Quello che del pride non leggi sui giornali

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Ripubblichiamo, con qualche variazione, un post dell’autore.Perché neli anni si cambia…

Che se poi ti domandi, ma che cos’è il Pride?, sapresti davvero dirlo? Perché non è una risposta facile, nemmeno per te che lo vivi e lo aspetti ogni volta. Certo, è la manifestazione che ogni anno commemora in tutto il mondo la rivolta partita dallo storico locale gay Stonewall Inn – avvenuta a New York la notte tra il 27 e il 28 giugno dopo l’ennesima aggressione della polizia – ma è questo il Pride? O per meglio dire, è solo questo? La commemorazione di una rivolta avvenuta ormai 50anni fa? Ovviamente no, è molto, infinitamente di più. Ma allora che cos’è il Pride?

Se chiudo gli occhi, per me, il Pride è un’immagine, anzi tante, confuse e ordinate.

E’ un viaggio a Berlino, a 19 anni o giù di lì, a camminare per il quartiere gay, e vedere per la prima volta due ragazzi che si tengono la mano per strada, e le bandierine arcobaleno fuori i locali sulla strada, con i tavolini dove fanno colazione le signore di mezza età. E’ l’eccitazione di scoprire che da qualche parte nel mondo, allora poteva accadere, di vivere normalmente, ed è la malinconia di sapere che presto saresti tornato lì, a casa tua, dove tutto questo era ancora lontano milioni di anni luce.

Il Pride è mia madre, alla quale dico, ragazzino, un pomeriggio di inverno, che non sono triste perché sono gay, ma perché, lui, l’amore della mia vita, ha smesso di amarmi, e io ho paura che rimarrò solo per sempre. E’ il 2000, l’anno del Giubileo e del Word Pride di Roma, quando cambiò tutto. Sono le polemiche di quei giorni, la rabbia e l’orgoglio di non dovere più tacere nemmeno di fronte al Papa, che dopo le centinaia di migliaia di persone che sfilarono orgogliosamente in quel luglio di quasi 20 anni fa, lanciò il suo anatema contro l’omosessualità durante l’Angelus. E’ la sensazione di avercela fatta, di avere smesso di essere invisibile, di avere portato allo scoperto anche quell’odio che per anni ci ha soffocato.

Il Pride è la prima volta che ho sentita mia, la mia città. Frase strana vero? Eppure, prima del 2001, del primo Pride a Milano dove parteciparono 50mila ragazzi e ragazze, quella città, forse, non era mai stata mia. E’ il ricordo preciso e forte di quella gioia, di quell’orgoglio di saltare e di ballare per le vie del centro, con la polizia a scortarci ai lati, e le facce incredule di tutti, che non pensavano avremmo avuto il coraggio di essere così tanti. E’ il mio amico Nicola, venuto dalla Calabria e non dichiarato in famiglia, che in piazza San Babila, appena vede decine di fotografi letteralmente arrampicati ovunque per fotografarci impietrisce. E io che lo abbraccio e gli dico, “e adesso un bel sorriso per la stampa”.

Il Pride è il coraggio che è venuto dopo, un po’ a tutti, piano piano. Compreso quello di andare nelle scuole, a spiegare chi eravamo, e non “cosa” eravamo. “Chi, perchè siamo persone, esattamente come voi”. E le facce di quei ragazzi, che non te le scordi più, alcune non avrebbero mai capito, altre avrebbero cambiato idea, altre avrebbero voluto correre ad abbracciarti, ma non sapevano ancora di poterlo fare.

E’ mia nipote, la prima volta che l’ho vista, fuori dalla pancia di sua mamma. E la paura, me la ricordo ancora, di non sapere se, quando e come ci saremo trovati insieme sulla stessa strada, fino poi a capire che l’amore ha un alfabeto che non si pronuncia, ma si vede. Ed io l’ho visto il suo meraviglioso alfabeto, tutti i giorni e tutte le volte che di fianco a me, con la faccia piena di arcobaleni, ha marciato con me per il mondo nel quale lei dovrà e vorrà vivere.

E potrei continuare, non so ancora per quanto, a dire cosa è il Pride, immagine dopo immagine: mio padre, prima che la malattia si portasse via il suo pezzo migliore, che mi dice la sera, senza che io ne sapessi nulla “sono venuto a vedervi partire, bello eravate tantissimi”. Il suo modo incomprensibile di amare, che così tanto bene e così tanto male mi ha fatto. E’ il mio amico Alex, la prima volta che sono riuscito a portarlo in corteo, che si mette a piangere vedendo tutte le bandiere sventolare, e io lo abbraccio perché conosco quelle lacrime. Perché ogni anno arrivano anche a me. E’ il mio amico Andrea, molto più giovane, che mi chiede di pensargli la maglietta un anno prima, perché ha voglia di urlare in modo unico e suo quello che è. E’ la sensazione di marciare non essendo soli, ma non perché in quella piazza ci sono centinaia di migliaia di persone, no. Sai di non essere solo perché sei lì e sei insieme a tutti quelli che lottano e stanno lottando per se stessi e per la libertà di tutti. Soprattutto a quelli picchiati e arrestati nei Paesi in cui i cortei vengono ancora oggi vietati.

E poi ancora, il Pride sono le risate di ballare “Cicale”, o aspettare la canzone di Madonna che non arriva mai, perché adesso mettono di più Lady Gaga. Sono quelli col culo di fuori, che tutti chiamano volgari, ma che in realtà sono uno spettacolo della natura perché portano il loro corpo, brutto, bello, perfetto, desiderabile o no, fuori. Fuori dai cliché, dagli obblighi e dalle regole, lo portano fuori e lo portano a se stessi, come la cosa più preziosa su cui solo loro hanno diritto di parola, e per il quale rivendicano gli stessi diritti dei “ben vestititi”. Il Pride è quella libertà insolente e indecente che ancora fa storcere e il naso e che sempre dovrà farlo storcere per essere profondamente attaccata a se stessa, alla sua storia, ma soprattutto, alla vita delle persone che lottano.

E infine, il Pride è una foto. Siamo io e il mio amico Bruno, di fronte la fontana del Castello Sforzesco, primissimi anni duemila, entrambi ancora universitari. Io ho una maglietta col cuore, lui una specie di cappellino in testa, e siamo pieni di arcobaleni. Stanchi felici a fine corteo. E’ quella foto, che ho guardato per più di un anno quando abbiamo litigato, ed è quella foto, che mi ha ricordato che non potevamo, per nessuna ragione rimanere lontani.

Perchè forse, alla fine di tutto, il Pride è questo, è stare vicini, è non lasciarsi soli, è ridere nonostante il dolore, scherzare e colorarsi nonostante la violenza. E’ essere indecenti nonostante la morale. E’ amare alla luce del sole, nonostante le occhiate. E’ la stupenda e faticosa opportunità di lottare ancora per la libertà. Oggi che sembra una cosa scontata, ma che scontata non lo sarà mai fino a quando non ci saranno uguaglianza, tutela, rispetto. Ed è un viaggio talmente unico e bello che sì, posso dirvi con certezza che lo rifarei dall’inizio, e non ne sceglierei mai uno più colorato. Perchè questo viaggio, per me, è il Pride.