Se la pandemia ci fa rimpiangere il passato è il momento di guardare avanti

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Questa volta dovrai aspettare, abbiamo così tanti ordini che abbiamo esaurito i toner per la stampante“. Quello che era un semplice sentiment di mercato –  raccolto nel negozio dove vado regolarmente  – in realtà è  un vero e proprio trend: gli italiani costretti a casa dalla pandemia, hanno stampato più del triplo di foto rispetto al 2019 (+311% in aprile 2020) . I dati raccolti da Cheerz, uno dei tanti servizi online di stampa digitale, raccontano di persone confinate negli spazi domestici che – complice il tempo a disposizione – hanno riordinato i propri ricordi. Si sono voltate indietro, hanno rivissuto quell’estate al mare – una tavolata di 20, incredibile! – o quel compleanno del figlio, nel quale in 26 soffiano sudaticci su una torta, dopo aver saltato sui gonfiabili tutti insieme.

Lo sguardo rivolto al passato,  per ricordare com’era “prima”, per cercare sicurezze e convivialità. Fin qui nulla di male, senonché mentre io – come tanti altri italiani – riordino le foto (a me piace attaccarle vecchia maniera, su album cartaceo una ad una, con commenti scritti a mano e ricordi vari di fianco) mi viene in mente la frase di un celebre coach, Alain Parisse. “La vecchiaia comincia nel momento in cui il tuo attaccamento al passato supera la tua eccitazione per il futuro“. Ahia!

Mio marito passandomi di fianco durante la mia “immersione” nel tempo che fu mi dice “ah, ti ricordi? Che inferno quella festa!”. E io mi risveglio, improvvisamente, e penso: sì, stiamo invecchiando, stiamo idealizzando il passato, con la testa nostalgicamente voltata dall’altra parte mentre il futuro ci passa comunque di fianco, bello o brutto che sia. E mi ricordo con orrore di quando la madre di una mia amica – allora lei mi sembrava vecchia, ma avrà avuto 60 anni – mi parlava della sua gravidanza, ed io lo trovavo a dir poco fuori luogo.

Non voglio essere come lei, non voglio attaccarmi al passato e rinunciare a immaginare nuovi viaggi e progetti – più o meno realizzabili non importa – perché il solo fatto di saperli sognare li rende già un po’ più veri. Non voglio rispondere all’incertezza con la nostalgia, il cambiamento non lo voglio subire ma almeno provare a giocarci. 

Quindi “grazie Alain”” dovunque tu sia, perché la tua frase è stata come uno schiaffo che mi risveglia dal torpore. Un semestre di South Working, spostando i figli in scuole pubbliche a Palermo e organizzando per il marito una partnership con il comune e una banca locale, in modo da riprodurre in loco uno studio radiofonico. Domani chiamo e mi informo. Oppure un periodo da volontaria, così visto che attualmente il lavoro è a corrente alterna mi rendo utile e do sfogo al mio estremo bisogno di socialità, stando vicino alle persone più sole e bisognose. E nel frattempo provo a mettere a frutto gli insegnamento del corso di scrittura creativa appena terminato.

Parole come “domani”, verbi coniugati al futuro: è di questo che abbiamo bisogno, per sentirci vivi, per girare lo sguardo in avanti. E pazienza se con la mascherina gli occhiali si appannano o – ancora peggio – ce li togliamo e vediamo solo forme sfuocate. Che poetica  Piazza Loreto, mai notato che l’edicolante fosse così affascinante!

Sospiro, ha funzionato! Mi agito, lancio idee come dadi sul tavolo da pranzo e mio marito dice “ma non dovevi finire l’album?”, con aria preoccupata. Io torno a farlo, ma in fondo lascio due pagine senza foto: una con una lista di progetti strampalati, perché per affrontare questo futuro mica si possono applicare le sane e lineari regole del passato, no? Ed una bianca, perché – per fortuna! – non sappiamo cosa succederà domani, ed è meglio guardare dalla parte giusta quando arriverà.