Una normativa che protegge le donne vittime di stupro durante il procedimento giudiziario al fine di metterle al riparo da eventuali casi di vittimizzazione secondaria; obbligo delle Corti di considerare l’interesse superiore del bambino nel caso di separazione dei genitori, con la possibilità di udienza di accertamento in caso di abusi domestici; valutazioni approfondite nei casi di accusa di alienazione parentale.
La Gran Bretagna, pur avendo aderito alla Convenzione di Istanbul non l’ha ratificata, ma stando al racconto di Ayesha Vardag, avvocata matrimonialista, fondatrice e presidente dello studio Vardags che ha avuto a che fare con i più svariati casi di separazione e divorzi, si riscontrano passi avanti riguardo alla violenza sulle donne nell’iter giudiziario, anche grazie al nuovo Domestic Abuse Act entrato in vigore quest’anno. Tuttavia, precisa Vardag, restano problemi e possibilità di casi di vittimizzazione secondaria in un sistema che definisce “contraddittorio“. Criticità come quelle concernenti le donne migranti o la necessità, sollevata anche a seguito del caso del calciatore Chad Evans, di uno “scudo contro lo stupro” per vietare il controinterrogatorio dei denuncianti riguardo al loro precedente comportamento sessuale. Comportamento che comunque dovrebbe già, in base alle leggi vigenti, essere l’eccezione e non la regola.
Ayesha Vardag è una dei pochi tra avvocati e avvocate di famiglia a ricevere il riconoscimento “Avvocato della settimana” del Times, è una Shehzadi della dinastia Pashtun Lodhi che governò l’India prima dei Moghul, ed è cresciuta in una casa anglo-scozzese a Oxford. Ama l’opera, i viaggi, i film e i drammi e ha sei figli, sei cani, sei gatti e venti cavalli. E una casa per le vacanze nel Sud Italia.
Avvocata Vardag, la Corte di Strasburgo ha condannato l’Italia per un caso di vittimizzazione secondaria delle donne già vittime di violenza di genere (un caso di presunto stupro) verificatosi nell’iter giudiziario. In Gran Bretagna si riscontrano casi simili?
La prima cosa da dire è che ci sono stati molti sviluppi positivi all’interno delle corti penali in Inghilterra e Galles per quanto riguarda la protezione e la salvaguardia di chi denuncia reati di natura sessuale. Già da molto tempo, a chi denunciava questi casi veniva concessa la protezione dell’anonimato per tutta la vita. Inoltre, possono essere richieste e messe in atto anche “misure speciali” durante il procedimento giudiziario per rendere l’esperienza meno traumatica per querelanti e testimoni. Tali misure possono includere l’uso di schermi per proteggere il testimone dall’imputato, un collegamento video in diretta per consentire di deporre da una stanza separata e o un’intervista videoregistrata. Abbiamo un “Codice della vittima”, un codice di condotta introdotto nel 2006, che stabilisce i livelli minimi di servizio che i querelanti possono aspettarsi dalle autorità giudiziarie durante la durata del procedimento e oltre. La Crown Prosecuting Authority ha, inoltre, un team di procuratori specializzati che vengono formati per affrontare reati di natura sessuale e, attraverso uno sviluppo più recente, è stato ora reso obbligatorio per tutti gli avvocati finanziati con fondi pubblici aver ricevuto una formazione specifica per poter agire in casi di gravi reati di natura sessuale.
In Italia c’è stato un ampio dibattito su un istituto controverso, che è la Pas, cioè la sindrome di alienazione parentale. Un istituto condannato e ritenuto privo di fondamento scientifico, ma che torna spesso nell’iter giudiziario sotto altre vesti. In Gran Bretagna, nel nome della bigenitorialità, si riscontrano simili prassi? Anche in casi di violenza?
