Avere a che fare con un figlio o una figlia nell’età dell’adolescenza non è un compito facile, va detto subito. Se poi di mezzo c’è una pandemia con gli adolescenti rinchiusi in casa, spesso insieme ai genitori, il compito diventa a dir poco arduo. In questo contesto, sono aumentati gli allarmi per il crescente disagio che colpisce una fascia d’età delicata già di per sé: dal preoccupante aumento dell’abbandono scolastico al crescente fenomeno degli hikikomori, dalla crescita delle richieste di aiuto psicologico ai servizi territoriali a quella drammatica dei tentativi di suicidio. Ma accanto a tutto questo, sulla sponda opposta, quello che stiamo vedendo occupandoci ogni giorno di adolescenti in difficoltà è anche un altro fenomeno che va considerato e che chiamerei “l’adolescenza rubata”, di cui si parla molto meno.
La lunga strada per diventare se stessi: la trasgressione utile
Il compito dell’adolescente, quello del passaggio all’età adulta, è tanto importante quanto doloroso: si è esposti a un’oscillazione di emozioni estenuante e a pensieri assolutizzanti a cui si crede ciecamente: “Non piacerò mai a nessuno”; “Giulia mi odia e non faremo mai pace”; “Non mi inviteranno mai a quella festa perché mi considerano sfigato”. E’ doloroso anche perché la natura prevede che per diventare se stessi si debba mettere in discussione il sistema di valori trasmesso con tanta cura dai genitori, che improvvisamente diventano agli occhi dei figli esseri inetti, si trovano detronizzati e considerati – apparentemente – come gli ultimi al mondo a cui chiedere un consiglio.
“Apparentemente“, perché se è stato costruito un buon legame si può essere certi che, passata la tempesta adolescenziale, quel buono tornerà. Paradossalmente, più quel “buono” è stato “buono“, più li “ingombra” interiormente e quindi maggiore sarà il loro bisogno di distaccarsene in modo violento, per recuperare uno spazio in cui scoprire le loro idee, il loro modo di pensare, i loro gusti, e così via. Devono anche misurarsi con la “trasgressione”, come messa in discussione di regole predefinite. Vanno allora alla ricerca di un’altra famiglia possibile, nel gruppo dei pari, cercano di farsi accettare in tutti i modi e investono emotivamente su di essa in modo molto intenso. Da qui anche la grande sofferenza di questo periodo, legata al Covid, che sta togliendo loro proprio lo spazio vitale primario di socialità e di crescita.
I genitori messi alla prova
In casa, invece, sembrano cercare continuamente la lite, il conflitto, criticano, sembrano maleducati, insolenti, fastidiosi, spesso addirittura cattivi: “Dottoressa non lo riconosco più”, “Mi dice delle cose terribili, sembra proprio che mi voglia ferire”, spesso mi dicono i genitori. Ed è vero, gli adolescenti sanno colpire duro, ma lo fanno per due motivi ben precisi: il bisogno di emancipazione, che però è ambivalente. Ovvero una parte di loro vuole crescere e per farlo deve allontanarsi, spingere via con violenza la vita che l’aveva avvolto fino a quel momento, ma un’altra muore dalla voglia di tornare piccolo e buttarsi tra le braccia della mamma o del papà in cerca di coccole: solo che non può farlo. Non può voltarsi indietro, altrimenti non ce la farebbe ad andare avanti, la spinta regressiva sarebbe troppo forte, e allora per non deludere se stesso è costretto a “deludere” i suoi genitori.
Il secondo motivo è che mettono alla prova proprio i genitori: per vedere se reggono alle loro provocazioni, ai loro urti, e ai genitori raccomando sempre di cercare di non prendere le loro accuse sul personale, di provare a capire che la sfida è verso il loro sistema di riferimento, della serie: anche se me ne vado, se ti deludo, mi vorrai ancora bene? Il che non significa permettere tutto, anzi, il contrario: i confini genitoriali devono essere ben saldi, ma vanno rinegoziati insieme, perché le esigenze del ragazzo cambiano con l’età, e non bisognerebbe sfociare nel crollo personale: “Tu mi uccidi” o “Come puoi farmi questo?”, che è la via maestra verso il senso di colpa, e per il ragazzo credere di avere così tanto potere sui propri genitori non è affatto sano. Si potrebbe sentire davvero “cattivo” per il resto della vita.
