, si dirà: non è forse sempre stato così? Si, però la regola, fino a prima di questa piccola rivoluzione, si fermava alla penultima lettera. Poi la convenzione implicita del “maschile come neutro” faceva sì che anche le parole che avevano a disposizione una declinazione femminile in -a mostrassero prima quella maschile in -o. Bada bene: non si tratta di parole e aggettivi neutri o non declinabili, ma di termini che prevedono il femminile in -a, per cui comunque la -a c’è sempre stata, ma sempre di default dopo la -o. Questo sovverte le regole dell’ordine alfabetico e si traduce da sempre in una riconduzione al maschile delle narrazioni collettive (donne e uomini diventano uomini e acquisiscono aggettivi maschili) e fondamentalmente nel dato culturale che considera il maschile la norma e il femminile l’eccezione.

Andava bene così? Serviva cambiare? Intorno a queste due domande si è scatenato sui social un dibattito che rivela quanto questo argomento parli alle pance degli Italiani – donne e uomini – e quante resistenze riveli alla tanto acclamata “parità di genere”: resistenze di diverso tipo. Intanto qualche dato. Nelle centinaia di commenti alla notizia, le quote di partecipazione sono invertite rispetto a quelle che di solito vediamo quando si parla di parità di genere, con un ricco 70% proveniente dagli uomini.

E questo sorprende, perché di solito su questi temi gli uomini si tengono abbastanza in seconda linea, in silenziosa attesa che le cose “per le donne” cambino. Invece qui il cambiamento investe prima di tutto il territorio esistente: le regole precostituite che perimetrano la nostra lingua e, con essa, la nostra capacità di pensiero. Perché è chiaro che attraverso il linguaggio noi pensiamo, immaginiamo, comunichiamo e creiamo, oggi più che mai. Ed è altrettanto chiaro che questo cambiamento non “modifica la realtà” ma aggiusta la rappresentazione della norma perché sia più corretta per il mondo contemporaneo. E che a farlo sono esattamente gli esperti preposti a questo: non una scuola media, non un gruppo di femministe, non un opinionista su un giornale, ma la Treccani, che dal 1925 è un punto di riferimento indiscusso per la conoscenza in Italia.

La qualità e la tipologia dei commenti sui social spacca in tre la società maschile (una parte pro e due contro) e in due quella femminile (pro e contro), con una rappresentazione interessante delle forze che entrano in gioco – non solo qui, ma in generale in Italia – quando si sfiora davvero la possibilità di cambiare le cose.

1. Uomini che dicono sì.
Il 30% circa dei commenti maschili parla di un cambiamento importante e necessario. Sono commenti pacati, di apertura e di celebrazione del nuovo, come:

“Bellissima e semplice rivoluzione per immaginare e pensare diversamente, forse meglio! Bravi!”

“Era ora ! La lingua è movimento e gioia”.

Molti condividono la notizia sui propri profili, alcuni intervengono anche a placare gli animi dell’altra metà del cielo maschile, quella che invece trova la notizia decisamente negativa, ovvero il 70% circa del totale maschile. I “negativi” si dividono a loro volta in due gruppi.

2A. Uomini che dicono no perché “è sbagliato”.
Il primo gruppo dei negativi è formato da coloro che argomentano con (presunta) cognizione di causa la loro opposizione. Fanno riferimento alla letteratura, alla lingua e finanche alle lingue antiche, per spiegare come mai sia corretto mantenere la preminenza della declinazione maschile. Secondo questa fazione, la Treccani sta proprio sbagliando nel merito, forzando un cambiamento in modo inutile e controproducente, o addirittura dannoso per la lingua italiana.

“Molte parole al maschile e al femminile indicano categorie differenti e la differenza tra i termini non è una mera questione di genere. Cambiare la desinenza può significare riferirsi a qualcosa di completamente diverso. Un tale modo di “gestire” la lingua è alquanto discutibile sotto tantissimi punti di vista. E lo affermo da femminista convinto, da uomo che è cresciuto grazie a grandi modelli femminili. Non so. Mi sa tanto di “inclusion washing”. Il rispetto di tutti non passa attraverso una lettera”.

“A mio parere Mr. o Mrs. Treccani dovrebbe semplicemente seguire l’evoluzione della lingua nella società non cercare di imporre o inventare i cambiamenti”.

2B. Uomini che dicono no perché “è brutto”.
Si tratta della fazione più creativa e anche, se così possiamo dire, arrabbiata. Da questo gruppo – il più numeroso, circa il 70% dei commenti maschili negativi – escono vere e proprie aggressioni all’iniziativa, che più di uno definisce adatta a un dizionario “Treccagne”. Emerge la sofferenza di “orecchie ferite” di fronte ai nuovi suoni, proposte di storture fuori luogo come “case che hanno “tette” invece di tetti” e infine, con una certa frequenza, attacchi diretti e indiretti alle donne stesse, anche questi con una certa varietà, come per esempio nel caso in cui viene citata la Bibbia: “Isaia 3,12: Un fanciullo tiranneggia il mio popolo e le donne lo dominano”.

