Violenza sulle donne e affidi: i diritti dei minori non ascoltati

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Dopo oltre due anni anche M., 7 anni, la più piccola dei quattro fratellini di Cuneo, torna a casa. Il Tribunale ha firmato l’ordinanza che autorizza il rientro dalla madre e dai tre fratelli della bimba, collocata presso una famiglia affidataria. I quattro fratellini di Cuneo (oggi 17, 15, 12 e 7 anni) erano stati allontanati dalla madre nel 2018 dopo aver denunciato le molestie subite dal padre. Inizialmente collocati presso i nonni paterni, a luglio 2020 – su decisione del Tribunale per i minorenni del Piemonte – erano stati prelevati da forze dell’ordine e assistenti sociali e trasferiti in comunità diverse. Tra marzo e agosto i più grandi sono tornati a casa, la piccola il 31 gennaio. La notizia è arrivata dopo mesi di ricorsi, appelli, richieste, mobilitazioni che hanno politica e opinione pubblica.

In Italia sono centinaia, migliaia ogni anno i bambini costretti a vedere il padre violento. Affidati a entrambi i genitori nonostante le denunce della mamma o prelevati e portati in casa famiglia o dal padre. Il motivo: tutelare il rapporto con entrambi i genitori, anche nei casi di violenza. E se il bambino ha paura e non vuole andare dal padre è colpa delle madri, simbiotiche, ostative, alienanti. Quindi il bimbo deve essere allontanato e le sue ragioni non vengono ascoltate. “La mia bambina ha sempre continuamente ripetuto alla ctu, la consulente tecnica d’ufficio: ma se io sto meglio con mia mamma perché non posso stare con lei? La risposta della psicologa era: perché non decidi tu ma gli adulti. Allora perché mi convoca? Diceva la mia bambina con una semplicità spiazzante a cui non era possibile replicare”.

La storia di Bianca (nome di fantasia) inizia quando lei ha 17 anni, conosce Marco che ha 11 anni più di lei. Si fidanzano, lei va all’università, viaggia molto. Quando ha 26 anni vanno a convivere, dopo un anno e mezzo resta incinta. “Lui non voleva che lavorassi, mi riteneva inadeguata. Se accetti il lavoro in un’altra città vuole dire che non te ne frega niente della bambina, mi diceva. Io piangevo, la situazione era pesante. Così decisi di andare via di casa. Mi trasferii dai miei quando la piccola aveva circa due anni”. Un giorno, Bianca torna a casa a prendere le sue cose, il suo ex la immobilizza al muro e abusa di lei. “Sono rimasta incinta e dopo un mese ho abortito. Non l’ho raccontato a nessuno perché mi vergognavo – spiega Bianca – lui continuava a minacciarmi, i miei genitori non sapevano niente, speravano addirittura che tornassimo insieme”. Per due anni, dai 3 ai 5 anni circa della bambina, l’uomo incontra la figlia quando vuole, è molto mondano, viaggia. Quando trova una nuova compagna la situazione cambia e vuole vedere di più la figlia

.“La bimba voleva stare con me, piangeva, lui me la strappava dalle braccia”, ci racconta Bianca, che a quel punto decide di prendere un avvocato. “Ne ho incontrati tanti ma nessuno ha voluto denunciare la violenza, mi hanno mostrato un elenco enorme di donne a cui hanno tolto i bimbi dopo la denuncia. All’inizio non ci credevo poi ho riflettuto: chi mi crederebbe, è stato il padre di mia figlia ad abusare di me. Non mi ha picchiata a morte, non ho le prove. Forse è meglio anche per la bimba credere che il padre sia una brava persona e non uno stupratore. Tanto quello che ho subito nessuno lo può riparare”. Il legale le consiglia di non far emergere troppo la conflittualità per evitare la ctu, consulenza tecnica d’ufficio. Intanto la bimba compie sette anni. La madre chiede week end alternati con collocamento presso di lei e un pomeriggio alla settimana dal padre. L’uomo invece chiede l’affido esclusivo. Durante la prima udienza il giudice accoglie le richieste della madre ma lui chiede la consulenza tecnica d’ufficio.

Il suo intento era dimostrare che ero pazza e bipolare, ovviamente tutte cose non vere”, precisa Bianca. Nel primo incontro, la ctu aggiunge un giorno al padre. “Alla bimba faceva domande atte a vedere se avevo una sorte di attaccamento particolare a mia figlia”. Con la mamma la bambina regredisce, scrive la psicologa, che parla di madre aderente. “Partono già dal preconcetto che se il bimbo vuole stare con la madre è perché la donna denigra l’uomo. Invece è il contrario, come emerge dai racconti di mia figlia. Per fortuna, durante i test con la pisicologa, mia figlia ci ha sempre disegnati equidistanti da lei”. Nel corso della ctu, che è durata circa 8 mesi con annessa richiesta di proroga, la consulente continua ad aggiungere giorni di visita al padre, fino ad arrivare quasi a un paritario. Mancava il collocamento che era presso la madre. “Io ho cercato di fargli capire che la bambina sta male e dobbiamo arrivare a un accordo, tornare ai week end alternati ma lui non vuole: il suo obiettivo è colpire me”.

