Condividere le informazioni fa bene alle persone e all’azienda

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Nonostante si viva in un mondo estremamente digitalizzato e denso di notizie, in cui i dati rivestono un ruolo sempre più concreto e strategico, spesso l’essere umano pecca di informazione. Se si pensa ai social, vengono subito in mente concetti come fake news, disinformazione o post verità. E se si sposta lo sguardo in azienda? Sebbene anche nelle organizzazioni possano palesarsi comunicazioni mendaci o pretestuose, è più frequente che ve ne sia piuttosto mancanza. La condivisione è assente, gli aggiornamenti non sufficientemente periodici, la trasparenza zoppicante.

Finisce così che molte persone scoprono le cose dopo – quando magari è troppo tardi – oppure che non abbiano gli elementi necessari per svolgere il proprio lavoro in maniera ottimale. Nel primo caso, possono generarsi vissuti di esclusione, nel secondo, frustrazione e inefficienza operativa.

La quantità e la qualità delle informazioni che vengono condivise hanno infatti un impatto diretto sul benessere psicologico di chi lavora. La mancanza di comunicazione genera incertezza. L’incertezza alimenta i vuoti. I vuoti facilitano le supposizioni. Le supposizioni favoriscono le ansie. O spronano a riempire quei vuoti come meglio si riesce. Finendo per causare, il più delle volte, errori.

Lo sa bene Netflix, che da sempre porta avanti una politica di completa trasparenza da questo punto di vista: condivisione trasversale e comunicazione aperta e diretta sono due punti cardine dei suoi valori organizzativi.

Quando si parla con le persone in azienda, non è raro che una delle cause di insoddisfazione sia proprio la mancanza di sufficienti informazioni per svolgere correttamente i propri compiti. Se si parla con manager e responsabili, si recupera l’altro lato della medaglia: l’assenza di tempo da dedicare alla condivisione e agli aggiornamenti periodici.

Da comunità, l’organizzazione diventa così una folla indistinta di persone che svolge a testa bassa le proprie attività. Nel migliore dei modi che le è possibile, alla luce delle poche informazioni a disposizione. Il contesto si perde, il senso anche. L’appartenenza viene meno e la motivazione cala. Di conseguenza, diminuisce il benessere percepito e aumentano sentimenti di frustrazione, insoddisfazione e smarrimento.

Una puntuale ed esaustiva comunicazione consente alle persone di sentirsi parte di un progetto più ampio. Ecco perché è essenziale formare manager e responsabili tanto ai feedback quanto all’aggiornamento periodico. L’operatività fagocita lo scambio di informazioni e il lavoro da remoto complica il tutto. Se si è in presenza, le parole circolano in maniera spontanea, nei momenti morti, davanti a un caffè, durante una riunione. Banalmente, alzando la testa dal computer. Se non si è fisicamente insieme, la questione si complica. Soprattutto perché la comunicazione finisce per essere troppo spesso unidirezionale: email e messaggi prendono il posto di scambi vis a vis, ma anche di telefonate e videocall.

Eppure, al crescere della digitalizzazione, sappiamo che sarebbe opportuno aumentare esponenzialmente l’umanizzazione. Le aziende ci stanno riuscendo? Forse troppo poco.

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