Quanto i tatuaggi ti penalizzano sul lavoro?

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Le persone tatuate ricevono lo stesso trattamento di quelle non tatuate sul mercato del lavoro? I tatuaggi hanno un impatto sulle prospettive occupazionali? Quali sono gli stereotipi più comuni associati ai tatuaggi? Quelli negativi come promiscuità, uso di droghe, crimine ecc. (Timming et al. 2017) o quelli positivi che li considerano una manifestazione artistica (body art) e un segnale di creatività (Jibuti 2018)?

Il problema non è trascurabile perché i tatuaggi sono sempre più diffusi sia in Europa sia in Italia, e se in origine erano limitati a pochi gruppi specifici (ad esempio marinai, galeotti e membri di alcune bande criminali), attualmente coinvolgono circa 60 milioni di persone in Europa, pari al 12% della popolazione europea (Joint Research Centre 2016), di cui quasi 7 milioni in Italia, pari al 13% della popolazione italiana (Istituto superiore di sanità 2018).

Nel nostro Paese i tatuaggi sono più comuni tra le donne (13,8% contro 11,7% degli uomini); sono più concentrati nella fascia d’età tra i 35 e i 44 anni (23,9%), ma sono ben presenti anche tra i minorenni (7,7%). Il titolo di studio più diffuso tra i tatuati è il diploma di scuola superiore (55,4%) ma anche la laurea è ben rappresentata (30,8%).

Alcune recenti ricerche di economia sperimentale (ad esempio Timming et al. 2017 e Jibuti 2018) evidenziano che le persone con un tatuaggio visibile sono penalizzate (rispetto a quelle non tatuate, a parità di altre condizioni) quando si candidano per un posto di lavoro nel settore della ristorazione e in quello bancario, ma potrebbero essere avvantaggiate nei settori del marketing, della moda e dello sport. Nelle ricerche precedenti questa disparità di trattamento non era emersa con la stessa evidenza perché i dati non erano disaggregati per settore (French et al. 2019). L’indagine di Jibuti (2018), condotta in Germania e specificamente riferita al settore bancario, mostra invece che le persone senza tatuaggi ricevono il 54% di convocazioni in più di quelle tatuate, quando si candidano per una posizione vacante. Similmente, la ricerca di Dillingh (2020) mostra che tra le persone con meno di 45 anni quelle tatuate hanno una minore probabilità di occupazione e una retribuzione inferiore rispetto a quelle non tatuate.

La questione è interessante, dal punto di vista economico, perché la discriminazione dei tatuati (positiva o negativa a seconda del settore considerato) non deriva da una caratteristica esogenamente data come il genere o l’età, ma è oggetto di scelta, cioè dipende da una decisione liberamente presa dalle persone stesse.

La scelta di tatuarsi è una scelta razionale?

Per essere razionale una decisione individuale richiede tre condizioni: che le persone sappiano valutare le conseguenze delle proprie azioni, sappiano ordinarle in modo coerente e sappiano scegliere in modo tale da massimizzare l’utilità che ne deriva. Nel caso dei tatuaggi le persone sono consapevoli delle possibili conseguenze negative delle proprie scelte? E se lo sono, cosa li induce a farsi tatuare?

Forse le persone non sanno che possono essere discriminate per il loro tatuaggio, o forse lo sanno, ma lo fanno lo stesso, consapevolmente, perché per loro è più importante esprimere in tal modo la propria identità. È precisamente questa la spiegazione suggerita da Akerlof e Kranton (2000) a conferma del ruolo fondamentale dell’identità nel contesto di scelta razionale. L’articolo, intitolato Economics and Identity, apre un filone di ricerca su questo tema sviluppatosi nel decennio successivo e condensato nel volume Identity Economics del 2010. Gli autori affermano che: “gli agenti economici possono, più o meno consapevolmente, scegliere chi vogliono essere”, e poiché “l’identità è fondamentale per spiegare il loro comportamento, la scelta dell’identità può rappresentare la più importante decisione “economica” che un individuo possa prendere” (p. 717).

In tale contesto, i tatuaggi sono esplicitamente citati dagli autori come esempio di espressione della propria identità (p. 721); questa pratica trasforma infatti le caratteristiche fisiche di un individuo affinché corrispondano ad un ideale estetico o manifestino la sua appartenenza ad una categoria o gruppo sociale.

Se ne trae la conclusione che per le persone che sono consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, e che sono libere dal condizionamento degli stereotipi, la scelta di tatuarsi può essere una decisione del tutto razionale: date le sue preferenze, il decisore anticipa il piacere (o il dispiacere) conseguente alla propria scelta, e se tutto sommato ritiene che il beneficio sia maggiore del costo si sottopone alla pratica del tatuaggio.

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