L’innovazione si sta arricchendo di nuovi vocaboli, alcuni dei quali provengono da mondi apparentemente distanti e sembrano voler riportare il progresso a una dimensione più umana.
“Nel prossimo decennio servono invenzioni che colleghino lo sviluppo tecnologico con l’umanesimo”
ha recentemente detto Alec Ross, esperto di innovazione e tra i co-fondatori di “Emotion Network”, commentando la conferenza Tech Emotion organizzata a Milano questa settimana.
Sono quindi andata a riguardare su Wikipedia l’origine del termine “umanesimo“: un movimento culturale del ‘400 in cui “la riscoperta e lo studio degli autori greci e latini dell’antichità ha portato alla valorizzazione dell’uomo, posto al centro del mondo; considerato una persona libera, vero protagonista della storia, capace di dominare la natura.”
L’umanesimo è quindi il pensiero progenitore della tecnologia che caratterizza l’era in cui viviamo oggi: definita “anthropocene” perché è proprio l’uomo, con le sue invenzioni, a determinare le sorti del Pianeta in modo inesorabile. Non dovremmo dunque auspicare di ricollegare al progresso tecnologico proprio quel pensiero umanista che ha fatto dell’uomo un creatore inarrestabile di tecnica, quanto piuttosto ambire a contaminarlo con qualcosa di veramente nuovo: non l’umanesimo, ma l’umanità.
Nel filone del pensiero umanista contemporaneo, il cuore trova posto attraverso le emozioni, altra parola calda di questo periodo. Emozione e tecnologia sono facilmente accostabili, non è una novità: spesso l’invenzione tecnologica è vincente proprio perché emoziona, creando un apparente antinomia tra razionale ed emotivo, tra tecnica e umanità. Ma anche qui si produce una dissonanza: anche qui il termine, usato apparentemente in modo nuovo, consolida anziché mettere in discussione la direzione già presa.
Le emozioni, infatti, non sono sentimenti. Nella parola emozione c’è un significato risonante, che è quello di “muovere”: l’emozione muove verso qualcosa, genera azione. Per questo ben si sposa al progresso tecnologico, che si nutre del consumo, del costante movimento.
Mentre l’umano si contraddistingue per i sentimenti – siamo esseri senzienti che pensano, ha detto la neuroscienziata Jill Bolte Taylor – il progresso tecnologico punta alla replicabilità e scalabilità delle emozioni, che ne sono un aspetto più manipolabile, motore di consumo. Per provare un sentimento è infatti necessario stare, fermarsi, essere prossimi, conoscere e conoscersi. Il sentimento, come la relazione umana, è sufficiente: non ha bisogno di essere mediato da oggetti di consumo, che invece sono creatori e dispensatori di emozioni insufficienti perché, se il bisogno viene soddisfatto del tutto, il progresso si ferma. Il sentimento ha invece la rara capacità di saper saziare l’animo umano: non spinge a consumare altro che sé stesso.
Sviluppo tecnologico, umanesimo ed emozioni sono gli ingredienti che ci hanno condotti nell’anthropocene, èra in cui il pianeta Terra non è più in grado di sostenere l’impatto del progresso umano. Posta al servizio del libero arbitrio, la tecnologia ha prodotto infinite macchine dispensatrici di emozioni: paura, gioia, disgusto, tristezza e noia sono già dentro a tutto ciò che ci spinge a consumare compulsivamente, come se fosse l’unico modo di esistere. Se trovassimo il coraggio e la motivazione per mettere le nostre incredibili capacità di innovazione e la potenza della nostra tecnologia al servizio dell’umanità invece che dell’umanesimo, il progresso umano potrebbe, come si dice in gergo da startup, davvero “pivotare”… e magari insegnarci ad amare con la stessa efficacia con cui ha saputo insegnarci a consumare.
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