L’alienazione parentale è un argomento trattato molto seriamente dalla corte inglese. Certamente non è un elemento che un genitore accusato di abusi domestici può tentare di utilizzare come strategia contro l’altro genitore. Sarebbe necessario dimostrare chiaramente ciò, supportandolo con valutazioni indipendenti approfondite prima che il tribunale possa essere in grado di determinare se l’alienazione si sia effettivamente verificata. In Inghilterra, se uno dei due genitori è accusato di alienazione parentale, e come detto sopra, c’è una soglia alta da soddisfare prima di poter muovere tale accusa, se questa viene comunque portata dinanzi al tribunale, il giudice deve analizzare tutte le circostanze del caso anche alla luce di un parere tecnico professionale. La corte inglese deve quindi condurre e condurrà un’indagine molto approfondita quando vengono formulate accuse di alienazione, e anche in questo caso, la soglia alla quale tale accusa è confermata è molto alta.
In Gran Bretagna c’è sufficiente coordinamento tra i procedimenti penali che avvia una donna vittima di violenza e i procedimenti civili dove intanto sono in corso le cause di separazione?
Questo tipo di procedimenti non sono formalmente collegati, in quanto i ricorsi non vengono unificati, tuttavia un procedimento avrà indubbiamente effetto sull’altro. Il tribunale della famiglia ha l’obbligo di divulgare qualsiasi informazione rilevante per il benessere dei minori. Se una donna (la madre nel procedimento civile) ha denunciato alla polizia una violenza domestica, e il padre presenta un’istanza al tribunale per l’affidamento dei figli, il primo passo è costituito dai controlli di sicurezza del Cafcass (Children and family court advisory and support service). Una parte di routine di questi controlli consiste nel verificare se uno dei genitori è noto alla polizia o ai servizi sociali. Se vengono presentate accuse penali e la famiglia ha dei figli, ciò attiverà automaticamente un rinvio ai servizi sociali, che verificheranno se i bambini sono a rischio. Il Cafcass farà quindi delle raccomandazioni iniziali di base su come il caso dovrebbe procedere, tenendo conto della Practice Direction 12J, il cui scopo è stabilire cosa deve fare il tribunale nei casi di abuso domestico. È probabile che si raccomandi un accertamento dei fatti e si prevedano garanzie sul tempo che i bambini trascorrono con il presunto autore dei reati, a seconda della gravità delle accuse e dell’avanzamento delle indagini dei servizi sociali.
Grevio (il gruppo che vigila sui Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione di Istanbul del 2011) ha sottolineato l’esistenza in Italia di stereotipi sessisti, in tutto l’iter che una donna che subisce violenza deve affrontare. A che punto è invece la Gran Bretagna?
Il Regno Unito, pur essendo Paese firmatario della convenzione di Istanbul del 2011, non l’hai mai ratificata. C’era una necessità di riforme, le quali sono state affrontate nel nuovo Domestic Abuse Act 2021. Queste, tra l’altro, includono: il diritto automatico a sale d’attesa, ingressi e schermi separati in tribunale per le vittime di abusi domestici, da includere nel prossimo disegno di legge sugli abusi domestici; maggiori poteri per i giudici sotto forma di “ordini di impedimento” per evitare che gli autori di abusi riportino ripetutamente gli ex partner in tribunale e traumatizzino nuovamente le vittime; un impegno per una migliore formazione dei professionisti del sistema di giustizia familiare. Restano pero ancora delle criticità, una di queste è che questo Act non offre protezione e benefici statali (come accoglienza nelle case per donne vittime di violenza) alle donne immigrate, in possesso di alcuni visti specifici o che non sono ancora regolarizzate.
Quali altre criticità rimangono?
