Lavorare durante il percorso di studi, paga. Nel Rapporto AlmaLaurea 2022 l’indicatore sulla condizione occupazionale dei laureati consente di distinguere due gruppi di individui: quelli che hanno iniziato a lavorare solo dopo il completamento degli studi e quelli che invece erano già occupati al momento di concludere il percorso di laurea magistrale.
In entrambi i casi gli individui sono laureati, e sono occupati al momento della rilevazione, un anno dopo la laurea; ciò che li differenzia è solo il fatto che gli appartenenti al primo gruppo erano occupati già prima di conseguire il titolo di studio, mentre gli appartenenti al secondo gruppo hanno iniziato a lavorare solo dopo la laurea.
Confrontando la situazione dei due gruppi (Tabella 1) si osserva che lavorare e studiare contemporaneamente richiede tempi un po’ più lunghi per raggiungere l’obiettivo, e comporta un voto medio un po’ più basso, ma trova la sua ricompensa nella retribuzione, che un anno dopo il conseguimento del titolo risulta maggiore di quella di coloro che hanno iniziato a lavorare solo dopo la laurea.
Tabella 1 – Condizione occupazionale dei laureati di secondo livello al conseguimento del titolo di studio (in valore assoluto e in percentuale dei rispondenti), voto di laurea, durata degli studi, età alla laurea e retribuzione media mensile netta un anno dopo la laurea, per sesso.
Gli studenti che erano già occupati al momento di concludere il loro percorso formativo non sono pochi: sono il 30% del totale dei laureati di secondo livello (31% per la componente femminile). La disaggregazione per ambito disciplinare evidenzia che solo nel gruppo Scientifico la quota di coloro che lavoravano al momento della laurea scende sotto il 20%, mentre nei gruppi Medico-Sanitario e Farmaceutico, Educazione e Formazione, e Scienze motorie e sportive, la loro quota supera il 50% (Tabella 2).
Tabella 2 – Laureati di secondo livello che lavoravano al momento del conseguimento del titolo di studio in percentuale sul totale dei rispondenti, e variazione percentuale della loro retribuzione, rispetto a quella dei laureati che non lavoravano, ad un anno dal conseguimento del titolo, per sesso e gruppo disciplinare.
L’incremento della retribuzione di chi ha studiato lavorando, rispetto a quella di chi ha iniziato il lavoro solo dopo la laurea, vale per la componente maschile di tutti i gruppi disciplinari, mentre per la componente femminile si osserva qualche eccezione: per le laureate dei gruppi Arte e Design, Letterario-Umanistico e Scienze motorie e sportive, infatti, la variazione ha segno negativo, indicando così che le laureate che non risultavano già occupate al conseguimento del titolo guadagnano una cifra leggermente più alta di quelle che lavoravano già prima della conclusione del loro percorso formativo.
La differenza di retribuzione più consistente tra chi ha lavorato e chi non ha lavorato durante gli studi si osserva per i maschi del gruppo Politico-Sociale e Comunicazione (+ 25%) e per le femmine del gruppo Medico-Sanitario e Farmaceutico (+ 22%). Negli altri casi l’incremento è meno consistente, ma è comunque incoraggiante perché sostiene la scelta di proseguire gli studi anche da parte di coloro che sono già occupati. Questo è un bene per il nostro sistema economico perché in Italia i laureati sono troppo pochi: anche tra i giovani (25-34 anni), infatti, non si raggiunge neppure il 30% del totale, contro il 46% della media OECD; solo il Messico ne ha meno di noi, tutti gli altri 37 Paesi ci battono, compresa la Colombia, il Cile, la Turchia e la Grecia; al primo posto c’è la Corea, col 70% di giovani laureati.
Si deve tener conto del fatto che la globalizzazione degli scambi incentiva la divisione internazionale del lavoro e rende vantaggiosa la specializzazione, cioè la possibilità per ciascun Paese di produrre ciò che sa fare meglio degli altri per un mercato molto più vasto: cosa possiamo fare noi, con così pochi laureati, in questo sistema produttivo globalizzato? Faremo la pizza per tutti?
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