Smart, agili ma felici? Stare bene nel futuro del lavoro

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L’indagine BVA-Doxa sul benessere psicologico nelle aziende italiane evidenzia che il 40% delle persone si dice preoccupato del rientro a tempo pieno in ufficio. Il 20% cambierebbe addirittura lavoro se costretto a rientrare.I principali motivi di tale preoccupazione sono i vissuti di stress, la gestione del tempo e quella della propria famiglia. Sembrerebbe dunque che molti lavoratori italiani prediligano il lavoro da remoto.

La pandemia ci ha catapultato in un mondo del lavoro che prima era ignoto ai più: quello del lavoro agile o, se non altro, agile in potenza. Perché l’esperienza fatta, di smart e agile, aveva ben poco. Eppure, molte persone hanno toccato con mano cosa significa lavorare senza vincoli di spazio. Una minoranza, ha sperimentato anche l’assenza di vincoli d’orario. Secondo i dati del Politecnico di Milano, le persone che hanno lavorato a distanza nel 2020 sono state circa 6,58 milioni, ossia un terzo circa dei lavoratori dipendenti italiani. Sono state coinvolte il 97% delle grandi imprese, il 94% delle pubbliche amministrazioni italiane e il 58% delle Pmi. E adesso?

Una recente indagine italiana di Citrix commissionata all’istituto di ricerche OnePoll evidenza che il 54% degli intervistati vorrebbe una forma di lavoro ibrido tra casa e ufficio. Il motivo? Il 43% dichiara di voler tornare (anche) in ufficio per ritrovare l’interazione con i colleghi.

In realtà le persone stanno, in maniera intelligente, chiedendo semplicemente di poter fare lavoro agile”, spiega Chiara Bisconti, consulente di risorse umane e vera pioniera nell’introduzione del lavoro agile in Italia. “Riprendiamo in mano la legge 81 del 2017: definisce in modo chiaro il lavoro agile come alternanza tra ufficio e altri luoghi di lavoro. È esattamente ciò che oggi chiamiamo ibrido, quello che desiderano ora le persone: poter lavorare scegliendo il luogo più adatto, senza essere obbligate a recarsi fisicamente ogni giorno in ufficio. Con questa alternanza si restituisce alle persone la sovranità di gestione del loro tempo, delle loro vite e si favorisce la socialità, la vicinanza fisica; ma solo quando serve davvero. È un modo di lavorare che non conosce il rischio di isolamento, perché l’ufficio ne è comunque parte integrante. Nelle giornate del lavoro agile promosse dal Comune di Milano prima della Pandemia, infatti, questo rischio non è mai stato indicato dalle persone nei loro questionari di valutazione dell’iniziativa.

Ciò che emerge, è l’essere a un crocevia: ci sono aziende che stanno facendo rientrare le proprie persone, organizzazioni che si orientano a una modalità remote-first, realtà che stanno sfruttando questo periodo di transizione per trasformare i loro processi organizzativi e adottare il lavoro agile, ma agile per davvero. Quello che sembra affermarsi, trasversalmente, è la ricerca di un equilibrio all’interno della forma ibrida.

E se questo equilibrio fosse davvero l’agilità? Restano minoritarie le aziende che scelgono di introdurre la flessibilità massima prevista dal lavoro agile. Un cambiamento che porta con sé la necessità di ripensare non solo la cultura organizzativa, ma anche il proprio personale modo di intendere il lavoro.

Mi piace definire il lavoro agile un patto di libertà“, acconta ancora Chiara Bisconti.
È un accordo tra azienda, lavoratori e lavoratrici che si basa sull’assunto che le persone siano adulte e perfettamente in grado di organizzare il loro lavoro e il loro tempo. Le parole chiave che entrano in gioco sono responsabilità e fiducia. Le persone ritrovano la loro libertà nel lavoro e con lei una nuova felicità. Ma perché questo accada bisogna sapersi organizzare, essere capaci di fornire alla persone obiettivi chiari e delegare. Non tutti i manager ne sono capaci. A volte nelle aziende italiane manca proprio la cultura di gestione delle persone; a volte sono resistenze meramente culturali. Chi ha lavorato per anni senza dover pianificare il lavoro, con collaboratori sempre a portata di mano, con la possibilità di indire riunioni all’ultimo minuto, magari a pomeriggio inoltrato, perchè dovrebbe ora cambiare? Magari rinunciando anche al prestigioso ufficio conquistato a fatica, nel momento in cui alle persone venire in ufficio interessa sempre meno?”.

Sebbene il lavoro ibrido non sia necessariamente lavoro agile, da quest’ultimo ci si può far ispirare, per trovare modalità altre e un equilibrio che, negli ultimi mesi, è più volte venuto a mancare. La recente ricerca BVA-Doxa, citata in apertura, evidenzia infatti non solo le preoccupazioni legate al rientro in ufficio, ma anche le condizioni psicologiche delle persone in azienda. Una su due soffre di ansia e insonnia e l’80% ha provato almeno un sintomo riconducibile al burnout.

La pandemia ha sconvolto il mondo del lavoro dall’oggi al domani: le persone si sono adattate e hanno trovato nuove abitudini nel remoto. Oggi si chiede loro di cambiare nuovamente: di tornare, in percentuale variabile, in ufficio, dovendo affrontare nuove e inedite modalità. Si sottovaluta, molto spesso, che si chiede loro di abbandonare – di nuovo in poco tempo – abitudini ormai consolidate. I vissuti di ansia e stress diventano pertanto naturali conseguenze di questa uscita, quasi sempre imposta, dalla propria zona di comfort.

Le aziende si trovano di fronte a una sfida: rendere quello che oggi stiamo imparando a conoscere come lavoro ibrido, un lavoro agile a tutti gli effetti, strutturato ed evoluto. La flessibilità, infatti, non può essere forzata in vecchi schemi. Servono nuovi e agili assunti, dettati non solo dalle necessità delle circostanze e del mercato, ma anche dai bisogni e dal benessere psicofisico delle persone.

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  • Giacomo Cellini |

    C’è molta confusione tra lavoro agile, da remoto in particolare in Italia. Eravamo più indietro rispetto al resto dell’Europa e si è visto all’inizio della pandemia. Per fortuna grazie al mio lavoro di web marketing avevo già intrapreso questa modalità. Quindi per me e per chi fa il mio mestiere è stato più semplice adattarsi al cambiamento. Sicuramente bisogna rivedere la legge 81 del 2017 ormai obsoleta.

  • ciro |

    Il problema infatti è il prestigio ed il potere legato all’ ufficio come unico luogo di lavoro e ad avere sempre a portata di mano i soliti collaboratori mentre spesso le altre persone che comunque lavorano vengono lasciate a se stesse senza coinvolgerle in veri obbiettivi che si possono raggiungere anche a distanza dall’ufficio.
    Purtroppo però è anche colpa dell’attuale Ministro che a quanto apre interessi solo l’economia della ristorazione senza riflettere sul fatto che i locali pubblici si trovano anche nel quartiere di casa.
    Il problema secondo il mio modesto avviso è di basso profilo culturale dell’attuale Ministro della P.A.

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