Riguardo ai problemi angoscianti che le donne vittime di abusi domestici possono dover affrontare nei procedimenti civili, dal punto di vista del diritto di famiglia ci sono diverse difficoltà che possono presentarsi. Quando le accuse vengono sollevate nei procedimenti, dovranno essere valutate da un giudice, che poi deciderà se tali fatti hanno avuto luogo o meno. Ciò avviene attraverso un’udienza conoscitiva, che è un processo con contraddittorio e molto inquisitorio. L’esito di tale udienza costituirà quindi la base per qualsiasi successivo procedimento sulla base del Children Act. Il problema è che il governo ha fatto tagli drastici alla fornitura di fondi pubblici, e ha ridotto le fattispecie in cui tale procedura è azionabile e i soggetti che ne hanno diritto. In base alla legislazione precedente, mentre i fondi pubblici rimanevano disponibili per le vittime di violenza domestica, purché superassero rigorosi test di ammissibilità sulla base della loro situazione economica, spesso poteva accadere che gli autori della violenza invece non ne avessero i requisiti e quindi non potessero permettersi la rappresentanza legale. Ciò potrebbe, quindi, portare a situazioni in cui una presunta vittima di violenza domestica sarebbe controinterrogata dal presunto autore stesso, il che ovviamente comporterebbe una situazione profondamente angosciante. Nel luglio 2017, Women’s Aid e Cafcass hanno pubblicato la loro ricerca congiunta sulle accuse di abuso domestico nei casi di coinvolgimento dei minori, che ha rivelato come il 62% dei casi esaminati riguardasse accuse di abuso domestico e che il 24% degli intervistati fosse stato controinterrogato dal presunto autore di violenza
Tuttavia, il 29 aprile 2021, il Domestic Abuse Act 2021 è diventato legge anche se non tutte le parti sono attualmente in vigore. Quando la legge entrerà in vigore per intero, vieterà alla vittima e all’autore di interrogarsi reciprocamente. Con l’accresciuta consapevolezza su questi problemi, sarebbe quasi inaudito per un giudice fare commenti e domande del tipo “cosa indossavi quando sei stata violentata“, sulla bisessualità della vittima, sulla sua apertura ad avere rapporti occasionali o più in generale ad introdurre come elementi di prova stereotipi sessisti, come avvenuto nel caso Fortezza da Basso (per cui l’Italia è stata condannata dalla Corte di Strasburgo, ndr).
Si evita così la vittimizzazione secondaria?
Il nostro è un sistema contraddittorio. Nei casi di violenza sessuale che coinvolgono la questione del consenso, durante il processo di controinterrogatorio possono sorgere alcune delle questioni relative alla vittimizzazione secondaria. Questo perché spesso la difesa cerca di minare la credibilità della vittima, ricorrendo a linee di attacco standard relative a stereotipi, malintesi e pregiudizi. C’è tuttavia un vincolo legale molto importante sugli avvocati difensori in termini di prove che l’avvocato può introdurre secondo la sezione 41 dello Youth Justice and Criminal Evidence Act 1999. Questa norma esiste per vietare che la persona che denuncia debba fornire informazioni circa la sua condotta/ morale sessuale in generale tranne quando è nell’interesse della giustizia farlo. Pertanto, interrogare un denunciante in merito al suo precedente comportamento sessuale è per definizione l’eccezione, piuttosto che la regola. La disposizione trova essenzialmente un equilibrio tra il divieto di domande riguardanti la storia sessuale precedente che non hanno alcuna attinenza con le questioni in causa e la possibilità per l’avvocato della difesa di porre domande laddove il valore probatorio lo giustifica. Ad esempio quando l’evidenza di una precedente attività sessuale ha una sorprendente somiglianza con il caso di violenza sessuale nel caso in questione. Ci sono ancora grosse polemiche intorno all’utilizzo pratico di questa disposizione, soprattutto a seguito di casi famosi come quello del calciatore Ched Evans (condannato per stupro e poi ritenuto non colpevole, ndr). Accanto all’interesse dei media intorno a questo problema, molti politici hanno recentemente chiesto uno “scudo contro lo stupro” per vietare il controinterrogatorio dei denuncianti riguardo al loro precedente comportamento sessuale.
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Il Sole 24 Ore, con Alley Oop, è partner del progetto Never again, che ha come obiettivo quello di contrastare e combattere la vittimizzazione secondaria delle donne colpite dalla violenza.
NEVER AGAIN è un progetto co-finanziato dal Programma Diritti, Uguaglianza e Cittadinanza dell’Unione europea (2014-2020), GA n. 101005539. I contenuti di questo articolo sono di esclusiva responsabilità degli Autori e non riflettono il punto di vista della Commissione europea.