Kamala Harris, da dove nasce la sua credibilità?

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Che sia un role model potente, non c’è dubbio, ma – a distanza da un anno dall’elezione a vice presidente degli Stati Uniti – la figura politica di Kamala Harris ci appare in maniera più obiettiva, meno abbacinata dalle caratteristiche distintive con cui non soltanto l’America l’ha acclamata. Con il suo grido “Abbiamo bisogno di un Paese unito e di dire la verità…” – riferito in particolare a quanto la pandemia abbia colpito neri, latinoamericani e indigeni in numero sproporzionato, come conseguenza di un razzismo strutturale e di persistenti disuguaglianze nell’istruzione, nella tecnologia, nella sanità, negli alloggi, nella sicurezza sul lavoro – ha messo direttamente il dito nella piaga più dolorosa della storia americana.

Ma perché le sue parole sono apparse così credibili?
Le ragioni affondano nella sua storia e nel lungo e accidentato percorso di costruzione di una leadership al femminile, che Francesco Costa, vicedirettore de Il Post, ha ritratto in modo assai perspicace nel libro Una storia americana. Joe Biden, Kamala Harris e una nazione da ricostruire” (Mondadori, 2021). Le recenti ricerche in campo psicologico e sociologico ci dicono che le donne – in politica come nelle organizzazioni – generalmente rifiutano strutture gerarchiche guidate da un gruppo dominante e che sono più orientate a condividere valori democratici come l’uguaglianza, la responsabilità sociale, l’accoglienza. Sono, dunque, portatrici di una cultura diversa, più attenta alle politiche sociali e meno esposte alla corruzione.

L’esperienza di Harris si riflette in tali analisi. Da quando, all’inizio della sua carriera nella giustizia penale – si legge nel libro – decise “che avrebbe lavorato per cambiare il sistema dall’interno, accettandone la lentezza, le contraddizioni e anche la necessità di sopportare il protrarsi delle ingiustizie, quando le cose non cambiano con la necessaria rapidità, pur di dare un contributo positivo”. E, in effetti, nel corso della sua carriera, ha avuto il coraggio di sperimentare soluzioni innovative e, a volte, prendere posizioni scomode, a discapito del consenso acquisito.

Ad esempio, con il suo approccio smart on crime. Come prima donna non bianca a ricoprire l’incarico di procuratrice distrettuale di San Francisco, negli anni Novanta, di fronte al dilagare dei crimini per droga, si prese la responsabilità di spostare il focus dalla punizione alla riabilitazione. Per la prima volta negli Stati Uniti, avviò un programma rivolto alla rieducazione della fascia di persone tra i 18 e i 30 anni accusati di spaccio di droga, che portò a risultati così positivi da essere replicato in una trentina di Stati.

Ma non andò tutto liscio. Il suo approccio e la sua posizione contro la pena di morte furono messi a dura prova quando, nel 2004, un poliziotto fu ucciso da un giovane affiliato a una gang. Anche a causa di una serie di ingenuità nella gestione politica del tragico evento, Harris fu attaccata violentemente dallo stesso corpo di polizia di San Francisco e accusata di essere più che smart, soft on crime. Un’accusa, nota Costa “che rinforzava gli stereotipi contro le donne e contro i neri e che poteva essere la fine della sua carriera”. Non accadde, ma certo incise nella vittoria assai risicata che incassò nel 2010 diventando procuratrice generale della California.

Fu, allora, da prima persona nera a ricoprire quell’incarico, che assunse di nuovo una posizione scomoda. Di fronte alla bolla dei prestiti subprime, che provocò in California il più alto numero di pignoramenti, decise di sfidare il sistema bancario. Insoddisfatta del negoziato ufficiale con gli avvocati degli istituti di credito, Harris avviò un’indagine autonoma sul comportamento delle banche, chiedendo risarcimenti molto più alti e la riforma delle procedure che avevano provocato la bolla. Ottenne per la California ben 20 miliardi di dollari, rispetto ai 2-4 previsti, ma la sospensione per un solo biennio di quelle procedure.

Insomma, non si è fatta indietro e la coerenza l’ha premiata anche quando, dopo aver ritirato la sua candidatura alla Casa Bianca nel dicembre 2019, a causa di una mediocre campagna elettorale, è stata scelta tra le 11 donne che erano rimaste in lizza per la vicepresidenza. Il perché lo si capisce bene leggendo l’altra storia del libro, quella di Joe Biden.

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Titolo: “Una storia americana. Joe Biden, Kamala Harris e una nazione da ricostruire”
Autore: Francesco Costa
Editore: Mondadori
Prezzo: 17 euro

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