Dietro ogni donna che subisce violenza c’è un uomo che la compie. Eppure, se ormai la rete dei centri di sostegno e rifugio per le vittime è ampia e abbastanza strutturata, le strutture rivolte agli uomini sono poche e mal distribuite sul territorio. E questo nonostante l’articolo 16 della legge 77/2013 che ha ratificato in Italia la Convenzione di Istanbul preveda esplicitamente che le parti “adottano le misure legislative o di altro tipo” per “istituire o sostenere programmi rivolti agli autori di violenza domestica”. Obiettivo: incoraggiarli “ad adottare comportamenti non violenti nelle relazioni interpersonali, al fine di prevenire nuove violenze e modificare i modelli comportamenti violenti”.
Per contrastare le recidive e colmare la lacuna, di cui su Alley Oop abbiamo parlato lo scorso anno nel secondo ebook #hodettono, sono stati presentati in Senato dalla maggioranza due disegni di legge sovrapponibili, uno a firma della senatrice di Italia Viva Donatella Conzatti, l’altro a firma della collega M5S Alessandra Maiorino. Due proposte che disciplinano l’istituzione dei centri, il loro finanziamento e le condizioni in cui gli uomini possono essere destinati a frequentare i corsi. Le senatrici ne parleranno a Palazzo Madama venerdì 27 novembre, alla presenza dei ministri Alfonso Bonafede (Giustizia) ed Elena Bonetti (Pari opportunità), degli psicoterapeuti Arturo Sica, direttore del centro White Dove e vicepresidente della rete Relive, e Andrea Bernetti, presidente del Cam Roma, dei procuratori Franco Cozzi (Genova) e Sandro Raimondi (Trento) e di Alessandra Simone, capo della divisione anticrimine della Questura di Milano e ideatrice del Protocollo Zeus.
Conzatti fuga immediatamente l’obiezione più diffusa: “Non si toglie l’attenzione dalle donne per spostarla sugli uomini. Il lavoro sugli uomini è una delle tante strategie da mettere in atto per contrastare la violenza contro le donne. Ed è una strategia ancora molto inesplorata. Sugli uomini si lavora per proteggere le donne dalla recidiva, si lavora per proteggere i figli che assistono alla violenza o che la subiscono, si lavora per evitare che facciano violenza su altre donne nei rapporti successivi”.
Il Ddl Conzatti, in cinque articoli, istituisce un Fondo dedicato da 1 milione di euro per il 2020 (già finanziato con il decreto agosto) presso il ministero delle Pari opportunità, che sale a 3 milioni per il 2021 e il 2022. Il riparto dovrà avvenire annualmente, previa intesa in Conferenza Stato-Regioni, tenendo conto della programmazione locale e del numero di centri già presente, per uniformare l’offerta. “Sono risorse aggiuntive rispetto a quelle per i centri antiviolenza, che riteniamo comunque vadano incrementate”, precisa la senatrice Iv, segretaria della commissione d’inchiesta sul femminicidio presieduta da Valeria Valente. “Nessuno paga il corso agli uomini: l’articolo 4 del Ddl prevede che la partecipazione sia subordinata al versamento di un contributo da parte dei partecipanti, che sarà determinato dallo stesso decreto di riparto delle risorse. L’unica eccezione è il caso in cui si tratti di indigenti”.
I nuovi centri possono essere istituiti da enti locali, in forma singola o associata, oppure da associazioni e sono chiamati a operare in maniera integrata con la rete dei servizi sociosanitari e assistenziali territoriali, esattamente come avviene per quelli dedicati alle vittime. Ma come ci si arriva? A parte l’accesso spontaneo, in genere residuale, il disegno di legge prevede specificamente che per gli autori di violenza i questori dispongano l’obbligo di frequenza ai corsi contestualmente all’ammonimento introdotto dalla legge 11/2009 sullo stalking. In caso di mancato adempimento o di esito negativo, il questore può disporre la sorveglianza speciale.
L’invio ai percorsi per maltrattanti è inoltre inserito nel Codice di procedura penale come obbligo per l’imputato dei reati connessi alla violenza domestica e di genere destinatario di misure cautelari: dovrà durare otto mesi e si interromperà in anticipo in caso di cessazione o revoca delle misure. “Noi sappiamo bene – spiega Conzatti – che quando l’uomo viene raggiunto da una misura cautelare, come un divieto di avvicinamento, il suo atteggiamento rispetto alla donna peggiora se non ha consapevolezza dell’errore dei suoi comportamenti, della violenza e del dolore che ha creato. Per questo abbiamo bisogno, per proteggere la donna, di affiancare l’uomo e di accompagnarlo in un percorso che possa evitare un’escalation della violenza”.
Da ultimo, il Ddl si occupa dei condannati, chiedendo di dedicare ai percorsi loro dedicati 1 milione del Fondo beni sequestrati istituito nel 2008. Si tratta della parte che fa più discutere, alla luce dell’articolo 6 del Codice rosso (legge 69/2019) che ha subordinato la sospensione condizionale della pena per chi ha commesso reati di violenza domestica alla partecipazione a specifici percorsi di recupero. Una fattispecie che ha sollevato molte perplessità, per l’eventualità che i corsi possano tradursi in una “scorciatoia” per evitare di pagare le proprie colpe. Conzatti non nega il pericolo, ma invita a badare ai numeri: “Il Codice rosso è stato approvato dalla maggioranza gialloverde e noi eravamo contrari a quell’articolo, che vogliamo modificare. Ma tengo a ricordare come solo il 10% delle violenze vengano oggi denunciate in Italia. L’unico caso in cui il percorso può rappresentare una sorta di motivazione per avvalorare la condizionale concerne dunque una minima parte degli autori di violenza, i soli condannati”. E l’obiettivo della norma è valorizzare le buone pratiche già esistenti, soprattutto nelle carceri.
In definitiva, ciò cui le proposte di legge puntano è dare finalmente corpo a un approccio integrato alla lotta contro la violenza di genere che vada oltre l’aspetto punitivo. “Secondo l’Istat, quasi 7 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni in Italia – fa notare Conzatti – ha subito qualche forma di violenza. Le leggi ci sono. Che cosa ci sfugge? Andando a scavare, abbiamo capito che tutto quello che si può punire, si può punire dopo una denuncia. Tutto il resto resta sommerso“. Per questo la sfida è lavorare a un cambiamento culturale ad ampio spettro che permetta “di uscire dalla logica del possesso per cui un uomo sente di possedere e di controllare la donna. In commissione femminicidio, aderendo alla Convenzione di Istanbul, sosteniamo la necessità di formazione nelle scuole e nelle università dove si formano gli avvocati, i giudici, i medici, i giornalisti, gli insegnanti, e poi prevenzione. Tra i percorsi di prevenzione collegati alla rete antiviolenza ci sono i questi percorsi di rieducazione degli uomini maltrattanti. Un lavoro che va inteso come un ‘e’ e non come un ‘o’: un’aggiunta e non una sottrazione“.