Nuovo colpo alla cosiddetta sindrome di alienazione parentale, di cui la Cassazione sottolinea “il controverso costrutto scientifico”, già ampiamente discusso nella comunità scientifica. Dopo la sentenza 13274 del 2019 con cui la Cassazione stabiliva che l’affido esclusivo di un minore a un genitore non si può fondare solo sulla diagnosi di sindrome dell’alienazione parentale (pas) o sindrome della ‘madre malevola’, dalla Suprema Corte arriva un altro verdetto destinato a fare giurisprudenza nella sconfessione di un istituto, di cui viene spesso messa in dubbio la scientificità, ma che continua a essere utilizzato, talvolta sotto altri nomi o evocato con altri giri di parole, nei tribunali con l’esito di allontanare i bimbi dalle loro madri.
Stavolta la Cassazione, con un’ordinanza, si pronuncia per annullare un decreto della Corte d’Appello di Venezia del dicembre 2019 che stabiliva l’affido superesclusivo al papà di Camilla (il nome è di fantasia, ndr), la bimba tolta a soli 6 anni da Fabrizia (il nome è di fantasia, ndr) sulla base di un primo provvedimento del Tribunale di Treviso che ricalcava le conclusioni della seconda consulente tecnico d’ufficio, accusando la donna di essere una ‘madre malevola’. Un’ordinanza, la 13217 del 2021, che, per l’avvocato Antonio Voltaggio, legale di Fabrizia, “è un colpo quasi mortale alla pas, che viene paragonata a una teoria nazista”.
Il testo dell’ordinanza
“La Corte territoriale – si legge nell’ordinanza – ha fatto riferimento a ‘gravi ripercussioni ed effetti sulla minore’, a ‘condotte scellerate’ della madre senza però indicarle e specificarle, nonché ad un comportamento ‘improntato a gravi carenze nella genitorialità con volontà tesa ad estraniare la minore dal padre’ […] omettendo di esplicitare quali siano stati gli specifici pregiudizi per lo sviluppo psico-fisico della minore, peraltro non considerando le possibili conseguenze di una brusca sottrazione della minore alle madre”.
Ma la Cassazione dice di più: “In altri termini, il riferimento alla condotta tesa ad estraniare la figlia dal padre – sostanzialmente ricondotta alla cosiddetta pas, ovvero alla cosiddetta ‘sindrome della madre malevola’ – e la evidenziata conflittualità con l’ex partner, non appaiono costituire fatti pregiudizievoli per la minore alla stregua della descrizione delle vicende occorse, tenuto comunque conto del controverso fondamento scientifico della sindrome pas, cui le ctu hanno fatto riferimento senza alcuna riflessione sulle critiche emerse nella comunità scientifica circa l’effettiva sussumibilità della predetta sindrome nell’ambito delle patologie cliniche”.
Non solo. La Corte entra nel merito del punto di equilibrio tra le conclusioni dei consulenti dei tribunali e i provvedimenti dei giudici, stabilendo quale sia la prassi da seguire in questi casi: “Il giudice di merito – si legge -, nell’aderire alle conclusioni dell’accertamento peritale, non può, ove all’elaborato siano state mosse specifiche e precise censure, limitarsi al mero richiamo alle conclusioni del consulente, ma è tenuto – sulla base delle proprie cognizioni scientifiche, ovvero avvalendosi di idonei esperti e ricorrendo anche alla comparazione statistica per casi clinici – a verificare il fondamento, sul piano scientifico, di una consulenza che presenti devianze dalla scienza medica ufficiale e che risulti, sullo stesso piano della validità scientifica, oggetto di plurime critiche e perplessità da parte del mondo accademico internazionale, dovendosi escludere la possibilità, in ambito giudiziario, di adottare soluzioni prive del necessario conforto scientifico e potenzialmente produttive di danni ancor più gravi di quelli che intendono scongiurare”.
E nel caso specifico di Fabrizia, chiarisce: “Proprio il riferimento della Corte veneziana al buon rapporto di accudimento della minore da parte della ricorrente dimostra plasticamente il travisamento in cui lo stesso giudice d’appello è incorso nel ritenere che la signora fosse stata protagonista di un comportamento concretizzante l’invocata cosiddetta pas desunto dalle predette condotte, attraverso, come esposto, un implausibile sillogismo la cui premessa principale è costituita da un ingiustificato severo stigma di comportamenti della madre fondato su un mero postulato”.
Per la sottosegretaria Guerra la pronuncia della Cassazione è una buona notizia per chi crede nel giusto processo
“L’ordinanza 13217 della Cassazione, depositata il 17 maggio – ha commentato Maria Cecilia Guerra (Leu), sottosegretaria all’Economia – è una buona notizia per madri, bambini e per tutti coloro che credono nel giusto processo e in un sistema giuridico rispettoso dei diritti fondamentali”. I giudici, ha proseguito Guerra, “hanno riconosciuto l’infondatezza di una teoria molto contestata dalla comunità scientifica e che però viene troppo spesso usata nei tribunali contro donne e bambini, soprattutto nei casi di violenza domestica”. L’auspicio, conclude Guerra, “è che su questo tema si consolidi una giurisprudenza sempre più rispettosa delle garanzie e della tutela dei bambini, vere vittime di allontanamenti immotivati”.