Arriva Tinder per l’ufficio: innamorarsi di un collega è un problema oppure un benefit?

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Due notizie opposte dai due capi del mondo. Cosa hanno in comune? Il tema delle relazioni amorose fra colleghi. Dagli States è arrivata la conferma delle dimissioni del presidente della Cnn Jeff Zucker, che aveva taciuto con l’azienda una relazione amorosa con Allison Gollust, “la sua più stretta collaboratrice”. 56 anni e da nove a capo della rete all news, Zucker era uno degli uomini più potenti della televisione americana. Le policy aziendali anglosassoni sulle relazioni con i colleghi non risparmiano neanche i vertici.

In Giappone, invece, la tendenza è totalmente diversa tanto che è nato il Tinder per l’ufficio, e in pochi mesi è già stato scelto da 800 aziende nipponiche. Lo ha lanciato China Toyoshima, una giovane manager giapponese che nel 2020 è stata premiata da EY tra le “Entrepreneurial Winning Women Asia-Pacific” per aver creato e messo sul mercato un servizio di intelligenza artificiale in grado di migliorare la qualità delle comunicazioni tra colleghi, inizialmente con lo scopo di aumentarne capacità produttive e di vendita. Evidentemente lo strumento era quello giusto, ma il posizionamento no: AILL (questo il nome dell’azienda e della sua app) doveva servire sì alle aziende e alla produttività delle persone, ma doveva farlo passando da una porta laterale, quella della felicità.

E così è stato: in un Paese sempre più preoccupato per il proprio tasso di fertilità (1,36 figli per donna, comunque più alto dell’1,27 italiano), le aziende hanno da tempo intuito che persone iper stressate producono meno e peggio, e la pandemia ha aumentato la preoccupazione per l’isolamento dei lavoratori. Non una novità: in modo più costoso e apparentemente meno efficace, molte aziende erano già entrate in campo sentimentale inserendo tra i welfare benefit le agenzie matrimoniali. Aill Goen costa però solo 48 euro al mese e sfrutta big data e intelligenza artificiale per superare i molti scogli che la nascita di una relazione incontra.

Primo: circoscrivere i contatti alla propria azienda e alle altre abbonate sembra far superare a 30-40enni meno propensi al rischio delle app di dating l’ostacolo della diffidenza, proponendogli un ambiente in qualche modo verificato e la familiarità di volti e abitudini già intravisti in corridoio.

Secondo: la timidezza iniziale viene vinta a colpi di chat, che comunque per un po’ protegge dalla fatica (dall’emozione?) del contatto diretto, dando un’illusione di autoreferenzialità e abbassando il livello di stress.

Terzo: quando la conversazione si arena, l’intelligenza artificiale promette di fare da sensale e farla ripartire (se l’intelligenza artificiale decide che ne vale la pena) con opportuni stimoli.

Quarto: allo stesso modo ma in direzione inversa, il cupido-bot sembra in grado di segnalare quando è il momento di passare alla fase successiva, riconoscendo parole o ritmi che indicano che le due persone sono “pronte”, e suggerisce anche i possibili prossimi passi: un caffè alla macchinetta, un panino in mensa, un cinema…

Tradizione e innovazione, sogno e pragmaticità sono elementi del fascino del popolo del Sol Levante: da tempo per loro è evidente il problema del rapporto tra vita e lavoro, da tempo sono in allarme per il conflitto tra un’aspirazione al successo che appare totalitaria e il rinnovamento di un concetto di famiglia che tenga il passo. Per questo, l’adozione di uno strumento che rompe un altro confine tra vita e lavoro è una buona notizia dal punto di vista culturale: libera delle possibilità che erano già lì, le veste di ufficialità.

La cattiva notizia? Stiamo sempre più scegliendo di affidare a un’intelligenza artificiale la responsabilità di intuire che cosa funziona e che cosa no: artificiale per definizione, non farà che rafforzare ciò che è già noto, togliendoci la possibilità della scoperta… dell’inaspettato vitale.

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