L’adolescenza che non c’è
Tutto questo sembra complicato e faticoso? Ecco, quella descritta finora è l’immagine di un’adolescenza con dei contorni sani: difficile, complessa, stressante per tutti, ma vitale e costruttiva. Non per niente si parla di disagio adolescenziale come la normalità. Ma quello a cui stiamo assistendo in questa fase, oltre all’acuirsi dei disagi che sfociano negli estremi che dicevamo all’inizio, è l’emergere sempre più numeroso di “adolescenti non adolescenti”. Sono ragazzi e ragazze senza “grilli per la testa”, che a sedici anni passano volentieri tutti i sabati sera sul divano (a prescindere dal Covid) a guardare un film con i genitori, che non hanno mai neanche ipotizzato di trasgredire fumando una sigaretta, non hanno mai detto una bugia, che raccontano tutto ma proprio tutto alla mamma e al papà e, molto spesso, vivono rapporti di coppia già particolarmente stabili e con una quotidianità da adulti.
Niente conflitto, niente fatica, niente ostacoli. E la crescita?
Ai genitori questi figli piacciono tanto: niente conflitti da gestire, massimo livello di controllo sul loro quotidiano, zero pensieri. Ma non è tutto così liscio. Come dicono anche la psicoterapeuta Stefania Andreoli e lo psicanalista Massimo Ammanniti, questo in parte succede perché gliel’abbiamo “rubata” noi adulti, l’adolescenza, che siamo diventati sempre più “giovincelli” e li abbiamo costretti a differenziarci da noi, diventando grandi prima loro. Non solo: i genitori delle ultime generazioni hanno avuto accesso a moltissime conoscenze pedagogiche che hanno evidenziato i bisogni dei bambini in ogni fase della crescita, e questo li ha condotti a inondarli di affetto e attenzioni millimetriche, iper-proteggendoli e cercando di rimuovere sulla loro strada ogni difficoltà in nome di un dogma irrinunciabile: mio figlio deve essere felice.
E questo imperativo, seppur nato da buone intenzioni, fa sì che si siano sostituiti a loro fin da piccoli, intervenendo nei compiti, nelle relazioni con i pari, con maestri e professori, cercando di evitare in tutti i modi che soffrissero. Ma le emozioni, Inside out insegna, ci servono tutte, e in adolescenza le neuroscienze ci dicono che l’area deputata alle emozioni (il sistema limbico) è molto più attivo, e i ragazzi devono poter soffrire liberamente. Dal confronto con il dolore, con gli ostacoli, si scoprono le proprie risorse e si sviluppa l’autostima.
Perché gli ostacoli spaventano
In queste situazioni, in cui i genitori si sono sostituiti ai figli, si vedono ragazzi e ragazze sempre più spenti, che hanno “saltato” il periodo vitale del conflitto e della ricerca di sé e che di conseguenza non sanno davvero chi sono, seguono modelli prestabiliti, spesso “ubbidiscono ai desideri che le famiglie hanno per loro”, ma poi cadono in fasi depressive e, soprattutto, si sentono profondamente fragili.
Al primo ostacolo crollano, al primo voto brutto si chiudono a casa, dicono subito che non ce la faranno a far niente, non possono affrontare le difficoltà perché non conoscono le proprie risorse, dato che altri hanno sempre fatto per loro. Questi nuovi adolescenti non adolescenti, poiché si conoscono poco, spesso quando diventano giovani adulti presentano blocchi evolutivi, non riescono a fare le loro scelte di vita, e presentano una pericolosa mancanza di sogni per il futuro, di speranze di poter fare qualcosa di bello, di grande, di nuovo, di personale, che dovrebbe essere anche fisiologico e potente alla loro età.
Mamma e papà, fate un passo indietro ma non muovetevi da lì
E allora, vale la pena che questi ragazzi e questi ragazze siano guardati per quello che sono. Senza generalizzare – come ovviamente qui abbiamo in parte dovuto fare – abbassando il livello di giudizio, di aspettativa, senza svalutare la loro condizione psicologica, da un lato, e senza personalizzare il conflitto dall’altro. Fare un passo indietro, restando punti di riferimento solidi e fermi, soprattutto nei momenti in cui il disagio diventa qualcosa di più pesante e grave, “contenitori” capaci di reggere il conflitto e di gestirlo, per renderlo produttivo. Senza avere timore di chiedere aiuto, se ci si sente troppo in difficoltà. Serve che gli adulti facciano gli adulti, che permettano alle ragazze ai ragazzi di fare gli adolescenti e di realizzare appieno loro stessi. “In ultima analisi, noi contiamo qualcosa soltanto in virtù dell’essenza che incarniamo, e se non la realizziamo, la vita è sprecata”, come ci ha insegnato Carl Gustav Jung.