Intanto la ctp (consulente tecnica di parte) del papà chiede l’affido agli assistenti sociali e il divieto di espatrio per la bimba. Durante l’incontro con la ctu la bambina si mette a piangere, continua a ripetere di voler stare con la mamma. La consulente decide di fare una serie di test – la prima volta 2 ore, la seconda 4 ore – sull’attaccamento materno per individuare la PAS. Ma la piccola si rifiuta di andare dal padre, scappa di casa e alla fine è la stessa consulente tecnica d’ufficio a scrivere nella relazione che i tempi paritari, anche se preferibili, non sono attuabili. Fallita la ctu, Bianca e l’ex compagno fanno un percorso positivo col mediatore, ma il giudice non lo prende in considerazione. Alla fine arriva la sentenza del Tribunale di Venezia, che stabilisce l’affidamento congiunto con tempi paritari: 2 giorni con la madre e 2 col padre, con la supervisione degli assistenti sociali. Bianca non si arrende: “La situazione così non è sostenibile, la bimba non può andare avanti e indietro. E io in questo modo non potrò più lavorare e occuparmi di lei”.

Sono tante le testimonianze che arrivano dal Nord est, dove a seguire le donne c’è MovimentiaAMOci, in collaborazione con Maternamente. Le associazioni segnalano un aumento costante di casi di donne che rischiano di vedere i figli allontanati dopo la separazione dall’uomo violento. Anche la storia di Chiara e di suo figlio Luca, 7 anni, inizia in Veneto. Quando il piccolo ha 5 mesi lei si separa dal suo ex e lo denuncia per violenza, querele tutte archiviate. Nel 2019 il Tribunale dei Minori di Venezia dispone il collocamento definitivo presso la madre a Roma, dove si erano trasferiti, ma il padre non accetta la decisione. Nel 2020 il Tribunale per minorenni della Capitale sospende la responsabilità genitoriale di entrambi i genitori e nomina un tutore. “Il tutore e gli assistenti sociali non hanno mai fatto incontri mamma-bambino, non hanno mai visto mio figlio – ci racconta Chiara – ma in udienza viene evidenziato il forte legame madre figlio, ignorando completamente la violenza, che viene ridotta a un conflitto tra genitori. Io divento la madre che ostacola il rapporto col padre. Il bambino e i suoi sentimenti vengono ignorati”. Il 26 luglio 2021 Luca, epilettico con una patologia oculare, viene strappato alla madre e ai nonni con un prelievo coatto da parte delle forze dell’ordine e portato in comunità. “Luca è in casa famiglia da oltre sei mesi, ha perso 10 chili, è dimagrito, abbattuto, spento, rivuole la sua vita. Mi è stato tolto a causa del forte legame che c’è tra di noi, per essere riavvicinato al padre”, ribadisce la mamma.

Da agosto a ottobre Chiara ha visto il figlio in incontri protetti in comunità, poi le visite, le telefonate, le videochiamate sono stati interrotte. “La giustificazione è stata: il bambino si rifiuta di vedere la madre ma non è vero. Mio figlio vuole vedere me e i nonni, vuole tornare a casa, lo ha raccontato”, spiega la mamma. “Dopo 74 giorni sono riuscita a ottenere una videochiamata il giorno di Natale. Il padre invece continua a vedere il bambino in incontri protetti. Luca purtroppo non sta bene, tra pochi giorni sarà il suo compleanno e non potrà ricevere nemmeno un bacio e gli auguri della sua mamma”.
Queste altre storie testimoniano ancora una volta come troppo spesso nei tribunali italiani la violenza non venga considerata. La priorità diventa preservare il diritto dell’uomo violento di vedere i propri figli, anche allontanandoli dalla madre che si è separata dall’ex proprio per proteggerli. Ma quali sono le conseguenze per questi bambini? In alcuni casi traumi psicologici, senso di ansia e di abbandono, un futuro da donne vittime e uomini violenti. Un futuro che però a volte non c’è. Come nel caso di Daniele, 7 anni, ucciso l’1 gennaio 2022 dal padre, ai domiciliari per tentato omicidio e denunciato per maltrattamenti in famiglia. Il piccolo, come stabilito dal gip, quel giorno si trovava dal padre, che lo ha ucciso per vendetta nei confronti della ex moglie.

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