Scuola, i ragazzi tornano in classe ma vogliono uno “sconto” dai professori

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Contento di tornare a scuola?
No, nella prima settimana i prof hanno messo troppe verifiche e interrogazioni“.

Mesi passati sul fronte privato a preoccuparmi per la sua tenuta psicologica alla pandemia, sul fronte professionale a intervistare docenti e dirigenti scolastici sui danni della dad per gli alunni più fragili, a raccontare le occupazioni a Milano da parte degli studenti che gridavano: “Questa non è scuola“. Ora che la macchina è ripartita, che i ragazzi sono tornati in classe pur se al 50 per cento (sperando che duri), tutto si sgretola di fronte alla risposta dell’adolescente sdraiato.

Ma poi che meraviglia vederlo alzarsi dal letto la mattina, togliersi il pigiama e riempire di nuovo quello zaino che giace in un angolo da mesi. Ricaccio indietro ogni dubbio.
Passano pochi giorni e mi viene raccontato quanto successo in un’ assemblea di classe, su Teams naturalmente. Insegnanti stremati ma contenti di essere tornati ad una parvenza di normalità, genitori che li ringraziano per lo sforzo fatto. “Andrà tutto bene“.

Poi si accende un quadratino, è la rappresentante di classe degli studenti, una tipa tosta, reduce dall’occupazione della scuola: “Prof, l’interrogazione su tutto il programma è troppo, non ce la facciamo. E’ duro per noi il ritorno in presenza“. Il prof sbotta invelenito: “E’ dura per tutti in questo periodo“, risponde seccato. “Non solo per voi ragazzi che avete tutti dalla vostra parte, coccolati da famiglie, giornalisti, psicologi“. I genitori spengono le telecamere e si fanno elegantemente da parte, una prof tenta di mediare: “Capiamo le difficoltà, ma forza ragazzi, è il momento di ripartire“. Ma c’è poco da fare, lo scontro è insanabile.

E il mio sconforto è quello della dirigente scolastica pugliese che rende pubbliche alcune delle motivazioni con cui famiglie e studenti hanno scelto di non avvalersi della didattica in presenza. Sì, perché in Puglia la scuola è on demand: chi vuole rientra, chi non vuole se ne sta a casa a fare lezione sotto le coperte. Genitori che ammettono che in dad i voti dei figli sono migliorati, uno studente che confessa che in classe fa più freddo rispetto a casa, “dove stiamo più in comfort“.

E allora adesso c’è una nuova fase da raccontare: quella dei ragazzi che si sono battuti come guerrieri per uscire di casa, ma che poi forse a casa non si stava tanto male. Quella dei professori che in pochi mesi hanno dovuto reinventare il loro modo di fare scuola, che il venerdì non sapevano ancora se il lunedì sarebbero rientrati in classe o meno, costretti a fare lezione come mostri bicefali su classi divise fra presenza e dad, eroi anche loro di questa pandemia, ma poi alla fine del mese con stipendi che restano fra i più bassi d’Europa e la frustrazione è tanta. Quella dei dirigenti scolastici, in balia di decisioni politiche cambiate di settimana in settimana (75 per cento in presenza, anzi no, 50 per cento, poi si vedrà), ma poi se qualcosa non funziona è sempre colpa loro.

Andrà davvero tutto bene? Riusciremo a non sprecare questa occasione di rinnovamento? Insegnanti e studenti avranno imparato un nuovo modo di rapportarsi, al di là dell’angoscia di voti ed interrogazioni, di programmi da portare a termine a tutti i costi? Le famiglie avranno capito il valore di quelle ore passate al banco?

Ma soprattutto, la scuola è tornata per un attimo al centro dell’interesse pubblico, un evento rivoluzionario, anche se troppo spesso sprecato per parlare di banchi con le rotelle. Riusciremo a mantenerla lì, al centro dell’interesse o ne uscirà velocemente come c’è entrata?