WeWorld Index, donne e bambini pagano il prezzo più alto della pandemia

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A fine 2021 nel mondo 435 milioni di ragazze e donne saranno sotto la soglia di povertà e, a causa della pandemia, 47 milioni rientreranno nei “nuovi poveri”. E’ uno dei dati riportati nell’edizione 2021 del WeWorld Index, la classifica sul livello di inclusione di donne e bambini in 172 Paesi, che fotografa il mondo post pandemia analizzando la loro situazione in relazione a 34 indicatori (ambientali, sociali, educativi, economici e di salute), sulla base ragionata dei dati di diverse organizzazioni internazionali. Un focus sull’Italia rileva che in Europa è stato il Paese con il maggior numero di giorni con scuole chiuse per la pandemia, oltre ad aver registrato un peggioramento della condizione economica femminile.

Nella 7ma edizione del WeWorld Index si ricorda che l’impatto delle crisi non è mai ‘neutro’ rispetto al genere e la crisi pandemica non fa eccezione come emerge nei diversi ambiti presi in considerazione: dalla salute (con l’incremento di gravidanze indesiderate e di malattie sessualmente trasmissibili), al lavoro (con una perdita complessiva di occupazione femminile del 5% contro il 3,9% di quella maschile), dall’istruzione (con l’aumento del tempo di lavoro domestico e di cura non retribuito a scapito di quello di studio) alla partecipazione politica (che rischia di portare ad una scarsa attenzione per le questioni più rilevanti per le donne nelle politiche post-pandemia), alla violenza contro le donne (con l’impennata fino a 5 volte delle chiamate ai telefoni ‘rosa’ in alcuni Paesi ad inizio pandemia e la riduzione delle risorse e della capacità di accoglienza dei centri anti-violenza).

In sintesi, dal rapporto emerge che il 2021 apre un nuovo decennio di povertà e disuguaglianze, allontanando il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile. Infatti si vede con chiarezza che gli effetti negativi sia della crisi pandemica che di quella generata dal cambiamento climatico (altro aspetto preso in particolare considerazione con un focus tematico) non sono uniformemente diffusi ma allargano la forbice pre-esistente andando a colpire maggiormente i territori e le categorie più fragili. A causa della pandemia, insomma, nel 2020 risulta peggiorato il percorso verso pari diritti e l’inclusione di donne e bambini e il 2021 conferma questo andamento negativo.

In generale, nel 2020 sono più di 50 milioni le persone colpite dagli effetti della pandemia da Covid e dei disastri legati ai cambiamenti climatici. Inoltre, in conseguenza dei cambiamenti climatici, nel 2030 150 milioni di persone avranno bisogno di aiuti umanitari, 50 milioni in più rispetto ad oggi. Oggi sono circa 258 milioni i bambini che non vanno a scuola: 59 milioni dalla primaria, 62 milioni dalla secondaria inferiore e 138 milioni dalla secondaria superiore. Più della metà di loro vive in Africa Subsahariana. E la crisi occupazionale e la chiusura delle scuole hanno costretto le famiglie a basso reddito a ricorrere al lavoro minorile o ai matrimoni forzati come meccanismo di risposta. A causa del Covid-19, il lavoro minorile potrebbe aumentare di 8,9 milioni di casi entro la fine del 2022, e più della metà di questi riguarderebbe bambini tra i 5 e gli 11 anni.

Dalla panoramica dei 172 Paesi considerati nel Rapporto che viene presentato da WeWorld (organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in 25 Paesi compresa l’Italia) quest’anno rispetto al 2020 i Paesi più inclusivi per donne e bambini rimangono sostanzialmente gli stessi, con le prime tre posizioni della classifica occupate da Islanda, Nuova Zelanda e Svezia e con una conferma della supremazia dei Paesi del Nord Europa, più la Nuova Zelanda. Nelle ultime posizioni si trovano gli stessi Paesi del 2020: Repubblica Centrafricana (170ma posizione), Sud Sudan (171ma) e Ciad (172ma). In questi Paesi la condizione delle donne e dei bambini è ancora critica in tutte le dimensioni prese in considerazione nell’Indice.

Il cambiamento climatico, si rileva nell’approfondimento tematico, è innescato principalmente dai Paesi ad alto reddito ma avrà effetti catastrofici soprattutto su quelli a basso reddito. Anche in questo caso, a soffrirne saranno in particolare le fasce più vulnerabili della popolazione, come donne, bambini e adolescenti. Le aree già colpite da povertà cronica, come le zone costiere dell’Asia meridionale, le regioni desertiche dell’Africa Subsahariana ma anche i piccoli Stati insulari in via di sviluppo sono particolarmente vulnerabili agli impatti sfavorevoli del cambiamento climatico mentre i primi sei emettitori di gas serra sono Cina, Stati Uniti, Unione Europea (compreso il Regno Unito), India, Russia e Giappone.

Per quanto riguarda le categorie più fragili: quasi 2 miliardi di bambini vivono in aree dove ogni anno i livelli di inquinamento dell’aria superano gli standard fissati dall’Oms e 1 bambino su 4 muore prima dei 5 anni a causa di ambienti malsani. Mentre stime delle Nazioni Uniti indicano che le donne hanno una possibilità 14 volte maggiore rispetto agli uomini di morire o rimanere ferite nel corso di un disastro ambientale; inoltre per le donne gli effetti negativi del cambiamento climatico amplificano le disuguaglianze di genere preesistenti.

Il rapporto 2021 include approfondimenti su Brasile e Mozambico: il primo, colpito in pieno dagli effetti della pandemia, scende al 92mo posto nella classifica, contro il 54mo posto del 2015; e il secondo, rallentato oltre che dal Covid dal ciclone Idai, sale ‘solo’ al 140mo posto dal 145mo nel 2015. “Brasile e Mozambico sono un ottimo esempio di come, se non si lavora contemporaneamente su tutti i fronti, i progressi possono perdersi velocemente” dichiara Marco Chiesara, presidente di WeWorld. “Se non lavoriamo in modo olistico, un solo evento critico, come il passaggio di un ciclone, è sufficiente perché gli sforzi fatti vengano vanificati e si torni indietro su tutti i diritti, dall’istruzione alla sanità. Se non agiamo globalmente con politiche e interventi che facciano crescere anche i Paesi più fragili, il processo per l’acquisizione, godimento dei diritti e accesso ai servizi non potrà essere che parziale e temporaneo, escludendo i Paesi più poveri. Ma affinché il cambiamento sia reale gli interventi devono mettere al centro un approccio di genere e generazionale in modo che la crescita non sia ad appannaggio solo di chi gode già di maggiori risorse”.

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