Questa rilevante porzione di commenti mostra come le relazioni tra le parti siano tutt’altro che serene. Non si tratta infatti di uomini che si considerano maschilisti, che ritengono quindi di discriminare attivamente l’altro sesso, ma di quella maggioranza di solito silenziosa che si considera moderna e al tempo stesso ritiene che il cambiamento non debba toccare nulla di ciò che c’è già. Ed ecco che velocemente si arriva al “voi contro di noi”:

“Se voi donne volete essere chiamate SINDACA, OTORINA, INGEGNERA, MEDICA, fatelo… nessuno ve lo impedisce… come nessuno mi impedirà di non utilizzare questi termini che, secondo me, rovinano la lingua italiana… con buona pace della Treccani”.

3. Donne che dicono di no perché “è inutile”
Dell’inutilità dell’iniziativa, della sua potenziale dannosità perché distrae da questioni “veramente importanti”, del fatto che possa addirittura rafforzare certi atteggiamenti discriminatori, parla la quota di donne (circa il 30%) che commenta negativamente la notizia. Si tratta di commenti indignati, animosi, perché anche qui sembra che venga toccata la pancia di un problema che la maggior parte delle donne ha dovuto risolvere per conto proprio, con battaglie e decisioni individuali in cui ci si è sentite molto sole e che adesso non si ha voglia di mettere in discussione.

“Credo che le rivoluzioni si facciano in altro modo… nella vita di tutti i giorni, in parlamento, nelle aziende che scelgono di dare alle donne manager le stesse opportunità che danno agli uomini (senza lasciarsi frenare dal pensiero che un giorno andranno in maternità lasciando scoperta una posizione di rilievo)… che Treccani dia la sua approvazione a termini quali “sindaca” “assessora” ecc (che al mio orecchio suonano anche male!!!) rimane una magra consolazione! Non necessariamente dobbiamo aggiornare e cambiare le parole, dobbiamo invece cambiare la mentalità!”

Per questa maggioranza tutt’altro che silenziosa, la discriminazione sta proprio nel cambiamento e il maschile neutro era una “conquista sociale”.

“E’ un danno, non un vantaggio. Siamo più deboli più insistiamo a metterci il fiocco rosa. È inutile regresso, e complica lo sviluppo professionale”.

“Che la maggior parte delle donne non sia in grado di capire l’emancipazione cosa significhi, per me è dimostrato da tutta l’attenzione che danno a queste idiozie. Adesso si dà tutto lo spazio del mondo a quelli che la medica non la vogliono, di discriminarla meglio.
Il neutro è una conquista sociale, ma chissà perché le donne, così abituate a stare dietro, festeggiano la vittoria della zappa sui piedi.
Continuiamo ad aumentare e sottolineare le differenze, invece di unire le professioni in un unico neutro adatto a tutti. Per invidia mal celata che si sia optato per il maschile come forma di comunanza. Un pilota non chiede di essere piloto perché gli darebbe senso di appartenenza. Spiega perché con la parificazione in Italia non si avanza di un passo”.

Non è così strano leggere commenti del genere, visto che parliamo di “uguaglianza” e questo per molti si traduce nell’essere tutti uguali. Ma uguali a chi? Per questo, l’uguaglianza – o meglio la parità – deve necessariamente passare per la capacità di nominare le differenze, altrimenti si traduce nell’uguaglianza a ciò che è stato definito e nominato in passato, e quindi nella difesa fine a sé stessa dello status quo. E così a perderci è il mondo, che della diversità delle nostre voci e capacità ha un gran bisogno.

In questi anni, le avvocate e le architette sono state tra le prime coinvolte nel dibattito sul diritto alla declinazione femminile per la maggior parte delle professioni, e non solo per quelle di minore influenza nel mondo odierno – queste ultime, è importante dirlo, ugualmente importanti, anzi forse di più: perché quelle che troviamo normale declinare al femminile sono spesso professioni di cura, di educazione e di servizio al prossimo, che tengono in piedi la società.

Più di recente ci sono stati casi famosi, come le direttrici (o direttore) d’orchestra, e casi esemplari, come le ormai sdoganate assessore, sindache e ministre, che all’inizio facevano urlare alla “cacofonia”. Adesso servirà una presa di posizione anche da tutte le altre, come le mediche e le ingegnere, da oggi presenti prima dei loro colleghi maschi nel nuovo Dizionario Treccani. E forse preferiranno continuare a farsi chiamare “nome della professione (ingegnere, architetto, soldato, etc) donna”, come avviene oggi quando si vuole specificare che a fare quel lavoro (normalmente considerato di appannaggio maschile) non è un uomo.

Insomma, di lavoro da fare ce n’è ancora molto. Le armi sono tutt’altro che riposte e l’uguaglianza tra i sessi è di là da venire, in Italia. L’iniziativa del Dizionario Treccani, nella sua prima edizione con una donna direttrice, ha aperto una finestra di consapevolezza su ciò che era e su ciò che è, e una finestra di speranza su ciò che potrà essere. Questo è proprio il compito della cultura, e la cultura si fa con le parole (che precedono, narrano e seguono i fatti).

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  • leo |

    Mi pare che la notizia si commenti da sola, la trasformazione sta avvenendo con la Treccani a direzione femminile. Se non è guerra dei sessi questa…

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